Tre Pontefici visti da vicino
Ha incrociato la strada di tre grandi Pontefici, è stato al loro fianco con la veste del collaboratore fedele, li ha visti salire alla gloria degli altari con il titolo di santi. “Ringrazio Dio per aver vissuto una grande stagione della Chiesa e per aver avuto la possibilità di conoscere da vicino la bontà paterna di San Giovanni XXIII, l’incontenibile ansia apostolica di San Paolo vi e l’intensità della preghiera e la capacità di veder lontano di San Giovanni Paolo II”. Il card. Giovanni Battista Re, che ha condiviso gran parte del cammino con questi Pontefici, li racconta nel libro “Tre Papi santi conosciuti da vicino: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Libreria editrice vaticana, 2020, pagine 162, 17 euro), regalando a chi legge emozioni e motivi per ripensare e riflettere. L’idea di scrivere il volume, con i ricordi personali che s’intrecciano con la grande storia, “è nata – fa presente l’autore – dalla ricorrenza di tre importanti centenari, impossibili da onorare a causa del coronavirus: la nascita di Karol Wojtyła (18 maggio), l’ordinazione sacerdotale di Giovanni Battista Montini (29 maggio) e la chiamata da Bergamo a Roma di mons. Angelo Roncalli per dirigere la Pontificia Opera della Propagazione della Fede (10 dicembre)”. Il cardinale, giustamente, completa il viaggio dedicando un capitolo anche a Giovanni Paolo I, il Papa dei 33 giorni, che per lui rappresentò davvero “un lampo di bontà”. “Scarpe grosse e cervello fino”: per tipi come Lui il proverbio continua ad essere azzeccato. Monsignore, infatti, la classica andatura da montanaro non l’ha ancora persa; anche la parlata è ancora quella schietta, vagamente rude e sempre chiara dell’uomo della montagna; gli occhi, mobilissimi ed acuti, risentono a volte delle penombre imposte dai palazzi romani sebbene sia palese la loro vocazione a vedere oltre le ombre e gli eventuali paraventi; la mente, invece, non conosce confini e spazia tra filosofia (la sua materia preferita) e diplomazia (l’esatto contrario del suo animo montanaro divenuto, cammin facendo, elemento distintivo di un modo di fare unico). Mons. Re, di ogni piccolo o grande evento avvenuto all’ombra degli ultimi quattro Pontefici, è stato testimone privilegiato e schivo. Adesso, di tre di loro, tutti legati a Concilio, racconta… “Per aprire il Concilio Vaticano II – scrive il cardinale nella introduzione – ci voleva un Papa come Giovanni XXIII, che aveva fiducia illimitata in Dio, ma anche grande fiducia negli uomini. Per questo non si è scoraggiato di fronte a possibili rischi, e oggi si può dire che senza lui il Concilio non ci sarebbe stato. Per portare avanti il Concilio e guidare la sua applicazione – aggiunge – era necessario un Papa con la preparazione di Paolo VI, che conoscesse il mondo contemporaneo, gli uomini e la Curia Romana; un uomo che avesse la finezza intellettuale di capire le situazioni e la fermezza di guidarle. Per imprimere poi una svolta alla storia ci voleva un Papa come Giovanni Paolo II…”. Per preparare il suo arrivo bastò Albino Luciani, Giovanni Paolo I, papa per soli 33 giorni. Con semplicità e sincerità il cardinale Re racconta, spiega, riassume, illumina.
Giovanni Paolo II. Con Giovanni Paolo II ha collaborato a fondo per l’intero suo pontificato, con incarichi impegnativi. “Un primo contatto, del tutto occasionale, l’ho avuto il giorno dopo la sua elezione; stavo andando in Segreteria di Stato alle 17 e, nell’uscire dall’ascensore della Terza Loggia, mi trovai di fronte il nuovo Papa, che stava per andare a fare visita a mons. Andrea Deskur, ricoverato al Gemelli. Spiegai al Papa che nel suo appartamento aveva l’ascensore per scendere al Cortile di San Damaso, mentre quello che stava per prendere andava pure bene, ma era più lontano dalla sua abitazione. Quattro giorni dopo, mons. Jòzek Kowalczyk, sacerdote polacco che lavorava in Segreteria di Stato, mi portò la traduzione in italiano, fatta da polacchi, dell’omelia scritta dal Papa nella sua lingua madre per la sua prima grande celebrazione in Piazza San Pietro, indimenticabile per quel suo: ‘Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo’. Mi fu chiesto di rivedere il testo dal punto di vista della correttezza della lingua italiana. Lessi e rilessi quelle pagine, timoroso di tradire il pensiero del Papa, apportandovi lievi ritocchi lessicali, perché fosse reso bene il senso originale”.