Sale creative e attente alle comunità
Questa mattina, nel Palazzo Apostolico vaticano, papa Francesco ha ricevuto in udienza i membri dell’Associazione cattolica esercenti cinema (ACEC), presieduta da don Adriano Bianchi, in occasione del 70° anniversario di fondazione. Riportiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto loro nel corso dell’incontro
Cari fratelli e sorelle, vi do il benvenuto e ringrazio il Segretario Generale della CEI per le sue cortesi parole. Sono contento di condividere questo momento di festa per il vostro anniversario insieme alle altre organizzazioni che nella Chiesa italiana si occupano di cinema e spettacolo. Questa ricorrenza non è una sosta fine a sé stessa, ma un’opportunità per rinnovare gli impegni presi settant’anni fa. Per questo, vorrei affidarvi brevemente tre compiti che traggo dal contesto in cui voi lavorate. Il primo: comunione. Il cinema, si sa, è un grande strumento di aggregazione. Soprattutto nel dopoguerra ha contribuito in maniera eccezionale a ricostruire il tessuto sociale con tanti momenti aggregativi. Quante piazze, quante sale, quanti oratori, animati da persone che, nella visione del film, trasferivano speranze e attese. E da lì ripartivano, con un sospiro di sollievo, nelle ansie e difficoltà quotidiane. Un momento anche educativo e formativo, per riconnettere rapporti consumati dalle tragedie vissute. Come non ricordare anche le grandi produzioni che hanno raccontato quegli anni? Mi piace citare – perché lo sento molto familiare a questo incontro – il film “I bambini ci guardano”. È un lavoro bello e ricco di significati. Ma tutto il cinema del dopoguerra, quei grandi... Tutto il cinema del dopoguerra è una scuola di umanesimo. Voi italiani avete fatto questo, con i vostri grandi, non dimenticatevi di questo. E non parlo per sentito dire. Quando eravamo bambini, i genitori ci portavano a vedere quei film, e ci hanno formato il cuore. Bisogna riprendere questi. Ho menzionato quello per la famiglia, ma sono tanti, tanti... Voi siete eredi di questa grande scuola di umanesimo, di umanità che è il cinema del dopoguerra. Anche le vostre realtà associative sono valutate sulla capacità di aggregare o, meglio, di costruire comunione: «Noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi» (Messaggio per la 53ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2019). L’invito, allora, è di costruire comunione tra voi, ma anche comunione tra associazioni e organizzazioni che nel mondo cattolico si occupano di cinema, per trasmettere la bellezza dello stare insieme negli eventi di cui siete promotori. Senza comunione, all’aggregazione manca l’anima. Il secondo: creatività. L’arte cinematografica, come ogni espressione artistica, è frutto della creatività, che rivela la singolarità dell’essere umano, la sua interiorità e intenzionalità. Quando un artigiano modella la sua opera, lo fa integrando testa, cuore e mani secondo un disegno chiaro e definito. Vi incoraggio a dare spazio alla creatività, immaginando e costruendo nuovi percorsi. La creatività è fondamentale: sappiamo benissimo come le nuove piattaforme digitali rappresentino una sfida per i media tradizionali.
Anche il cinema è interrogato dagli sviluppi offerti dalle moderne tecnologie. Le vostre associazioni e organizzazioni, se non vogliono diventare dei “musei”, debbono cogliere queste domande in maniera attiva e creativa. L’audacia, come avvenuto con i fondatori, chiama ancora una volta ad essere in prima linea, non però in maniera isolata o in ordine sparso, ma tutti insieme. Cosa potete dire davanti al cambiamento? Senz’altro serve una conversione integrale, che chiama in causa la ricchezza e la profondità di ciascuno. Audacia e creatività per andare avanti e non restare ai margini dell’innovazione.
Il terzo: visione. La visione di un’opera cinematografica può aprire diversi spiragli nell’animo umano. Il tutto dipende dalla carica emotiva che viene data alla visione. Ci possono essere l’evasione, l’emozione, la risata, la rabbia, la paura, l’interesse… Tutto è connesso all’intenzionalità posta nella visione, che non è semplice esercizio oculare, ma qualcosa di più. È lo sguardo posto sulla realtà. Lo sguardo, infatti, rivela l’orientamento più diversificato dell’interiorità, perché capace di vedere le cose e di vedere dentro le cose. Lo sguardo provoca anche le coscienze a un attento esame. Lasciamoci interrogare: come è il nostro sguardo? È uno sguardo attento e vicino, non addormentato? È uno sguardo d’insieme e di unità? In modo particolare, a voi che vi occupate di cinema: è uno sguardo che suscita emozioni? È uno sguardo che comunica comunione e creatività? Le risposte non sono scontate e richiedono un grande lavorio interiore. Lo sguardo comunica e non tradisce, impegna in stili di vita e azioni coordinate per un bene più grande del semplice interesse. Lo sguardo sta a fondamento della costruzione delle comunità. E voi sapete benissimo quanto sia importante superare gli steccati del passato per proiettarsi nei sentieri del futuro.
Tutti voi avete nel DNA un sentire ecclesiale. Vi esorto a vivere la vostra passione e la vostra competenza con senso e stile ecclesiale: è la miglior medicina per non cadere nell’autoreferenzialità, che sempre uccide. Il Signore vi aiuti a camminare in comunione, con creatività e con uno sguardo attento. Vi benedico, prego per voi; e voi, per favore, pregate per me. Grazie!