La migrazione? Una realtà da governare
La migrazione “non è una emergenza ma una realtà con cui fare i conti con lucidità, realismo e capacità innovativa. Non è un problema da risolvere ma una realtà da governare nella sua complessità, dando attenzione ai diversi valori: alla vita fisica delle persone, ossia se uno sta morendo va salvato; alla dignità delle persone, al loro desiderio di pace, giustizia e di un cammino di vita migliore”. Ha parole chiare e nette monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, affrontando il tema caldo delle migrazioni durante il suo intervento in apertura del 43° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso dal 17 al 20 aprile a Salerno. Nella città campana sono presenti 660 delegati da 173 diocesi, per riflettere sul tema “Agli incroci delle strade. Abitare il territorio, abitare le relazioni”.
“Sul tema dell’integrazione vorremmo che i migranti fossero tutelati dalle leggi e non limitati dalle leggi. Serve poi un lungo e paziente lavoro per eliminare le cause delle migrazioni forzate”, ha precisato il presidente di Caritas italiana”:
“Vogliamo essere al servizio dei poveri, farci voce verso le istituzioni e le Chiese a nome dei poveri”.
Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei – foto: F.Carloni/ Caritas italiana
A spiegare bene il principio della carità è stato monsignor Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei. “L’opera della Caritas – ha detto – si mostra bella nell’accendere la carità nelle singole comunità”. “Il benessere dell’uomo – ha affermato – non dipende solo dalla soluzione dei suoi problemi ma dallo stare dentro contesti comunitari di empatia, prossimità”. Inoltre, ha aggiunto, “sarebbe bello pensare ad una solidarietà capace di estendersi ad altre comunità nel mondo in Siria, in Libano, in Africa”, esortando tutte le comunità ecclesiali ad un “impegno personale di incontro con i poveri. In questo la Caritas deve essere di aiuto”: “Il bisogno ha sempre un nome e un volto, come dice il Papa. Significa che davanti ad un uomo lo sguardo deve cogliere l’interezza del suo bisogno, non solo di pane ma anche di amicizia, di compagnia. Il rapporto con l’uomo che ha bisogno non può non aprirsi ad un impegno sociale e politico perché il bene della persona dipende anche dal contesto in cui vive. Essere prossimo significa essere socio di una società. Per cui l’amore all’uomo non può non diventare capacità di denunciare le ingiustizie e ricostruire uno sviluppo nuovo, un nuovo modello. Ma dopo tre anni dalla pandemia, nel quale abbiamo sperato in un cambiamento, possiamo dire che questo proposito è abbastanza fallito”.
Ha portato invece la voce dei vescovi campani e delle 23 Caritas diocesane mons. Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e presidente della Conferenza episcopale della Campania (Cec), affrontando la questione dell’inquinamento ambientale nella Terra dei fuochi, in un territorio tra Napoli e Caserta. “La Campania ha scoperchiato il pentolone del dramma con la morte di giovani e adulti – ha fatto notare -. Il cammino ecclesiale che stiamo facendo da anni, in particolare delle 10 diocesi interessate al dramma dell’inquinamento ambientale può essere un modello per altre Chiese in Italia”. Oltre alla denuncia e al dialogo con le istituzioni, infatti, c’è tutto un lavoro di educazione alla custodia del creato. Ma non solo. “Bisogna finirla con questo marchio infame e diffamante solo nel nostro territorio – ha ribadito -. In Italia vi sono più di 50 siti inquinanti equamente distribuiti al nord, al centro e al sud, per cui il nostro cammino può essere utile per altre zone d’Italia che si trovano a lottare contro l’inquinamento ambientale”. Il presidente dei vescovi campani ha parlato anche dell’accoglienza dei migranti, visto che Salerno accoglie periodicamente le navi al porto e le diocesi sono impegnate in prima linea: “Si parla di emergenza, di invasione migranti – ha scandito – ma c’è una disonestà intellettuale di non stare nemmeno ai dati scientifici che vengono portati”.
A mettere l’accento sulla storica questione meridionale è stato Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud. “Al Sud la cultura dello sviluppo che per 72 anni ha guidato gli interventi straordinari per ridurre il divario Nord-Sud si è dimostrata sbagliata”, ha detto senza mezzi termini. Il Pil pro capite di un cittadino del Sud è passato solo dal 52,9% al 56,3%: “Un obiettivo clamorosamente fallito”. La sua tesi è che “non può esserci sviluppo solido e duraturo se non vi è una sufficiente dotazione di capitale sociale”, per cui è “necessaria una radicale discontinuità nelle politiche di sviluppo”; ossia investire sul “capitale sociale” e “sul Terzo settore”. In più occasioni – ha affermato – “ho potuto verificare che la Caritas costituisce la più rilevante rete di infrastrutturazione sociale nel Mezzogiorno” ma il “vecchio welfare, risarcitorio e totalmente pubblico, non regge più”.