Un nuovo linguaggio per le migrazioni
Caritas Italiana e Fondazione Migrantes hanno pubblicato l’annuale Rapporto Immigrazione che da oltre 25 anni analizza il fenomeno migratorio nelle sue molteplici dimensioni
Ci troviamo di fronte ad una “emergenza culturale” che richiede un intervento strutturato e di lungo periodo. È necessario mettere in campo tutte le risorse educative capaci di stimolare, da un lato, il necessario approfondimento rispetto a temi che sono ormai cruciali, e dall’altro lato di accompagnare le nostre comunità verso l’acquisizione di una nuova “grammatica della comunicazione” che sia innanzitutto aderente ai fatti e rispettosa delle persone. Papa Francesco non ha mancato di sottolineare che «la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento». In tale contesto “emergenziale” i due organismi della CEI, Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, hanno voluto confermare il loro impegno anche attraverso la pubblicazione dell’annuale Rapporto Immigrazione che da oltre 25 anni analizza il fenomeno migratorio nelle sue molteplici dimensioni.
La mobilità umana si conferma fra i temi di maggior dibattito nella società attuale. Il monitoraggio delle notizie riguardanti l’immigrazione apparse nei telegiornali di prima serata delle reti Rai, Mediaset e La7 rivela che in dodici anni i riferimenti all’immigrazione sono aumentati di oltre dieci volte, passando dalle 380 notizie del 2005 alle 4.268 del 2017. Appare sistematica la correlazione fra l’aumento di interesse mediatico verso i flussi migratori diretti verso l’Italia e gli eventi di natura politica che coinvolgono il Paese. Colpisce constatare che la sensazione di minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico ricondotta all’immigrazione sperimenta dal 2013 una crescita costante. Nel corso del 2017 i telegiornali di prima serata si soffermano per lo più sui flussi migratori (40%), riservando quasi la metà delle notizie ai numeri e alla gestione degli sbarchi sulle coste italiane. Un ulteriore 34% dei servizi telegiornalistici è dedicato a questioni che mettono in relazione immigrazione, criminalità e sicurezza. Per trovare il primo tema dotato, almeno potenzialmente, dei caratteri di “buona notizia” è necessario scendere al terzo posto, dove si colloca il racconto dell’accoglienza, al quale nel 2017 è riservato l’11% delle notizie.
Mondo. Nel 2017 sono 257,7 milioni le persone che nel mondo vivono in un Paese diverso da quello di origine. Dal 2000 al 2017 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio Paese di origine è aumentato del 49%. Nel 2017 i migranti rappresentano il 3,4% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Nel 2017 l’Asia ospita il 30,9% dei migranti mondiali, seguita da Europa (30,2%), America del Nord (22,4%), Africa (9,6%), America Latina (3,7%) e Oceania (3,3%). Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) nel 2015 la quota dei migranti irregolari sul totale dei flussi internazionali ammonta al 10-15%.
Europa. Nel 2017 sono 38,6 milioni i cittadini stranieri residenti nell’Unione Europea (30,2% del totale dei migranti a livello globale). Il Paese europeo che nel 2017 ospita il maggior numero di migranti è la Germania (oltre 12 milioni), seguita da Regno Unito, Francia e Spagna. Secondo i dati EUROSTAT nel 2016 gli stranieri residenti che hanno acquisito la cittadinanza nell’area dei Paesi UE-28 sono 994.800, con un aumento, rispetto al 2015, del 18,3%. Tra i Paesi con il maggior numero di “nuovi cittadini” al primo posto c’è l’Italia, con 201.591 acquisizioni di cittadinanza, che corrispondono al 20,3% del totale UE-28.
Italia. Dai microdati Rcfl-ISTAT al primo semestre 2017 la popolazione immigrata in età da lavoro è di 4.100.826 persone con 15 anni di età ed oltre, delle quali il 59,3% sono occupate e il 30,6% inattive. In particolare, gli occupati stranieri risultano 2.430.409, aumentati rispetto al primo semestre 2016 del +0,9%. Di questi, 1.635.300 sono di nazionalità non-UE (67,3% degli occupati stranieri) e 795.100 lavoratori comunitari (32,7% degli occupati stranieri). Gli stranieri in cerca di occupazione sono 415.229 (10,1% del totale degli stranieri), di cui 283.837 di nazionalità non-UE (67,3% del totale degli stranieri in cerca di occupazione) e 131.392 di nazionalità UE (33,1%). Gli inattivi stranieri sono 1.255.187 (30,6% degli occupati stranieri), di cui 897.411 non-UE (71,5% degli inattivi stranieri) e 333.093 UE (28,5%). Se si considera il periodo che va dal primo semestre 2016 al primo semestre 2017, si osserva un aumento dell’occupazione sia tra gli stranieri (+0,9%) sia tra gli italiani (+0,6%). La quota del lavoro non qualificato negli immigrati è del 35,4%, contro l’8,2% negli occupati italiani. Secondo i dati UnionCamere, le imprese di cittadini nati in un Paese extra-UE al 31 dicembre 2016 sono 366.426, in aumento rispetto al 2015 (+3,5%). La regione con il maggior numero di queste imprese è la Lombardia (69.625, 19,0% del totale nazionale), seguita da Lazio (41.849, 11,4%), Toscana (35.891, 9,8%), Campania (32.931, 9,0%) ed Emilia Romagna (32.418, 8,8%). La Campania è la regione nella quale si registra l’aumento più cospicuo (+11,1%).
Scuola. Nell’anno scolastico 2016-2017 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 826.091 (di cui 502.963 nati in Italia, pari al 60,9%), in aumento rispetto all’anno scolastico 2015-2016 di 11.240 unità (+1,4%). Nell’anno scolastico 2016-2017, la scuola primaria accoglie la maggiore quota di alunni stranieri: 302.122, il 36,6% del totale. L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo significativo in ragione del fatto che alcune regioni e province hanno una spiccata capacità attrattiva nei confronti di immigrati che vogliono insediarsi stabilmente con la propria famiglia. Le maggiori incidenze si riscontrano nelle regioni del Nord, con il valore massimo in Emilia Romagna (15,8%), significativamente maggiore del valore nazionale (9,4%), seguita da Lombardia (14,7%) e Umbria (13,8%). Nelle regioni del Centro-Nord il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,5%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud.
Famiglia e cittadinanza. Nel corso del 2016 sono stati celebrati 25.611 matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero (12,6% del totale dei matrimoni), in leggero aumento rispetto al 2015 (+0,2%). Nel 56,4% dei casi si tratta dell’unione fra uno sposo italiano e una sposa straniera. A fine 2017 i bambini nati da genitori entrambi stranieri risultano 67.933 (14,8% del totale delle nascite). Diminuisce il numero medio di figli delle cittadine straniere, pur mantenendosi su livelli decisamente più elevati di quelli delle cittadine italiane (1,95 rispetto a 1,27 secondo le stime nel 2017). I dati ISTAT relativi al bilancio demografico nazionale confermano l’aumento dei nuovi cittadini italiani già rilevato negli anni precedenti e che ha condotto l’Italia nel 2015 e nel 2016 ad essere al primo posto tra i Paesi UE per numero di acquisizioni di cittadinanza. Al 31 dicembre 2017, su un totale di 146.605 acquisizioni di cittadinanza di stranieri residenti, il 50,9% riguarda donne. Tali acquisizioni, rispetto alla stessa data del 2016, sono diminuite (-27,3%). Nelle regioni del Nord Italia si registrano tassi di acquisizione di cittadinanza ben al di sopra della media nazionale. Si notino, in particolare, i casi della Valle d’Aosta, del Trentino Alto Adige e del Veneto, ma risulta interessante segnalare tassi di acquisizione superiori alla media nazionale anche in regioni del Centro (Marche) e del Sud (Abruzzo). Riferendosi sempre al 2016, le modalità di accesso alla cittadinanza restano differenti tra uomini e donne. Per gli uomini la modalità più frequente è la residenza (56% dei casi nel 2015), mentre il matrimonio è una modalità residuale (meno del 3%). Nel 2016, diversamente da quanto avveniva in passato, anche per le donne le acquisizioni di cittadinanza per residenza sono state le più numerose (43,9%), superando, seppur di poco, le acquisizioni per trasmissione/elezione (39,3%). Si riduce ulteriormente, anche per le donne, la quota di procedimenti avviati a seguito del matrimonio: nel 2016 questi risultano il 16,8% del totale, mentre nel 2014 risultavano il 25%.