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Roma
di WWW.VITA.IT 25 mag 2023 07:56

Educatore professionale lavoro sempre più in crisi

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Su www.vita.it il grido di allarme: sono sempre di più gli operatori di questo settore che vorrebbero cambiare professione. I motivi? Retribuzione inadeguata, scarso riconoscimento sociale e condizioni di lavoro precario

Un operatore su due del comparto sanitario italiano (medici, infermieri, etc) starebbe pensando di dedicarsi ad altro a causa delle sempre peggiori condizioni di lavoro. La notizia, data qualche settimana fa nel corso di un congresso scientifico tenuto a Milano, ha destato grande preoccupazione, conquistando anche ampio risalto sui media. C’è, però, un’altra fatica, un’altra emergenza di cui pochi parlano. È quella degli educatori professionali. A denunciare la sofferenza della categoria è www.vita.it che in un lungo articolo mette in luce la situazione di grave disagio vissuta da migliaia di educatori ed educatrici professionali.

Paghe inadeguate (7,50 euro all’ora, è la professione con la retribuzione più bassa tra quelle che richiedono un titolo di laurea), condizioni di lavoro precarie, una scarsa considerazione sociale (l’opinione pubblica fatica a dare il giusto valore al lavoro dell’educatore).

Tutto ciò sta provocando un esodo dalla professione educativa e un calo degli iscritti ai corsi di laurea per educatori (molte Università non sono riuscite quest’anno a riempire i posti a disposizione). E’ in atto un abbandono della professione da parte di educatori ed educatrici. Qualcuno lo definisce “esodo”, altri “fuga”, altri ancora “defezione”. Con la conseguenza che molti servizi fondamentali (educative domiciliari, comunità alloggio, centri diurni per persone con disabilità, sostegni scolastici...) non stanno riuscendo a trovare professionisti educativi.

Dicono no a un lavoro che pure piace ma è indegnamente retribuito; no a condizioni lavorative che mortificano l’impegno professionale; no a un lavoro che in troppi in questa società faticano a considerare vero lavoro.

Un educatore oggi prende circa 7,50 euro all'ora. Questo è il punto dolente. Tra le professioni che prevedono l'obbligo di un titolo di laurea, quella di educatore/educatrice è la professione con lo stipendio più basso. C'è la percezione di essere l'ultimo scalino tra le figure del welfare.

Un'educatrice che lavora con adolescenti in carico alla neuropsichiatria infantile racconta: “Quante volte mi trovo in macchina con una ragazzina che vuole uccidersi. E per questo mio starle accanto la società ritiene adeguata una paga oraria di 7,50 euro”.

A ciò si aggiungono condizioni di lavoro difficili: incarichi frammentati nella stessa giornata (qualche ora di qua, qualche ora di là, con trasferimenti anche lunghi), forme di lavoro “a cottimo” (vengono retribuite le ore effettivamente svolte, per cui se il bambino non va a scuola l'educatore non viene pagato), indennità per lavoro notturno basse quando non assenti (le cosiddette “notti passive” nelle comunità educative); ore di progettazione educativa non riconosciute e così via. Come quando si dice che "la notte in comunità la può fare chiunque, tanto si dorme". Ma solo chi non sa può pensare che nelle comunità per minorenni di notte "si dorma". E se succede qualcosa non ci vuole forse una risposta pertinente e specialistica? La notte è un momento tra i più delicati per l'essere umano che ha vissuto esperienze avverse e traumi. Qui si entra nello specifico dell’educatore. La cura educativa richiede pensiero, richiede preparazione”.

L'emergenza educatori è esplosa nel post Covid come reazione alla fragilità contrattuale sperimentata in quel periodo. I mesi della pandemia hanno infatti messo a nudo la vulnerabilità di tanti educatori ed educatrici impiegati nel privato sociale. Mentre i dipendenti pubblici erano tutelati nel periodo in cui i servizi rimanevano chiusi, gli educatori al lavoro nelle organizzazioni di Terzo settore (la maggioranza) non beneficiavano di analoghe protezioni. Così in molte/i hanno scelto di migrare nel mondo della scuola pubblica (attraverso le cosiddette Mad, le messe a disposizione per diventare supplente, oppure attraverso il Tfa, il tirocinio formativo attivo per diventare insegnante di sostegno), il cui fabbisogno di personale didattico ed educativo era nel frattempo incrementato dall'emergenza Covid. La scuola ha così incluso molte figure educative, che lì hanno trovato migliori condizioni contrattuali e stipendiali. Nell'immediato post Covid (2020-2021-2022) non si è trattato quindi tanto di un esodo dalla professione (l'insegnante di sostegno è comunque una funzione educativa), quanto di una fuga dal Terzo settore.

Colpisce infatti che proprio “lo scarso riconoscimento sociale della professione” sia indicato da educatori ed educatrici come il fattore che più sta producendo stanchezza mentale e logoramento motivazionale (più ancora delle condizioni contrattuali, che pure di questo misconoscimento della professione sono indice, oltre che esito). Educatrici ed educatori avvertono che il proprio lavoro è poco valorizzato dalle organizzazioni di appartenenza, dalle istituzioni in cui lavorano (pensiamo alle scuole dove operano molti educatori scolastici), dall'opinione pubblica. Ora, se la crisi è anzitutto di riconoscimento, per affrontarla si dovrà lavorare su questo fronte, tenendo conto che il riconoscimento è un prisma a molte facce: c'è un riconoscimento sociale, retributivo, culturale, politico.

Chi è e cosa fa un educatore? “A scuola sono vista come quella che accompagna al bagno il bambino con disabilità” racconta un'educatrice scolastica. In Italia persiste un retaggio culturale legato alle professioni educative, di aiuto e cura. La loro matrice rimanda alla benevolenza, alla buona disposizione d'animo, al volontariato. Non si considera ancora il lavoro educativo un vero lavoro. “Lavoro con ragazzi ritirati sociali, loro per primi si stupiscono quando dico che sono retribuito”. Il lavoro educativo non ha ancora assunto nell'immaginario collettivo lo statuto di lavoro, che come tale richiede competenza, conoscenza, metodo, studio, tecnica. Prevale l'idea dell'educatore come intrattenitore. Per uscire da questo schema di minorità si tratta allora di rendere più visibile il profondo valore della professione educativa. È la seconda pista di lavoro proposta all'Agorà. C'è una sfida culturale oggi da portare avanti: con pazienza perché i processi culturali richiedono tempi lunghi, e con tenacia perché i processi culturali necessitano di accompagnamento costante. Forse - si potrebbe aggiungere a riguardo - il lavoro educativo non viene sufficientemente riconosciuto anche perché si svolge nell'informalità della vita quotidiana, non in setting formalizzati e più riconoscibili come per altre professioni che godono di maggior riconoscimento sociale: il medico (che opera in ambulatorio o in reparto), lo psicologo (che riceve nel suo studio), l'assistente sociale (che lavora in ufficio).

Sui mass media ci si occupa dell'altra emergenza: la carenza di personale sanitario (medici e infermieri). Quella di educatori ed educatrici resta perlopiù sotto traccia: se ne parla nelle riviste di settore, ma rimane sconosciuta al grande pubblico. Eppure gli educatori sono figure centrali per la vita di tante famiglie dove sono presenti povertà educative, fragilità genitoriali, vulnerabilità esistenziali.

Da segnalare che la carenza non è prodotta soltanto da un esodo dalla professione, ma anche da un calo negli ingressi determinato dalla scarsa attrattività del lavoro educativo.

Ora però l'esodo sta proseguendo, dirigendosi verso la ricerca di altri impieghi, non necessariamente di carattere educativo. Questo esodo, come detto, sta mettendo a rischio la tenuta di servizi educativi fondamentali per la vita di bambine/i e adolescenti, adulti e famiglie. In gioco sono i diritti di chi vive disabilità e fragilità, in gioco è la tenuta del sistema welfare che quei diritti è chiamato a tutelare, in gioco è la qualità della nostra convivenza sociale.

La carenza di personale educativo è grave perché mette a repentaglio il funzionamento di servizi come le comunità per minori, i centri diurni per persone con disabilità, l'educativa scolastica, l'educativa domiciliare, l'educativa di strada, ecc. E insieme al funzionamento la qualità, visto che il settore educativo rischia di perdere le risorse già formate, quelle con più anni di esperienza e un bagaglio maggiore di competenze.

Ci si chiede: è possibile arginare questo esodo e rilanciare la dignità della professione educativa? A partire da questo interrogativo la rivista Animazione Sociale ha deciso di convocare l'Agorà delle educatrici e degli educatori. Tre giorni di confronto per socializzare vissuti e fatiche, in modo che non restino difficoltà individuali, ma se ne faccia una pubblica discussione. Perché in fondo a essere in questione qui sono «i diritti»: i diritti dei cosiddetti utenti (le persone a cui si rivolgono i servizi educativi), non meno che i diritti dei lavoratori (le educatrici e gli educatori che quei servizi con professionalità svolgono). E i diritti sono eminentemente questione pubblica, tanto più quando sono sotto attacco.

L'analisi del problema traccia insomma le vie per trattarlo. Come si legge nel documento base dell'Agorà" redatto da animazione sociale, educatori/educatrici avvertono oggi di avere livelli elevati di responsabilità nella relazione con bambine/i, ragazzine/i, adolescenti, famiglie, ai quali non corrisponde un adeguato riconoscimento. Basti pensare ai vortici di sofferenza da cui è avvolto il mondo adolescenziale in questa fase storica

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