Con Zalone ridiamo di noi stessi. Di quello che noi italiani siamo diventati…
Una chiave interpretativa per comprendere il “fenomeno Zalone”, il codice comunicativo alla base del suo successo
Che cosa sta sotto a tale “miracolo”? Sicuramente un lavoro geniale, fatto ad arte insieme a Gennaro Nunziante che, ricordiamolo, come regista e autore fa coppia fissa da anni con il bravo comico, “performer”, cantante nonché attore Luca Pasquale Medici (in arte Checco Zalone). C’è chi lo annovera tra i Sordi, Risi, Totò e i grandi della commedia italiana e chi invece ancora lo denigra come “furbetto” di bassa volgarità e dalla risata facile. Saranno i posteri a giudicare. Checco Zalone, sta di fatto, sa arrivare dritto là dove a volte le nostre intelligenze sublimi non sanno portarci. Perché ignoranti o poco colti? Forse, ma soprattutto perché molte volte, incupiti nelle nostre riflessioni più profonde che vanno alla ricerca di un senso (quale poi?) e avvolti da parole altisonanti, auliche che messe in fila una dietro all’altra hanno il solo potere di metterci in confusione (e dunque?), abbiamo bisogno di qualcuno che con il sorriso ci faccia comprendere quello che oggi siamo. Forse sta tutto qui il suo successo “popolare”, proprio perché di tutti, accessibile e comprensibile anche dal “volgo”.
In “Quo vado?” noi ridiamo in fondo di noi stessi, di quello che siamo diventati grazie forse al concorso anche di “altri” (per cui anche Checco dà fastidio). Non c’è più il posto fisso, una famiglia “normale”, una etnia e un’unica religione che ci accomunano eppure ci possono essere valori che ci uniscono, che ci richiamano al dovere di educare la propria coscienza ad aprirci all’altro, alla condivisione ad una comunione che è più grande del giardino che ci circonda. C’è un senso di umanità in Checco Zalone, sebbene possa essere caustico e volgare in certe sue battute. La sua forza sta, però, nel codice comunicativo che usa, che sa “risvegliare” gli animi più assopiti e a volte troppo “perbenisti” (una necessità, potremmo dire).
Certo, “Quo vado?” non è un cinema d’autore. Non è nemmeno un cinema che scava e va in profondità. Non è questo l’intento ed è inutile giudicarlo con questi parametri. Si rincuori ogni critico che fa bene il suo mestiere.
Non è nemmeno un film per le famiglie (e sbagliano quei genitori che vi portano i piccoli a vederlo).E’ una storia che, con il pretesto di allettare e far ridere, ti fa uscire dalla sala con almeno sulle labbra: “Beh, in questo però dice il vero…”.
Fa pensare, dunque, Checco Zalone? Sì questa è la verità e, forse purtroppo, il paradosso odierno.Non ci dà soluzioni e anche il finale non vuole consegnarci nulla di facile e pronto all’uso, non ci dà nemmeno la morale, tuttavia ci “restituisce” forse la speranza che, nonostante tutto, si può essere sempre migliori. Ancora una volta. Non solo a Natale.
GIANLUCA BERNARDINI (PRESIDENTE ACEC MILANO)
05 gen 2016 00:00