Preghiere illustrate del Corano per bambini sordi
Pronti, partenza, via… È iniziato il Festival Dòsti! Da oggi, sabato 6 maggio, fino a sabato 13 maggio, tantissimi gli appuntamenti in programma nel segno di “Morire e rinascere. Le religioni si confrontano”.
Evento inaugurale del Festival è stata la presentazione del libro “Preghiere illustrate dal Corano per bambini sordi musulmani” (Epta Editions, 2021) di Marisa Bonomi, con illustrazioni di Stefania Pedna e Roberta Dallara, presso il Centro Culturali Islamico di via Corsica a Brescia. Il confronto con l’autrice è stato coordinato da Omar Ajam e tenuto dall’Imam Sheik Amen Al-Hazmi, don Roberto Ferranti e Naima Daoudagh.
È fonte di disagio e di dolore per le madri musulmane, cui è affidata l’educazione religiosa del bambino nei suoi primi anni di vita, vedere la grande difficoltà che i loro piccoli non udenti manifestano nell’apprendimento delle preghiere. Infatti, per i bambini sordi è molto difficile imparare una lingua nuova, l’arabo classico, con cui dovrebbero pregare, mentre stanno ancora faticando per padroneggiare qualche parola di italiano e della loro lingua madre parlata in casa.
Nonostante le difficoltà oggettive poste dalla sordità, i genitori fanno comunque partecipare anche il bambino sordo alle lezioni di Corano che gli altri figli seguono. Le madri si sono mostrate quindi interessate all’ipotesi di una traduzione in Lis (Lingua dei Segni Italiana) delle preghiere:
tale lingua non solo può facilitare l’apprendimento delle preghiere, ma può anche favorire un maggior
coinvolgimento dei genitori nella comunicazione col bambino e nel sostegno al suo processo di
crescita.
“Questo libro – spiega l’autrice Marisa Bonomi, psicologa e psicoterapeuta – è nato dalle richieste di mamme musulmane di bambini sordi, che abbiamo conosciuto durante alcune visite domiciliari. Queste mamme, infatti, ci hanno confessato, con dispiacere, di avere grandi difficoltà a educare il proprio figlio non udente alla religione musulmana. Partendo da questa segnalazione abbiamo iniziato a fare ricerche sulla letteratura internazionale esistente, guardando soprattutto al modello inglese, americano e indonesiano. Ci siamo chiesti, per esempio, come altre comunità avessero affrontato e risolto il problema dell’educazione dei bambinisordi. Abbiamo trovato dei video con la traduzione nella lingua dei segni delle principali Sure del Corano, dedicati però agli adulti. In particolare, a Londra, esiste un centro che ha come compito fondamentale quello di tradurre l’intero Corano nella lingua dei segni.
Tuttavia, in questa ricerca, non abbiamo trovato nulla di specifico per i bambini. Abbiamo allora deciso di colmare questa lacuna traducendo le prime preghiere, quelle più semplici, affinchè le mamme musulmane le possano insegnare con più facilità”.
Il lavoro difficile, complesso, lungo nel tempo, è frutto della collaborazione di Marisa Bonomi e delle
due illustratrici Stefania Pedna e Roberta Dallara con il Centro Culturale Islamico di Brescia, il Pio Istituto dei Sordi di Milano e l’Ufficio per il dialogo interreligioso della Diocesi di Brescia. Fondamentale nello sviluppo del progetto è stata anche Naima Daoudagh, la quale nel 2017 ha realizzato il libretto “Le mie preghiere in Lis” per i piccoli non udenti italiani. Le illustrazioni trasmettono globalmente il senso della preghiera, con una valenza affettiva e poetica per una partecipazione emozionale e affettiva. I segni arabi inseriti nella traduzione hanno ricevuto l’assenso della Grande Moschea di Roma.
“Mi piacerebbe che questa collaborazione possa portare una conseguenza positiva, quindi all’aumento della sensibilità dei responsabili dell’educazione religiosa dei bambini musulmani disabili. Mi auguro che questo libro possa permettere alle mamme con figli sordi o disabili di avere uno spazio in moschea dove ritrovarsi per parlare delle proprie diverse esperienze e problemi, confrontandosi per capire e aiutare al meglio questi bambini. La proposta della Lis come segno di accoglienza verso chi è “diverso” è legata alla speranza che i genitori musulmani apprezzino il tentativo di fornire loro uno strumento per l’educazione religiosa dei bambini che integri anche elementi appartenenti alla loro cultura d’origine. Il mètissage è la strada da percorrere per superare giudizi affrettati, rendere più complessi i nostri modelli, realizzare, senza che venga persa la propria identità, una integrazione con chi è Altro. Questo lavoro è frutto della convinzione che non possiamo perdere per strada gli emarginato, fra tutti i più bisognosi di sentire fiducia e speranza intorno a loro. Esistono, tra gli emigranti, anche famiglie costituite interamente da non udenti, spesso con difficoltà enormi di integrazione, “dimenticati” dai servizi, con poche risorse non solo per comprendere i meccanismi di funzionamento della società d’accoglienza, ma anche per interiorizzare gli elementi della propria cultura e trasmettere ai figli la religione dei padri. Per favorire la fiducia e la speranza, e parteciparne noi stessi, dobbiamo offrire all’Altro segnali di rispetto per la sua cultura e identità: si tratta di sostituire al giudizio, l’accoglimento e la comprensione della complessità delle diverse esperienze di vita e del
dolore che le accompagna”.
Includere è quindi una parola chiave anche per la religione. E farlo per i più piccoli può essere
fondamentale per agevolare e aiutare la loro crescita. “Ogni bambino sordo vive la sua sordità in modo diverso, a seconda della cultura e dell’ambiente in cui vive – continua sempre Marisa Bonomi –. In Italia, c’è poco spazio alla comunicazione gestuale. Ci si dimentica che il bambino non udente sia limitato nell’apprendimento della lingua verbale. L’essere umano impara a parlare attraverso l’udito, mentre il bambino sordo apprende a comunicare attraverso il canale visivo utilizzando il gesto. Ecco perché i bambini non udenti sono bilingue per natura: devono appartenere a due mondi diversi, quello degli udenti e quello dei non udenti. L’equilibrio psichico del bambino sordo, del resto, dipende in gran parte da come il bambino riesce a sviluppare questa appartenenza: deve stare bene in entrambi i mondi".