Afghanistan: uniti contro l'emergenza umanitaria
Ieri, in videoconferenza, il G20 convocato dall'Italia per affrontare la crisi che il Paese sta vivendo dopo il ritorno dei Talebani
C'è la consapevolezza che l'emergenza umanitaria è gravissima", ha affermato il premier Mario Draghi, al termine del G20 dedicato all'Afghanistan tenuto ieri in videoconferenza, definendo il vertice "soddisfacente e fruttuoso". Il presidente del Consiglio ha sottolineato la grande disponibilità ad agire e una convergenza di vedute sulla necessità di affrontare l'emergenza umanitaria" in modo unificato attraverso un mandato alle Nazioni Unite. Nel corso del summit è stato affrontato in modo particolare il problema dei diritti delle donne, di garantire loro il diritto all'istruzione e di non tornare indietro di 20 anni. "Affrontare la crisi umanitaria – ha continuato Draghi - richiederà contatti con i talebani, ma questo non significa un loro riconoscimento”. Durante il. G20 è emerso come tutti i Paesi stiano cercando di ottenere dal governo dei talebani la possibilità di organizzare corridoi umanitari, perché c’è la consapevolezza che ci sia lì ancora gente che vuole uscire, e che sia responsabilità della comunità internazionale prendersene cura.
I leader del G20, poi, si sono impegnati a garantire assistenza umanitaria direttamente agli afghani e a promuovere i diritti umani per tutti, comprese donne, bambine e minoranze. La Commissione europea presente con la presidente Ursula Von Der Leyen ha annunciato la messa in campo di un miliardo di euro in aiuti alla popolazione afghana. "Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare un grave collasso umanitario e socio-economico in Afghanistan. Dobbiamo farlo in fretta - ha sottolineato la presidente della Commissione -. La situazione in Afghanistan si sta deteriorando, ponendo centinaia di migliaia di afghani a rischio con l'inverno in arrivo. Il popolo afghano non deve pagare il prezzo delle azioni dei talebani. Questo è il motivo per cui il pacchetto di sostegno afghano è per il popolo afghano e per i Paesi limitrofi che hanno fornito i primi aiuti", ha sottolineato.
"La Turchia non può permettersi un nuovo flusso di migranti dall'Afghanistan, ne sarebbero colpiti anche i Paesi europei": ha affermato, invece, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha anche proposto di formare un gruppo di lavoro sulla migrazione presieduto da Ankara nell'ambito della prossima presidenza indonesiana del G20. Il summit, che ha anticipato il G20 di Roma in presenza del 30-31 ottobre, sarà allargato a Paesi Bassi, Spagna, Singapore e Qatar, oltre che a diverse organizzazioni internazionali, tra cui Nazioni Unite, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, per cercare il massimo coinvolgimento possibile.
Un appello al G20 riunito per parlare di Afghanistan perché “si rendano conto della gravità e del peggioramento della situazione umanitaria nel Paese, con 18 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti è giunto da Mary Ellen McGroarty, rappresentante e direttrice del World food programme/Programma alimentare mondiale dell’Onu a Kabul. In Afghanistan 14 milioni di persone affrontano l’insicurezza alimentare acuta. Si stima che circa 3,2 milioni di bambini sotto i cinque anni soffriranno di malnutrizione acuta entro la fine dell’anno. Dal 15 agosto, ha detto McGroarty, “la situazione è peggiorata” perché il “congelamento delle riserve estere e la sospensione del sostegno allo sviluppo ha avuto un impatto devastante”. “La crisi accelera ogni giorno di più ed è sempre più complessa, con la siccità e i cambiamenti climatici che aggravano la situazione – ha raccontato -. Le persone non riescono ad accedere ai risparmi nelle banche. Il 20-30% della popolazione non ha opportunità lavorative. Le aziende agricole, le fabbriche e le attività commerciali stanno chiudendo, di conseguenza molte donne che prima ci lavoravano ora sono disoccupate. I prezzi del cibo, del petrolio e del carburante per scaldarsi sono aumentati. Il 90% della popolazione è sotto la soglia della povertà e ci sono 3,5 milioni di sfollati interni che hanno dovuto abbandonare le loro case a causa del conflitto o della siccità