Attualizzare aiuta a non banalizzare
In occasione della Giornata della Memoria intervista a Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio
Chi in questi giorni ha avuto modo di aprire i giornali, dopo la copiosissima parte dedicata alle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica, si sarà imbattuto sicuramente in queste notizie: “Roma, svastica sulla bara al funerale” o “Livorno. Piccolo ebreo devi bruciare nel forno”. Situazione più o meno analoga sui social, dove non mancano insulti agli ebrei, per qualche non vax addirittura responsabili della pandemia.. Ma di esempi ce ne sarebbero molti altri. Qualcosa non torna: oggi, 27 gennaio, Giornata dedicata alla Memoria, caratterizzata da tantissime iniziative (praticamente impossibile elencare tutto ciò che il Bresciano sta proponendo al riguardo in questi giorni) si sente risuonare l’invito a ricordare, a non rifare i tragici errori del passato, in un’Europa che si proclama “dei diritti e dell’uguaglianza”. Eppure c’è la sensazione che qualcosa non funzioni. La domanda è stata posta, proprio in occasione della Giornata della Memoria, a Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio.
Di Shoah se ne è parlato tanto. Come spiegare il puntuale verificarsi di episodi di antisemitismo?
In effetti, riceviamo segnali inquietanti: l’ostentazione di simboli neonazisti e neonazisti, le invettive cospirazioniste, la banalizzazione dei no vax… C’è il rischio che si indebolisca la memoria. Passa il tempo: rischiamo che le nuove generazioni si ribellino alla retorica, ma non ne assumano il significato profondo. Ciò che è successo non viene negato, ma relativizzato. E dietro la minimizzazione, c’è il proposito di non mettere più la Shoah a fondamento dell’Europa dei diritti, della tolleranza e del rifiuto della violenza e del razzismo.
Il Covid-19 è un aggravante?
L’antisemitismo è una patologia di odio contro qualcuno indicato come nemico. Le situazioni di ansia lo fanno riemergere in varie varianti. È lo scarico di responsabilità e di frustrazioni sugli altri. Questo, però, non avviene in modo naturale: c’è sempre qualcuno che manipola queste paure.
È stato fatto tanto, ma sembra evidente che bisogna fare ancora di più…
Le generazioni cambiano: non si deve mai dare la memoria per acquisita. Il lavoro fatto non è stato inutile, ma bisogna trovare nuovi modi di parlarne. Le nuove Linee guida contro l’antisemitismo a scuola aiutano ad esempio ad attenzionare i pregiudizi inconsci, sconfiggere i miti, capirne il collegamento con il complottismo…
Con i giovani al centro, viene da chiedersi: i social possono essere una risorsa?
L’antisemitismo è carico di emotività: purtroppo, la rapidità e l’anonimato tipici dei social media lo favoriscono. Certamente, però, si deve fare un lavoro per convincere le grandi piattaforme ad agire sul linguaggio d’odio. I social, quindi, possono essere una risorsa, ma c’è bisogno di più investimenti e più coraggio politico. Uscirà nei prossimi giorni, infatti, una strategia nazionale contro l’antisemitismo: sul sito noantisemitismo.governo.it daremo raccomandazione a tutti per individuare i discorsi d’odio e non permettere che dilaghino sul web.
Si può partire, allora, da ciò che è stato fatto in passato, per avere la speranza in un cambiamento che sia davvero definitivo?
Certamente. La Shoah è minimizzata proprio perché si sa cos’è. La reazione sociale contro le intolleranze e il razzismo nelle nuove generazioni è evidente: stiamo difendendo qualcosa che c’è e che non vogliamo perdere.