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Mosca
di R. GUATTA CALDINI 19 lug 2015 00:00

La bellezza di Cristo sulle orme di Dostoevskij e Tolstoj

Dal 10 al 17 luglio, per iniziativa della Fondazione San Benedetto, si è tenuto un viaggio all'insegna dei due giganti della letteratura russa

Si erano appena lasciati alle spalle la magia delle "notti bianche" di San Pietroburgo quando, prima di raggiungere Mosca, si sono recati al cimitero Tichvin, adiacente alla "lavra" Aleksandr Nevskij. Qui li ha accolti una pioggia leggera, come a ricordare che anche il cielo piange i figli che hanno reso grande la Russia. Tra le pietre che custodiscono il riposo di Čajkovskij e Lomonosov, appartato in un angolo, spicca il volto bronzeo di Fëdor Michajlovic Dostoevskij, costantemente circondato da rose e crisantemi, fiori che quotidianamente vengono portati da chi, in Russia come nel resto del mondo, ha saputo cogliere, fra le pagine dell'autore de "I fratelli Karamazov", la bellezza di Cristo, la voce che nonostante l'oblio imposto dal regime sovietico non ha mai smesso di scuotere le coscienze, con un portato esistenziale tragico, ma intriso di un'estrema tenerezza. Di tutto questo sono stati testimoni i "pellegrini" che - grazie all'organizzazione della Fondazione Russia Cristiana (nata sulla scorta dell'esperienza intrapresa nel 1957 da padre Romano Scalfi) e all'iniziativa di uno dei più appassionati studiosi di Dostoevskij, il presidente della Fondazione San Benedetto Graziano Tarantini - hanno intrapreso un viaggio, dal 10 al 17 luglio, sulle tracce che nel tempo e nello spazio hanno lasciato Dostoevskij e Tolstoj. A guidare il cammino fra le testimonianze cattoliche e ortodosse e' stata una delle colonne portanti di Russia Cristiana, Marta Dell'Asta, profonda conoscitrice della letteratura russa e protagonista della riscoperta di quelle "voci" che hanno contribuito, seppur nella clandestinità, al tramonto di uno dei periodi più bui della storia umana. A lei abbiamo posto qualche domanda, anche a fronte degli incontri avvenuti durante il viaggio con personalità della Chiesa e della cultura.

Di solito le più belle esperienze nascono da un incontro. Nel vostro caso, stiamo parlando di Russia Cristiana, di chi era lo sguardo che avete incrociato e che vi ha spinto ad intraprendere un viaggio che ormai dura da decenni?

Padre Romano Scalfi ha intuito la grandezza della Russia tramite la liturgia, quindi tramite la bellezza. Più che l'incontro con una persona è stato l'incontro con la bellezza, che al di là di ogni crisi sociale e politica - come poteva essere quella del mondo sovietico - faceva intuire che c'era un tesoro nascosto che valeva la pena svelare. Per me è stato invece l'incontro con lui, con il suo sguardo verso questa bellezza. Fino a quel momento la cultura russa, quella del mondo accademico, non mi aveva particolarmente entusiasmato. Nel suo sguardo che andava a cercare l'essenziale in questa cultura sono stata aiutata anche io a guardare l'essenziale, attraverso padre Scalfi, come tramite vari amici russi che abbiamo conosciuto fin dai tempi del comunismo, già dagli anni '70 del Novecento. Vedere come loro vivevano, con fatica, di nascosto, ma con coraggio e speranza, è stato un enorme sprone anche per me.

Da San Pietroburgo a Mosca e poi via lungo la pianura, fino alla casa di Tolstoj nella tenuta di Jasnaja Poljana e al monastero di Optina Pustyn, sui passi di Dostoevskij e Tolstoj. Secondo la studiosa di letteratura russa Ljudmila Saraskina, biografa ufficiale di Solženicyn, che avete potuto ascoltare, siamo di fronte a "due gemelli che guardano da parti opposte". Cosa si cela dietro questa definizione?

In ultima analisi si cela il loro rapporto personale con Cristo, perché tutti e due erano uomini che si lasciavano provocare dalla realtà. Hanno vissuto in ambienti diversi e hanno vissuto in modo differente. Tolstoj era un nobile, mentre Dostoevskij è stato anche un galeotto... ma ogni cosa che vedevano li provocava e poneva loro interrogativi sulla vita. Il punto discriminante penso stia proprio nella figura di Cristo. Per Dostoevskij c'è stato un abbracciare Cristo: “la persona più affascinante – ha scritto in una lettera – più simpatica, più virile, più intelligente”, un uomo perfettamente concreto ma immerso nel Mistero della bellezza divina. Tolstoj, invece, ha sempre avuto una difficoltà profonda nel rapportarsi con Cristo, come se non avesse mai voluto cedergli, cedere al suo fascino. Ha cercato di usarlo, strappando dalla persona di Cristo la sua morale, facendo violenza a sé stesso. Non è mai stato contento di questo: da una parte ha rifiutato Cristo dall'altra lo ha cercato fino all'ultimo giorno di vita.

Il nunzio apostolico a Mosca - mons. Ivan Jurkovič, che avete incontrato nel vostro viaggio - ha definito Dostoevskij "una ricchezza per il cristianesimo". Qual e' il patrimonio che ha lasciato?

Dostoevskij penso sia il trionfo della ragione umana che sposa la fede. L'esperienza che aveva avuto, prima di rivoluzionario affascinato dall'ideologia, poi di uomo che ha sofferto e che ha peccato, gli impediva di accettare la fede come una forma di tradizione assodata, “morta”, ferma: questo non poteva essere abbastanza per lui. Dostoevskij aveva bisogno di dare risposte alla sua ragione, definisce infatti se stesso “un figlio del secolo, figlio del dubbio e della negazione”. Di questo segno della modernità, che ci portiamo dietro anche noi, lui ne era perfettamente consapevole, ma attraverso questo dubbio, questa negazione, ha voluto andare fino in fondo a ritrovare la bellezza di Cristo. Il suo è stato un cammino di estrema modernità. Ha visto tutte le tentazioni della ragione moderna, le ha vissute in prima persona, scoprendo che la fede non è un rifugio intimistico fuori dal mondo, ma è la vera risposta a tutti i problemi umani.

Le tappe che avete percorso Lei le conosce bene. C'è un posto in cui torna volentieri?

A me piace tantissimo Jasnaja Poljana, perché è il luogo dove Tolstoj ha vissuto il suo dramma personale fino all'ultimo. D'altra parte è anche un luogo di pace e di riposo per l'anima. Sentimenti e atmosfere vissuti da Tolstoj e che il posto ancora oggi comunica. E' un luogo in cui ognuno è aiutato a ritrovare se stesso.

E in merito a Dostoevskij?

La sua tomba. E' semplice, sempre piena di fiori: segno che c'è gente che ancora guarda a lui, che ancora lo ama. Per me è sempre commovente, ogni volta che ci vado ripenso a tutto quello che ha vissuto, ai dolori, alle fatiche, agli errori, come anche all'amore di sua moglie che lo ha accompagnato fino in fondo. In questo senso si vede il dramma pacificato...

Per quanto riguarda le prospettive della Russia, ricordiamo che Lei ha assistito a dei cambiamenti radicali, dal suo osservatorio privilegiato all'orizzonte cosa vede?

La Russia sta vivendo un passaggio difficile nella sua storia. Alcuni dicono che la vera uscita dal comunismo, dal regime sovietico, sta avvenendo oggi. Bisogna dire che quando è caduto il regime è avvenuto tutto in modo straordinariamente, direi miracolosamente, tranquillo: senza spargimento di sangue, pur con tutto l'odio che si era accumulato negli anni. E' come se la coscienza sociale non avesse recepito immediatamente questo salto radicale. Nel tempo, però, sono tornati i vecchi schemi mentali, le vecchie tentazioni. Adesso, con le attuali difficoltà, con la guerra in Ucraina, con la crisi economica, è come se ci fosse questo contraccolpo forte e il Paese dovesse ri-decidere che strada intraprendere. E' sicuramente una dura battaglia, ma questo popolo ha una ricchezza alle spalle profonda, una fede che ha dato grandi Santi, grandi uomini, come Dostoevskij e Tolstoj. Tutto questo non si può azzerare, è un humus sano da cui può uscire qualcosa di buono. C'è, quindi, una fiducia di fondo.
R. GUATTA CALDINI 19 lug 2015 00:00