Dal "Sottosuolo" risonanze bibliche
Giovedì scorso la Fondazione San Benedetto ha organizzato una presentazione degli "Scritti dal sottosuolo" di Dostoevskij, in un'edizione de La Scuola curata da Tat’jana Aleksandrovna Kasatkina ed Elena Mazzola
"Conservatore, ma non tradizionalista; zarista, ma democratico: cristiano, ma non cattolico romano; liberale, ma non progressista: uno in grado di scontentare ogni partito”. Era così Fëdor Michajlovič Dostoevskij secondo André Gide, come ha sottolineato Paola Carmignani del Giornale di Brescia, presentando la nuova traduzione delle “Memorie dal sottosuolo” pubblicata dalla bresciana Editrice La Scuola e curata da Tat’jana Kasatkina, docente al dipartimento di Teoria della letteratura dell'Accademia delle scienze russa, ed Elena Mazzola, Senior Researcher presso il dipartimento di Teoria delle letteratura dell’istituto di Letteratura Mondiale dell’Accademia delle scienze russa. “Ci abitueremo a chiamarli ‘Scritti dal sottosuolo’ anche se le abbiamo sempre definite ‘Memorie’” ha commentato la giornalista, prima di passare la parola alle due esperte delle pagine dostojevskiane.
Gli amanti del gigante russo della letteratura hanno, oggi, la possibilità di rileggere le “Memorie” sotto una nuova luce: “L’inizio di tutto è avvenuto durante un lavoro presso una scuola estiva per insegnanti di Letteratura e filosofia. Analizzando il testo - ha sottolineato Tat’jana Kasatkina - ci siamo accorti che i traduttori o non riuscivano a vedere o non ritenevano necessario ed essenziale tradurre le allusioni bibliche o le citazioni esplicite di cui è ricco il testo di Dostoevskij”. Chi ha letto il testo nelle varianti esistenti non trova traccia, come aveva sottolineato lo stesso autore, “della necessità del fatto che l’uomo ha bisogno di Cristo e dell’esistenza dell’immortalità”. Infatti, in una lettera inviata al fratello, durante la stesura del libro, Dostoevskij aveva scritto: “Quei porci dei censori, nei punti in cui mi faccio beffe di tutto e talvolta bestemmio facendolo apposta – hanno lasciato correre, ma laddove da tutto ciò faccio derivare la necessità della fede e di Cristo – quel punto l’hanno vietato”.
Negli “Scritti” l’autore decide di presentare la terra così come viene delineata da quelli che Dostoevskij definiva “medici-socialisti”. Secondo quest’ultimi “l’umanità era malata e loro avevano il compito di guarirla”, concependo la Terra come uno spazio assolutamente chiuso, “non come un sistema inserito nell’universo”. E’ qui che si inserisce il “muro di pietra”, l’elemento che nella prima parte del volume viene citato di sovente. Contro questo muro si scontrano i desideri, le tensioni, gli impeti degli uomini. Il protagonista non intende arrendersi ai limiti imposti, la sua è una rivolta contro la rappresentazione della Terra come qualcosa di limitato entro dei confini, come un sistema autonomo, chiuso, dove i desideri degli uomini sono impossibili da realizzare. Quindi, “se c’è qualcosa che non va non sono i desideri degli uomini, ma questa rappresentazione del mondo”. E’ qui che si colloca la rivolta ideale di Dostoevskij che la critica ha sempre individuato come una ribellione nei confronti di Dio, mentre era invece indirizzata nei confronti di una certa visione del mondo: “L’uomo non è una creatura che può essere trattenuta all’interno di un gregge”.
L’altro elemento citato dall’autore, e che spesso è stato oggetto di controversie circa l’interpretazione, è il “Palazzo di cristallo”: “Quando l’uomo diventerà davvero tale, allora sarà costruito il Palazzo di cristallo” scrive Dostoevskij. I lettori come la critica hanno sempre pensato che l’autore si riferisse al Palazzo di Cristallo dell’Esposizione universale di Londra (eretto nel 1851). L’altra ipotesi vedeva nel “Palazzo di cristallo” un riferimento – tratto da un romanzo dell’epoca – al lavoro dei cosiddetti medici-socialisti: “Questo palazzo di vetro e metallo veniva visto come una casa comune dell’umanità che i lettori contemporanei chiamavano un’immensa casa pubblica, un bordello, perché, di fatto, era così la vita che si svolgeva in quel luogo”. Era la vita comunitaria auspicata dagli allora socialisti. Ambedue le ipotesi hanno un modello comune. Stando all’analisi di Tat’jana Kasatkina Dostoevskij faceva riferimento a “un modello che conosce chiunque abbia letto il Vangelo: la Città di cristallo, la Nuova Gerusalemme”. Chi faceva riferimento al Palazzo di cristallo “aveva la pretesa che quel qualcosa che doveva accadere nel momento conclusivo dello sviluppo dell’umanità lì fosse accaduta”. E’ anche contro queste pretese che si ribella l’uomo del Sottosuolo. Egli afferma infatti: “No, il Palazzo di cristallo che mi state mostrando è un palazzo verso il quale non mi viene voglia di fare nemmeno la linguaccia”. “Non che io sia una persona alla quale piaccia tirare fuori la lingua, sarei pronto a mordermela, se soltanto mi mostrassero un Palazzo di cristallo alla quale non mi venisse voglia di mostrarla”. E’ da questo passo che si evince un altro riferimento biblico. “E’ un’allusione diretta al salmo dei Giudei su Gerusalemme in cui è detto: ‘Mi si attacchi la lingua al palato se mi dimenticherò di te Gerusalemme. Se non ti metterò come fondamento della mia salvezza”. L’imperfezione dei Palazzi di cristallo terreni dove è impossibile realizzare i propri desideri porta l’uomo del sottosuolo a chiedersi il perché della propria insoddisfazione, quando molti altri si accontentano del mondo così come gli è stato preconfezionato. Al lettore spetta il compito di cercare di rispondere alle domande poste. L’autore invita il lettore a una ricerca continua, senza dare risposte definitive pur propugnando il suo manifesto di rivolta: “Questo rappresenta – ha chiosato Tat’jana Kasatkina - la stima senza limiti che ha Dostoevskij per la nostra libertà”.