Sapelli e l'Europa che non c'è
“La grande sfida dell'Unione Europea”. E' questo il tema dell'incontro di lunedì scorso, promosso dalla Fondazione San Benedetto, con l'economista torinese: "Sono pessimista nel breve periodo, ma ottimista in una prospettiva più lunga”
A meno di tre settimane dal voto europeo la Fondazione San Benedetto ha promosso un incontro, presso il Centro pastorale Paolo VI, con l'economista Giulio Sapelli sul tema “La grande sfida dell'Unione Europea”. Il presidente della realtà di Borgo Whurer, Graziano Tarantini, ha introdotto i lavori palesando come la classe politica italiana, alla vigilia di un appuntamento tanto importante, mostri una certa ritrosia a parlare di Europa e invece di affidarsi a giovani capaci scelga rappresentanti maturi, forse perchè sempre meno coinvolta nelle scelte di Strasburgo e Bruxelles o soprattutto perchè scarsamente informata sui fondamenti. L'intervento di Sapelli, come al solito caustico e ironico, ha evidenziato più ombre che luci nel "sistema Europa".
Fu il politico francese Jean Monnet, nel 1950, a tentare un passo irreversibile verso l'unione dei paesi europei preparando il testo della Dichiarazione Shuman, che è considerato il primo discorso politico ufficiale in cui compare il concetto di Europa intesa come unione economica e, in prospettiva, politica tra i vari Stati. Ma oggi, che potere ha l'Europa? “Prima di elencare i famosi poteri dell'Europa – spiega Sapelli - bisogna chiedersi se l'Europa è uno Stato di diritto. Si parla di Comunità europea, ma non esiste una Costituzione europea, diversi tentativi sono stati bocciati. L'Europa non è né uno Stato federale, come gli Stati Uniti, né uno Stato confederale come la Svizzera. C'è una Corte di Giustizia, ma il Parlamento, a differenza di quelli nazionali, non promulga leggi che spettano alla Commissione europea. La verità è che l'Unione europea si è fatta perchè esisteva l'Unione sovietica. Bisognava creare una potenza nucleare che si affiancasse alla Nato in funzione antisovietica”. Il resto sono le "favole" europee. “L'idea è che l'Europa abbia favorito la crescita economica, ma la crescita c'è stata in tutto il mondo. Il fatto che la costruzione dell'Europa sia servita ad evitare le guerre, ma a 70 km da Trieste non c'è stata forse per anni una guerra massacrante in Paesi che oggi sono entrati in Europa?”. L'incontro continua con una serie di domande-risposte. Perchè allora andare a votare? “Nel primo governo di centro-sinistra Pietro Nenni disse: “Da oggi faremo una legge che se anche non votate non sarete più iscritti nella fedina penale”. Oggi abbiamo anche la libertà di non andare a votare. È solo lo spirito di passione che ci dice di andare a votare, ma occorre rispettare l'astensione. Solo le dittature hanno affluenze da record”. Qual è l'interesse prevalente dell'Italia? “L'Italia è una media potenza che al massimo può avere un interesse regionale. Non siamo in grado di riconoscere gli interessi superiori, ma questa è la nostra storia che ci ha visti al fianco ora dell'una, ora dell'altra delle potenze europee. Il nostro interesse prevalente dovrebbe essere combattere il fatto che in Europa si formi un duopolio”. Quali sono i programmi giusti? “La prima cosa è rinegoziare la politica economica, a partire dal Fiscal Compact. E poi la cultura. Fare una vera università europea, lottare per la verità contro il senso comune, contro la disgregazione morale. Per ricivilizzare i popoli. Sono pessimista nel breve periodo, ma ottimista in una prospettiva più lunga”.
Tarantini, a chiusura dell'incontro, ha esortato a non fermarsi rispetto al sentito dire, a giocare la nostra libertà, che deve avere uno sviluppo altrimenti è una parola vuota. “Occorre un criterio per combattere ciò che si critica, la Fondazione San Benedetto ci prova con le sue iniziative”.