Divorzio: tra legge e coscienza
Cinquant’anni fa l’approvazione della norma. Ma solo con il referendum di 4 anni dopo si scatenò anche la battaglia politica
In questi giorni, nonostante l’incubo pandemico, non è passato inosservato il 50° anniversario della approvazione della legge che ha legalizzato il divorzio. Molti hanno riproposto la convinzione che quella legge sia stato il primo sasso che ha provocato la valanga delle rivendicazioni laiciste il cui elenco non è ancora completo. Di certo fu un evento sconvolgente per la comunità che comunque derubricò l’evento come frutto di una cultura che veniva da altre contrade. Non ci siamo resi conto che quello era uno dei segni che annunciavano l’arrivo di un’epoca nuova. Perché in quegli anni ci fu il boom economico. Ma soprattutto arrivarono il cinema, la televisione, il telefono nelle case, una prima semi-edicola (bisognava prenotare i giornali), le automobili e tutto il resto che oggi si tende ad ignorare alla ricerca dei colpevoli del degrado. Poi è venuto il ’68 degli studenti, il ’69 dei metalmeccanici e della prima strage fascista che aprì la lunga stagione delle violenze multicolori.
In quegli anni i ritmi e le condizioni della vita subirono un’accelerazione improvvisa. Di fatto nel giro di pochi anni non solo si rivoltò il mondo che intanto era entrato in tutte le case. Crollarono tutti i confini. Con gli spostamenti sempre più frequenti da un Paese all’altro, ma soprattutto con il diffondersi di culture fino ad allora estranee alle nostre contrade. Si era determinata in tal modo una sproporzione crescente fra l’esperienza personale (e comunitaria) e i processi sociali. Per cui la sensazione, arrivata fino a noi, era quella di vivere in un mondo indescrivibile, inafferrabile, spesso incomprensibile ai livelli più profondi. Questo racconta la fatica di individuare il terreno comune su cui costruire il futuro. E quale futuro. Senza dimenticare che la risposta alle provocazioni della storia non possono essere individuali, ma comportano la somma e la rielaborazione di molte scelte individuali. Oggi, come ieri, l’abbaglio più diffuso è quello di confondere la causa con gli effetti e viceversa. Il problema di fondo è che i cambiamenti evidenti cui ho fatto cenno hanno causato un ribaltamento della cultura generale (anche religiosa) che invocava una capacità di confronto e di rielaborazione. Non certo del Vangelo o dell’etica cristiana, ma del modo di continuare ad essere testimoni di una fede eterna che aveva bisogno di essere incarnata in un mondo nuovo, secondo i nuovi ritmi.
Se vogliamo restare al tema del divorzio, non bastava e non basta proclamare solennemente l’indissolubilità del matrimonio rispetto a un cinema e a una televisione che facevano fatica a raccontare storie dove non ci fossero divorziati: era necessario ricostruire i modi e i tempi di formazione delle coscienze per generare testimoni. Invece si è continuato a reiterare modi e tempi di sempre, nella convinzione che la verità avrebbe comunque trionfato; e a “snidare” il nemico, anziché prestare attenzione ai segni dei tempi e dare risposte nuove a domande nuove. Dentro una comunicazione culturalmente ed eticamente caotica, sempre più invasiva e pervasiva. Nel caso specifico del divorzio c’è da sottolineare un altro aspetto, quello politico. Nel momento in cui veniva approvata la legge, la Democrazia cristiana aveva il potere e quindi la possibilità di fermare qualsiasi norma. Con il divorzio non lo ha fatto. Non sta a me spiegare le ragioni di quella scelta, ma posso ricordare che la battaglia pubblica non è avvenuta nel momento dell’approvazione della legge, ma quattro anni dopo, in occasione del referendum del 12 e 13 maggio 1974. Il che mi ha fatto pensare allora, e penso oggi, che molti cattolici fossero convinti che il referendum avrebbe cancellato la legge. Perché non si era ancora capito che il mondo era cambiato e non era in gioco il potere della legge, ma le scelte delle coscienze. Scenario che si è ripetuto anche a proposito della legge sull’aborto. E a proposito di tutto il resto che ancora ci avvolge e spesso ci paralizza. Non c’è da meravigliarsi perché la mentalità del “contro” anziché del “perché”, è tuttora diffusa nonostante il moltiplicarsi delle sconfitte.