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Roma
di ETTORE MALNATI - VATICAN NEWS 11 feb 2019 08:29

90 anni fa i Patti Lateranensi

Gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Santa Sede, con i quali per la prima volta dall'Unità d'Italia furono stabilite regolari relazioni bilaterali tra Italia e Vaticano, vennero sottoscritti dal segretario di Stato Vaticano, il card. Pietro Gasparri e da Benito Mussolini per il Regno d'Italia. Vatican News ha affidato il ricordo a mons. Ettore Malnati

L’11 febbraio 1929 venivano sottoscritti i Patti Lateranensi, gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Santa Sede con i quali per la prima volta dall'Unità d'Italia furono stabilite regolari relazioni bilaterali tra Italia e Vaticano.  Gli accordi vennero sottoscritti in San Giovanni in Laterano dal segretario di Stato Vaticano, il card. Pietro Gasparri, per conto della Santa Sede, e da Benito Mussolini per il Regno d'Italia.

Il 90° di questa sottoscrizione, che superava le “legge delle Guarentigie”, per altro mai riconosciuta dalla Santa Sede, approvata dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma, è ricordato questa mattina, con la riflessione riportata di seguito, dal sito www.vaticannews.va di mons. Ettore Malnati, vicario episcopale per il laicato e la cultura - Diocesi di Trieste. I patti Lateranensi entrano poi il vigore il 7 giugno dello stesso anno.

La data dell’11 febbraio 1929 richiama un’azione sapienziale e diplomatica per dare all’intero popolo italiano la ‘conciliazione’ tra Stato e Chiesa. Il grande artefice di questa ‘pace’ fu Pio XI che già dai suoi primi gesti dell’inizio del suo pontificato - come quello di dare la benedizione Urbi et Orbi dalla Loggia di S. Pietro, che era rimasta chiusa dalla presa di Porta Pia, e nella sua prima enciclica del 23 dicembre 1922, Ubi arcano - manifestò il suo pensiero sulla penosa situazione della cosiddetta ‘Questione Romana’ ed il desiderio di mettervi mano al fine di dare a questa una soluzione.

Nell’enciclica Ubi arcano Papa Ratti sottolineava come a conclusione del primo conflitto mondiale parecchi Stati del mondo si erano rivolti alla Santa Sede per stipulare vincoli di concordia e di collaborazione morale e spirituale a favore del bene comune delle loro popolazioni. In quell’enciclica Pio XI accennava alla “dolorosa e penosa” situazione tra lo Stato italiano e la Sede Apostolica. Sempre nella Ubi arcano, il Papa lanciava all’Italia un’assicurazione per indurla a trattare, assicurando che “l’Italia nulla avrà da temere dalla Santa Sede. Il Papa, chiunque egli sia, ripeterà sempre: ‘Io ho pensieri di pace e non di afflizione’ (Ger 29,16), pensieri di pace vera e perciò stesso non disgiunta da giustizia”.

Questo messaggio pian piano fece breccia sia presso il Re, che presso diversi personaggi del mondo politico. Nell’occasione del decimo anniversario della fine della prima guerra mondiale, il Re e tutto il Governo vollero e assistettero in forma ufficiale alla Messa per tutti i caduti in guerra. Fu rimesso il crocifisso in tutte le aule delle scuole pubbliche e introdotto nelle scuole primarie l’insegnamento della religione cattolica. Fu tolta la discriminazione delle scuole private prevista dalla precedente legislazione.

Furono riconosciute le feste religiose proprie dei cattolici. Fu poi concesso all’Università Cattolica di Milano di poter rilasciare diplomi con tutti gli effetti legali. Questo clima venutosi a creare da parte della legislazione dello Stato italiano faceva ben sperare per una trattativa bilaterale per risolvere la ‘Questione Romana’.

Qui, con queste situazioni de jure venivano dissipate le preoccupazioni di Pio IX circa la proposta di Cavour e quella di Visconti Venosta quando lo Stato Sabaudo venne a Roma con la forza e con la concezione di ‘libera Chiesa in libero Stato’. Allora si trattava la Chiesa cattolica alla stregua di qualsiasi associazione di diritto privato. Ma venivano anche superati gli stessi tentativi falliti di Leone XIII con Crispi che, assecondando le legislazioni anticlericali del 1866, 1867 e 1873, spogliò di ogni bene le Confraternite romane e negò giuridicamente presso i tribunali la rivendicazione di questi.

Di fronte allo ‘spiraglio di attenzione’ per la presenza e le attività verso la Chiesa cattolica in Italia, la Santa Sede allora avviò dei rapporti bilaterali riservati già prima del 1926. In queste trattative lunghe e laboriose, portate avanti per la Santa Sede dal cardinale Gasparri e da monsignor Borgongini Duca, insieme con l’avvocato Francesco Pacelli, fratello del nunzio apostolico a Berlino e futuro Pontefice, Pio XI volle essere sempre informato e fece pesare il suo parere intransigente nelle cose essenziali, come ebbe a dire il cardinale Carlo Confalonieri a quel tempo segretario del Pontefice lombardo, e tollerante verso le cose ‘marginali’.

Fu intransigente sul volere lo Stato della Città del Vaticano e la sua sovranità in ragione della piena libertà nell’esercizio del ministero petrino. E siccome, secondo il diritto pubblico non vi può essere vera e assoluta indipendenza senza sovranità e non vi può essere sovranità senza uno Stato, egli volle raggiungere il riconoscimento e la creazione del piccolo Stato e della sovranità del Pontefice su di esso. Circa questo punto Pio XI fu irremovibile e volle che dello Stato fossero ben chiari nel Trattato i singoli elementi, territorio e sudditi. Pio XI volle che nell’art 26 del Trattato fosse scritto che “l’Italia riconosce lo Stato della Città del Vaticano sotto la sovranità del sommo Pontefice”. La sovranità vera e propria era essenziale per la libertà del Pontefice nell’esercizio del suo ministero universale.

Il Papa moralmente cedette all’Italia la città di Roma, anche se la Città Eterna, che era stata conquistata e occupata con la breccia di porta Pia nel 1870, sarà riconosciuta capitale del Regno d’Italia nell’art 26 del trattato tra Santa Sede e Regno d’Italia. Per quanto riguarda l’esercizio della sua giurisdizione di Vescovo di Roma, Pio XI si assicurò la extraterritorialità del Palazzo del Vicariato (stabilito nell’art 15) e stipulando nell’art 1 dei Patti che “in considerazione del carattere sacro della Città eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa esser in contrasto con detto carattere”.

Ciò che stava a cuore a Pio XI era anche la delicata materia dei matrimoni. Durante le trattative per i Patti Lateranensi, con il rappresentante dell’Italia il consigliere Barone, vennero poste le basi del riconoscimento degli effetti civili al matrimonio religioso, ma perdurava da parte del Governo italiano il dissenso circa gli impedimenti e le cause matrimoniali.

Questo problema fu attento e particolare oggetto da parte di Pio XI e si arrivò alla formulazione dell’art.34, partendo da questi fondamentali presupposti: il matrimonio religioso è un sacramento, quindi deve essere regolato esclusivamente dal Diritto canonico; si può consentire che le pubblicazioni per il matrimonio siano fatte oltre che nella parrocchia, anche nella Casa comunale, e che durante il rito del matrimonio il parroco spieghi ai coniugi gli effetti civili, dando lettura degli articoli del codice civile relativi ai diritti e ai doveri dei coniugi.

Il Papa, consultato il S. Uffizio e gli insegnamenti di dottori, cedette alle istanze dei rappresentanti del Governo italiano circa il concedere all’autorità civile la potestà nelle cause di separazione (cfr art 34). Dopo questa trattiva, nella notte dal 4 al 6 febbraio fu approvato nel suo testo definitivo l’articolo 34 dei Patti. L’11 febbraio 1929 furono così siglati i Trattati tra la Santa Sede ed il Regno d’Italia. Giustamente sulla medaglia del Pontificato di Pio XI del 1929 fu impresso questo motto: “Pace Christi Italia reddita”.

ETTORE MALNATI - VATICAN NEWS 11 feb 2019 08:29