Don Bruno Bignami: L'acqua è vita
In questa intervista il Direttore dell'Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e lavoro spiega il tema della 70esima Giornata nazionale del Ringraziamento (7 e 8 novembre), descrive la vicinanza della Chiesa a chi lavora la terra e ribadisce l'importanza di alcune buone prassi
Partiamo dal tema scelto per il Messaggio. L’acqua è vita ed è vitale per l’agricoltura. Come bisogna fare per salvaguardare questo bene?
L’acqua è vita. Lo è per l’uomo e lo è per le specie viventi. L’acqua è fonte di ricchezza anche per tutto il comparto agricolo. Non c’è attività che possa essere svolta senz’acqua: l’allevamento, la coltivazione ortofrutticola, di cereali, di erbe officinali o di prati, l’industria casearia e agroalimentare, le produzioni tipiche come olio e vino... Meraviglia che dentro la cultura umana l’acqua non è solo importante per le attività produttive, ma soprattutto perché è elemento simbolico. Ogni volta che la risorsa idrica è trattata come pura materia, finisce per essere degradata a merce tra le altre e perde di vista il rimando a una pienezza di senso: purificazione, rigenerazione, rinascita, rigoglio…
Come esprime la Chiesa la sua vicinanza agli uomini e alle donne che lavorano la terra?
Il legame tra la Chiesa e il mondo agricolo è strettissimo. Da anni la Chiesa italiana coordina il lavoro di alcune associazioni di categoria del mondo rurale che si rifanno al magistero sociale. In Coldiretti, Fai Cisl, Terra Viva, Acli terra e Feder.Agri è forte il senso di appartenenza alla comunità cristiana. Si sentono parte di una Chiesa che da sempre è attenta alle loro famiglie e al loro mondo. La celebrazione della Giornata del Ringraziamento è condivisa volentieri con queste esperienze associative, che cercano di abitare con coraggio le sfide del nostro tempo.
La scarsità di acqua richiede anche una maggiore attenzione nell’utilizzo. E’ arrivato forse il tempo di ribadire alcune buone prassi?
La scarsità di acqua è un dramma del nostro tempo ed è direttamente associabile ai cambiamenti climatici. Lo affermano con forza anche i vescovi italiani, che hanno preparato il messaggio per questa Giornata del Ringraziamento 2020: la desertificazione in aree del Paese «mette a rischio semine e raccolti, rendendo difficile operare all’intero settore agricolo. Anche il nostro Paese è attraversato dal problema della siccità: il calo di piogge e di innevamento ha conseguenze catastrofiche. Oggi più che mai è urgente ottimizzare il consumo di acqua, ma vanno soprattutto rafforzati quei progetti che portano alla raccolta, alla canalizzazione e all’utilizzo razionato o al riutilizzo dell’acqua. Per fare questo sono necessari investimenti e programmi di lungo periodo». I cambiamenti in corso esigono diversi modelli gestionali dell’acqua: occorre organizzarsi per una raccolta più puntuale dell’acqua piovana, che sempre più spesso cade in modo violento, torrenziale e rapido. Abbiamo tutti ben presenti i disastri causati dalle bombe d’acqua estive... Si stanno sempre più diffondendo buone pratiche nel settore dell’irrigazione, evitando sprechi a pioggia e cercando di arrivare alla pianta goccia a goccia grazie all’utilizzo di tecnologie digitali. Ci sono anche buone prassi nel riutilizzo di acque reflue che sono depurate e rimesse in circolo in agricoltura. Molto si sta facendo, ma molto rimane ancora da fare…
L’agricoltura può essere tentata dal percorrere alcune scorciatoie non sempre lecite per aumentare la produttività. Corriamo questo rischio anche in Italia?
Assolutamente sì. Purtroppo, anche in Italia continuano prassi sbagliate o fuori tempo massimo dal punto di vista ambientale. Basti pensare al pericolo per l’ecologia e per la salute umana derivante dall’uso di pesticidi, del glifosato, di anticrittogamici e di agenti chimici in agricoltura. Le richieste del mercato biologico portano a modelli innovativi. Alcuni giovani li stanno percorrendo in modo coraggioso: la riscoperta di antichi semi di grano o di mais, la biodiversità, la rotazione delle cultivar… Il criterio della qualità comincia a diventare più importante di quello della quantità, soprattutto considerando il valore della salute e la necessità di contrastare la diffusione di allergie alimentari.
Un argomento delicato è legato alla raccolta dei prodotti della terra. Il caporalato è un fenomeno presente a macchia di leopardo in tutta Italia, che trova spazio dove c’è un substrato di illegalità, e non riguarda la sola filiera del pomodoro. C’è la consapevolezza del problema? Come si può affrontare?
Il caporalato viene associato ad alcune zone geografiche italiane (il foggiano in Puglia, la piana di Rosarno in Calabria, il casertano in Campania…) perché lì sono avvenuti casi eclatanti di sfruttamento o di violazione della dignità della persona. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i migranti, che subiscono, oltre al danno di essere rifiutati con sprezzante razzismo, la beffa di lavorare ore e ore sotto il sole per uno stipendio da fame. Tuttavia, fa comodo pensare che il problema sia circoscritto a quei territori. In realtà, c’è un diffuso sistema illegale che porta a considerare il lavoro come un costo piuttosto che un investimento. Il problema è che questi miseri stipendi permettono agli imprenditori agricoli di abbattere i costi di produzione e di presentarsi sul mercato con prezzi più bassi. Si chiama concorrenza sleale. Ritengo che ci sia consapevolezza del problema. Nessuno di noi è così ingenuo da pensare che quando acquistiamo al supermercato frutta, verdura o carne sottocosto, dietro ci sia la generosità di Babbo Natale! Molto spesso dietro c’è la speculazione sul lavoro sfruttato: la dignità delle persone è così facilmente calpestata. Da qui la necessità di convertire i nostri stili di vita, acquistando prodotti agricoli di cui conosciamo la provenienza e il cui prezzo è semplicemente giusto!