Ritrovare il gusto della liturgia e della vita
Al via oggi a Matera il Congresso eucaristico. Intervista a don Alberto Giardina, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei
“Ritrovare il vero gusto delle cose”, nella liturgia come nella vita. Don Alberto Giardina, direttore dell’Ufficio liturgico nazionale della Cei, sintetizza così la “pro-vocazione” della XXVII edizione del Congresso eucaristico nazionale, in programma a Matera da oggi al 25 settembre, con la presenza del Papa nella giornata conclusiva. “La sua presenza ci sarà di stimolo e di incoraggiamento”, assicura descrivendo il clima di attesa del Santo Padre.
“Torniamo al gusto del pane”, recita il tema del Congresso eucaristico di Matera: significa che abbiamo perso il “gusto” delle nostre liturgie?
Il titolo scelto dal Comitato è una sollecitazione che contiene certamente anche la dimensione della provocazione. C’è una ritualità che abbiamo perso, dove l’elemento del pane è polivalente: da un lato rimanda all’Eucarestia, dall’altro si riferisce anche al “pane feriale”, alla vita, alla nostra quotidianità. Occorre ritrovare il gusto del pane eucaristico, ma anche quello della quotidianità feriale, che è sempre più frenetica e piena di elementi da rivalutare. Tornare al gusto del pane, in questa prospettiva, significa ritrovare il vero gusto delle cose. Come scrive Papa Francesco nella “Desiderio desideravi”, dobbiamo recuperare lo stupore: quello eucaristico, legato alle azioni rituali della celebrazione, ma anche, aggiungerei, quello per le meraviglie della vita di ogni giorno. A Matera, quindi, ci riuniremo per ritrovare la bellezza dell’Eucaristia, della Chiesa, della comunità ecclesiale, che porta all’altare le gioie e le fatiche del quotidiano, che ascolta la Parola e spezza il pane e si fa carico dei poveri. Il capitolo due degli Atti è l’icona di una Chiesa che si ritrova nello spezzare il pane e nel condividere le situazioni della vita: ritrovarsi attorno all’altare, allora, diventa fonte e culmine ma anche forma del vissuto comunitario.
Quello che la Chiesa italiana si appresta a vivere sarà il primo Congresso post-pandemia. Il lockdown ha forzatamente cambiato il nostro modo di partecipare alla liturgia. Quali tracce ha lasciato?
Di certo la pandemia ha lasciato una traccia nel vissuto pastorale. Abbiamo affrontato la complessità di una situazione inedita che ci allontanato dal nostro vissuto comunitario e dalle relazioni quotidiane, dai nostri affetti, dal lavoro. Il lockdown, a livello pastorale, è stato un periodo in cui è emersa, in positivo, tutta la creatività delle nostre comunità, che si sono adoperate per aiutare con generosità chi si trovava in difficoltà, gli ammalati, le persone sole. Nello stesso tempo, però, il nostro vissuto rituale ha mostrato un po’ di fragilità, come se tutto si riducesse ad affollare il web e i social delle celebrazioni dei vari parroci. Sotto questo aspetto definirei il tempo della pandemia un’occasione persa, che ha mostrato alcuni punti scoperti del nostro modo di vivere le liturgie: si è vissuto come se la Messa fosse l’unico modo per santificare la domenica, mentre la fase del lockdown sarebbe potuta diventare un’opportunità per aiutare le persone non soltanto a ritrovarsi attorno alla televisione, ma a riscoprire più profondamente il sacerdozio battesimale. Intensificando, ad esempio, i momenti di preghiera in famiglia, facendo della casa uno spazio di incontro con Dio, delle nostre tavole l’altare della preghiera e delle famiglie l’immagine della Chiesa viva.
I Congressi eucaristici sono sempre andati di pari passo, da una parte, con la storia del nostro Paese, e dall’altra con le tradizioni popolari: in che modo la pandemia e la guerra incidono su questa edizione?
Il Congresso eucaristico di Matera è stato pensato come una tappa contemplativa del cammino sinodale, quello di una Chiesa che si mette in ascolto dei segni dei tempi, della voce delle diverse realtà della comunità cristiana. Una sosta contemplativa, però, che non è una pausa o un’interruzione, ma al contrario può aiutare a compiere una lettura sapienziale del cammino che le nostre comunità stanno facendo o si preparano a fare. La presenza del Papa tra di noi sarà di incoraggiamento e può essere da stimolo in questa progressività sinodale, nei cantieri che tutta la Chiesa italiana sta aprendo, in sintonia con il cammino della Chiesa universale.
Come avviene in ogni Congresso eucaristico, anche a Matera non si può non fare riferimento al frangente storico che stiamo vivendo: la pandemia, la guerra, le difficoltà delle famiglie fanno parte a pieno titolo anche dell’azione rituale. Il vissuto celebrativo non è mai asettico, ciascuno di noi porta all’altare le gioie e le fatiche di ogni giorno, e al tempo stesso si apre al mondo. Nella sosta contemplativa di Matera renderemo presenti davanti all’Eucaristia i travagli del mondo contemporaneo, la guerra in Ucraina, le difficoltà economiche delle aziende e delle famiglie italiane, quanti sbarcano nelle nostre coste.
C’è, secondo lei, un “deficit” di partecipazione nelle nostre celebrazioni eucaristiche, soprattutto quelle domenicali? In che cosa dobbiamo ancora crescere?
Oggi più che mai corriamo il rischio di volere rendere la liturgia più accattivante e meno noiosa per favorire la partecipazione. La questione in realtà incrocia prima di tutto la necessità di una liturgia capace di interpellare nostre storie, di esprimersi in gesti autentici, di stimolare l’annuncio del Vangelo e nutrire la carità. Parlare di partecipazione liturgica significa anche riscoprire le sollecitazioni della riforma liturgica, che raccomanda la “nobile semplicità”: una liturgia, cioè, non ridondante, ma aderente alla storia e al linguaggio liturgico, che sa anche adattarsi alle varie culture. Più che spettacolarizzare la celebrazione, bisogna recuperare il senso del mistero e della centralità di Cristo. Favorire la partecipazione liturgica significa inoltre coniugare il linguaggio della liturgia con le attese, le speranza, i dolori e le gioie degli uomini: leggere il libro della vita e il libro della liturgia insieme.