Tu non mi vedi: il valore terapeutico dell’arte
È una nuova forma d’arte per esprimere emozioni e capire il mondo degli artisti. Con questo presupposto, Massimo Tedeschi, Presidente dell’Aab, presenta le due mostre che apriranno sabato 23 aprile. Presso la sede Aab di Brescia, alle 18, "Tu non mi vedi. Arte, fotografia e cura della mente" apre le porte al pubblico fino a mercoledì 4 maggio. La seconda sezione della stessa mostra dedicata alle fotografie, che apre alle 17, sarà invece visitabile presso il Ma.co.f in via Moretto 78, nell’ambito del Photefestival, fino al 15 maggio.
“Associazione artisti bresciani (Aab) - puntualizza Tedeschi - collabora di nuovo dopo vent’anni con IRCCS Centro san Giovanni di Dio Fatebenefratelli e Bottega dell’Arte. Vogliamo mostrare il valore terapeutico dell’arte e le grandi creazioni dei nostri ragazzi”. Le opere esposte sono state infatti create da gruppi di persone inserite nelle comunità protette psichiatriche dell’IRCCS.
Questo progetto è stato realizzato col supporto dei volontari del Fondo Il sasso nello stagno della Fondazione Sipec di Brescia, operatori nell’ambito della riabilitazione psicosociale e della terapeutica artistica. “Abbiamo fornito spazi anche nella nostra Fondazione di via Collegato, per questi ragazzi che grazie all’aiuto degli artisti Guido Uggeri e Chiara Cadeddu, e la collaborazione di alcune tirocinanti del Corso di terapeutica artistica dell’Accademia di Belle Arti di Brera, hanno potuto esprimere quello che sentivano in forme d’arte” spiega Alfredo Ghiroldi, referente Fondo Il sasso nello stagno.
“La fotografia è un mezzo per aiutare e per relazionarsi - commenta la fotografa e terapeuta Cadeddu -. Durante il Lockdown, io e Guido ci siamo interrogati per capire come far esprimere i ragazzi. Ho provato a sperimentare in autonomia il foro stenopeico: è una tecnica che toglie dalla macchina fotografica l’obiettivo sostituendolo con un “forellino”. Si tratta di una fotografia istintiva, perché non si vede cosa si sta riprendendo”. Questo processo genera una serie di emozioni di ogni genere, soprattutto se si ha in mente l’idea della fotografia analitica. “Ma questa imperfezione era quello che cercavamo - aggiunge Guido Uggeri, artista di fama nazionale e terapista -. Ci è voluto un anno per completare la sperimentazione, abbiamo organizzato il lavoro in gruppi misti tra pazienti all’interno della struttura e altri che invece ne erano usciti”.
Il risultato di queste foto è un racconto di sofferenza: sono molto scure e affidate al caso non essendoci l’obiettivo, frutto di pazienza perché i tempi di ripresa erano molto lunghi (circa 1 minuto e mezzo a scatto). “Non potevamo mollare al primo tentativo sbagliato - rimarca la fotografa -. Partivamo dal completo buio giocando con la luce, i ragazzi lavoravano insieme, prima puntando una torcia e scegliendo che parte del corpo del proprio compagno illuminare, poi fotografando, e dopo ancora diventando il soggetto della fotografia.”
“Dovevamo gestire anche le loro emozioni: sono soggetti che soffrono di allucinazioni e che hanno una visione completamente distorta di sé stessi. Lavorando al buio con solo ombre, a volte era complicato. Spesse volte ci hanno fatto presente la loro frustrazione perché le fotografie non erano ben definite. I ragazzi ci dicevano sembrava sempre che mancasse qualcosa”, conclude Uggeri.