Autonomia differenziata: i dubbi dei Vescovi
Il tema è stato affrontato da mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente Cei. Il comunicato finale dedicato a pace, cammino sinodale, ’iniziazione cristiana, nuove generazioni, sfide e preoccupazioni del tempo presente e fine vita
“C’è preoccupazione e perplessità tra i vescovi per un allargamento delle differenze che possono far cadere in un particolarismo istituzionale”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha risposto così alle domande dei giornalisti sull’autonomia differenziata, durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio episcopale permanente, svoltosi in questi giorni a Roma. “Presto svilupperemo una posizione unitaria su questo tema”, ha annunciato il vescovo, citando il documento “Chiesa italiana e Mezzogiorno”, del 2010, e rilanciando la “preoccupazione per la tenuta del sistema Paese” già denunciata dal presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, nella sua introduzione ai lavori. “Il nostro Paese – ha spiegato Baturi – deve poter reggersi secondo legami di solidarietà, intervenendo sulle disuguaglianze e prestando attenzione a dinamiche e meccanismi istituzionali che potrebbero allargare le disuguaglianze nell’accesso ai servizi fondamentali”. “C’è preoccupazione, c’è perplessità”, ha ripetuto il segretario generale della Cei, “anche perché siamo in un momento in cui serve un rilancio dell’Europa: come hanno detto i vescovi europei, occorre rilanciare l’Europa come sistema di protezione delle persone e delle comunità. In quest’opera di rilancio, l’Italia deve poter intervenire come un Paese unito”.
Nel tradizionale comunicato di chiusura, il consiglio permanente della Cei si è soffermato sull’impegno per la pace, sul Cammino sinodale, sull’iniziazione cristiana e la figura dei padrini e delle madrine, sulle nuove generazioni, sulle sfide e le preoccupazioni del tempo presente e sul fine vita.
La pace – da invocare, da costruire, da promuovere – è stata al centro della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente. In apertura dei lavori, i vescovi hanno ribadito la loro vicinanza e solidarietà a Papa Francesco, sottolineando la necessità di un impegno per la pace a 360°, fatto di preghiera, formazione e gesti concreti. Di fronte ad una cultura che sembra essere assuefatta alla guerra, a un aumento incontrollato delle armi e a un sistema economico che beneficia della corsa agli armamenti, occorre riprendere il dialogo tra Chiesa e mondo attraverso cammini educativi che offrano alternative alle logiche ora dominanti. In quest’ottica, l’esperienza dell’obiezione di coscienza e il patrimonio di azioni sperimentate nel passato possono costituire una base da cui ripartire per tornare a educare alla pace e dare prospettive di futuro, specialmente ai giovani. Secondo i vescovi, è urgente lavorare a più livelli per essere costruttori di fraternità, favorendo il dialogo – con una particolare cura di quello ecumenico e interreligioso – con la società e con le Istituzioni, mantenendo alta l’attenzione su scelte legislative non in linea con il Magistero e con i principi sanciti dall’articolo 11 della Costituzione secondo il quale “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. In questo orizzonte, durante la prossima Assemblea generale i vescovi vivranno un momento di preghiera, digiuno e solidarietà per invocare la pace e il conforto per quanti soffrono a causa dei conflitti in corso e fin d’ora alle Diocesi è stato chiesto di accompagnare questa nuova iniziativa di unione e vicinanza.
L’impegno per la pace – è stato sottolineato – deve prendere avvio all’interno delle comunità cristiane, cercando di ricostruirne il tessuto ecclesiale laddove appare ferito. Il Cammino sinodale sta infatti mostrando l’importanza di fare sintesi tra le diverse sensibilità: anche se non tutti si sentono coinvolti, ormai tutti percepiscono l’importanza di questo tempo ecclesiale, voluto da Papa Francesco per la Chiesa universale e dunque anche per le Chiese in Italia. Circa la metà delle Diocesi sta riflettendo, in questa fase sapienziale, sulla formazione – in particolare sull’iniziazione cristiana – e sulla corresponsabilità; altre si concentrano sulla comunicazione e sulle strutture; tutte hanno recepito l’orizzonte missionario come stile nel quale affrontare ogni riforma ecclesiale.
Ripensare l’iniziazione cristiana
In linea con le istanze del Cammino sinodale, i vescovi hanno approfondito la questione dell’iniziazione cristiana, con un focus sulla figura dei padrini e delle madrine. Nella società attuale, se il riferimento ai Sacramenti appare ancora molto diffuso, talvolta risulta svuotato di significato, un fatto convenzionale riconosciuto come elemento della tradizione, ma che non consente più di dare per scontata la fede. Secondo i vescovi, è dunque urgente un ripensamento dei cammini tradizionali che permetta di intrecciare sempre di più la consegna delle forme pratiche della fede con la trasmissione delle esperienze elementari della vita. In tale orizzonte, sarà possibile anche riscoprire e valorizzare il ruolo di padrini e madrine, passando dalla concezione di “sponsor” per un giorno a testimoni autentici nella crescita globale delle persone che ricevono il Sacramento. Sono chiamati ad accompagnare le diverse età e a contribuire all’azione generativa ed educativa dei genitori, in sinergia con la comunità ecclesiale. Secondo i vescovi, è necessario approfondire ulteriormente il tema per costruire una grammatica comune così da evitare l’attuale diversificazione della prassi pastorale delle Chiese locali, che in alcuni casi hanno sospeso la figura dei padrini e delle madrine a causa di un fraintendimento socioculturale.
Insieme ai percorsi di iniziazione cristiana, andrebbe ripensato anche il rapporto con le nuove generazioni, a torto considerate “lontane” da Dio, ma ugualmente portatrici di un bisogno di relazione religiosa e di spiritualità, assai esigente, che carica di responsabilità l’intera comunità ecclesiale. Dei giovani, delle loro attese, della loro visione di Chiesa, i vescovi hanno discusso a partire dagli spunti offerti da un’indagine di Paola Bignardi che ha presentato i risultati dell’Indagine in merito a giovani e fede oggi, curata dall’Istituto Toniolo. Nel contesto attuale – è stato evidenziato – è in atto una trasformazione molto rilevante nella modalità del credere. I giovani esprimono, anche con la loro protesta silenziosa nei confronti della comunità cristiana, il desiderio di un modo nuovo di comprendere l’umano e una domanda di interpretazione della fede dentro questa condizione umana. È in gioco lo stile con cui la Chiesa intende la vita cristiana e la propone. Accogliere queste provocazioni – ha osservato Bignardi – significa per la Chiesa ripensare non solo l’impianto formativo (sebbene questo sia necessario), ma la propria autorappresentazione in rapporto al Vangelo.
Con lo sguardo fisso sull’attualità, i vescovi si sono poi confrontati su alcune sfide che chiedono lungimiranza e coraggio. Nella certezza che, come ha ricordato il cardinal Zuppi, “il Paese non crescerà, se non insieme”, hanno rinnovato l’appello per uno sviluppo unitario, che metta in circolo in modo virtuoso la solidarietà e la sussidiarietà, promuovendo la crescita e non alimentando le disuguaglianze. Da parte sua la Chiesa in Italia, fedele al Vangelo e nel solco del percorso compiuto finora, continuerà a contribuire all’unità, accompagnando le comunità e non lasciandosi spaventare dalle contingenze del tempo presente. In questo senso, il Cammino sinodale si presenta come una grande occasione anche per ravvivare l’entusiasmo nella Chiesa e la fiducia in essa. È da leggere in questa prospettiva il mandato affidato alla Caritas Italiana di studiare un progetto di microcredito sociale da realizzare in occasione del Giubileo. L’iniziativa dovrebbe prevedere l’istituzione di un fondo che permetterà di sostenere quanti hanno difficoltà ad accedere al credito ordinario. Il progetto – che ha come elemento innovativo l’accompagnamento della persona – non dovrebbe esaurirsi tuttavia nell’intervento economico a favore dei singoli, ma coinvolgere e impegnare le Chiese locali nella loro pluralità di soggetti, con l’ulteriore obiettivo di far crescere la rete delle Caritas locali e delle Fondazioni antiusura diocesane.
L’attenzione alla persona è emersa poi nel dibattito sulle preoccupazioni segnalate nell’Introduzione ai lavori. In modo particolare, i vescovi hanno concordato con il presidente sulla necessità di incrementare le cure palliative, regolamentate da un’ottima legge che però non trova ancora la sua piena attuazione, tanto che vi accede meno della metà degli ammalati. Nonostante esse assicurino dignità, supportino il paziente e i familiari nella malattia, la loro applicazione resta in larga parte disattesa. Dinanzi ad una certa deriva eutanasica e alla fuga in avanti di alcune Regioni desiderose di colmare un vuoto legislativo in tema di fine vita, è fondamentale ribadire – è stato detto – che la vita è sacra, sempre e in qualunque condizione, e che su di essa non si può giocare a ribasso.
Consiglio permanente Cei