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Brescia
di GIANNANTONIO SAMPOGNARO 03 mag 2017 19:57

Foscolo, "animo mai tranquillo"

Giovedì 6 aprile si è tenuta la seconda serata del Mese Letterario che ha visto Valerio Capasa cimentarsi con le pagine di Ugo Foscolo

Nell’ambito dell’ottava edizione del Mese Letterario organizzata dalla Fondazione San Benedetto, il secondo incontro dei quattro previsti è stato dedicato alla figura di Ugo Foscolo. Il titolo della rassegna “Viaggiatori innamorati della bufera. La vita, un viaggio duro, ma meraviglioso” vuole indicare che uno dei segni di riconoscimento lampanti della vera, grande letteratura si palesa quando nelle opere di un autore emerge distinta l’urgenza di affrontare il viaggio della vita anche e sopratutto nelle tempeste, verso un compimento magari solo intuito, presentito, ma certo. Foscolo si è rivelato proprio uno di questi scrittori, grazie alla relazione svolta brillantemente da Valerio Capasa. Quest’ultimo è un volto noto agli spettatori del Mese Letterario: pugliese,  esperto di Cesare Pavese, Capasa è un docente di letteratura convinto che per farla amare bisogna parlare con gli autori piuttosto che parlare degli autori. Usando come chiave di lettura “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, opera scritta da Foscolo a vent’anni, Capasa ha specificato che tutta l’opera dello scrittore evoca il problema suscitato da questo romanzo epistolare - e che non riguarda solo i giovani - e cioè se vale la pena vivere. Lo scrittore sente su di sé le contraddizioni del suo tempo, il culmine storico dell’Illuminismo che pretende che esista solo ciò che l’uomo può misurare, manipolare e dominare tramite la ragione. Foscolo, tramite il suo alter ego Jacopo Ortis, così si interroga:  “Che ne è di un uomo abbandonato alla ragione fredda e calcolatrice?”. Riconosce  in tal modo che la bellezza evidentemente presente nel mondo bagna gli occhi di gratitudine a chi vi porge attenzione, constatando pur amaramente che ci si può muovere nella realtà come camminando nelle tenebre o in un deserto, se non la si guarda veramente.

Capasa ha testimoniato che i ragazzi, in mezzo ai quali vive e insegna, quando prorompono in domande incandescenti, vedono che tanti adulti oppongono dei discorsi magari giusti, ma talmente glaciali che i giovani prendono a detestarli. L’inquietudine che nell’adolescenza emerge non è un fenomeno passeggero, bensì caratterizza l’intera vita; si può a un certo punto soffocarla e fingere di averla "superata", ma di fatto si è semplicemente censurata una parte essenziale di sé. La saggezza non è distacco dalla realtà, quasi apatia.  Farà dire a Ortis: “La loro virtù è una massa di ghiaccio che attrae tutto in se stessa e irrigidisce chi le si accosta”, mentre perfino l’Antico Testamento ci ricorda che “nemmeno Dio sta sempre nella sua maestosa tranquillità, ma si ravvolge negli aquiloni e passeggia con le tempeste”. Il docente di letteratura ha giustamente poi ammonito che se noi potessimo essere certi solamente, come esige Voltaire, della matematica e della geometria, sorgerebbe qualche grave problema. Foscolo dirà riguardo a sé: “Tutto dipende dal cuore, questo mio cuore prepotente, che non ha mai saputo far pace con la ragione e il suo tempo”. La vera differenza tra ragione e cuore non è la differenza tra analisi e sentimento; la vera differenza è tra quando si ragiona in astratto e tra quando si pensa alla realtà alla luce delle persone a cui si vuole più bene. Il cuore è il pensiero innamorato di una persona, è il pensiero alla luce di un rapporto. Così con Teresa, la ragazza di cui Jacopo si innamora, si passa dall’innamoramento alla scoperta della persona amata come presenza di cui non impossessarsi. E ancora, sotto un cielo stellato guardato con partecipazione, “la mia mente - afferma Ortis -  contraeva un non so che di celeste, e il mio cuore si innalzava”: mente e cuore stanno insieme e vanno dalla stessa parte, puntando al di là delle stelle.

Ai filosofi suoi contemporanei, che gli ripetono che tutto ciò sono solo illusioni, Foscolo ribatte: “Chiamatele illusioni, ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore o, che mi spaventa ancor di più, nella rigida e noiosa indolenza”. La vita senza grandi ideali è noiosa indolenza. Del resto, come lo scrittore dichiara nella sua opera più famosa, "Dei sepolcri", “gli occhi dell’uomo cercano morendo il sole”. Il desiderio di vita è più forte di ogni mortalità. I dati sono due, irriducibili: l’uomo muore e non vuole morire. Per capire se vale la pena di vivere, ancora Jacopo Ortis domanda: “Dove cerco aiuto? Non in me, non negli uomini”. “Dove potrò trovare uomini diversi dagli uomini?”. Uomini, quindi, che portino su questa terra qualcosa non di questo mondo.  La conclusione di Capasa è che, secondo l’esperienza di Foscolo, la ragione si perfeziona soltanto quando trova quell’armonia segreta che risponde ai suoi bisogni, ai suoi desideri, l’armonia che la letteratura e le arti custodiscono e tramandano, “e quanto più trova sì fatta armonia, quanto più la sente e ne gode, tanto più le sue passioni si destano ad esaltarsi e a purificarsi, e quindi la sua ragione si perfeziona”. Infine Capasa ha esortato la platea a  non avere l’animo mai tranquillo, proprio come Ugo Foscolo...

GIANNANTONIO SAMPOGNARO 03 mag 2017 19:57