Colori e influssi del Tiziano
Aperta la mostra in Santa Giulia che mette in luce i legami tra l’artista veneto e la pittura del ’500 tra Brescia e Venezia
“Principalissima per la nobiltà e ricchezza de cittadini, come per la grandezza, bellezza et fertilità del suo territorio”. Così i veneziani definivano Brescia nel ‘500, dopo un secolo di dominazione, durante il quale l’influenza della Serenissima aveva già avuto un ruolo rilevante sulla formazione dei pittori bresciani e lombardi in genere. La mostra allestita a Santa Giulia in questi giorni mette in luce il fecondo legame tra le due città, che portò artisti tra i quali Romanino, Moretto, Savoldo, Palma il Vecchio a soggiornare in Laguna, ove ebbero modo di conoscere le opere dei grandi maestri veneti, come Lorenzo Lotto, Giorgione e naturalmente Tiziano.
Allievo. Allievo della bottega di Gentile e di Giovanni Bellini, il pittore cadorino nel 1508 affiancò Giorgione collaborando con lui per lavori come la decorazione esterna del fondaco dei Tedeschi, ma nel 1510, a causa di un’epidemia di peste, Giorgione morì, e l’ascesa di quest’ultimo fu rapida e incontrastata. Echi giorgioneschi sono presenti nella Madonna con Bambino in trono tra Sant’Antonio da Padova e San Rocco, dipinto dall’atmosfera pacata e dalle tonalità accese, che ricordano la Pala di Giorgione del Duomo di Castelfranco Veneto. Vivace è il colore che caratterizza la Madonna Lochis dell’Accademia Carrara di Bergamo, dietro la quale si apre un ampio paesaggio di gusto veneto. Altrettanto eleganti nel colore sono le due grandi tavole di Romanino e Moretto, raffiguranti la Madonna con Bambino e santi, nelle quali l’indagine naturalistica ricalca la pittura tizianesca.
Ambiente. Oltre che sul piano stilistico, la famigliarità degli artisti bresciani con l’ambiente veneziano trova riscontro nella condivisione di simili tipologie di rappresentazione, in particolare per quanto riguarda i dipinti per la committenza privata. Analizzando l’aspetto fisico della persona ritratta di tre quarti, Tiziano riesce a interpretarne il significato interiore e lo rende visibile mediante il proprio linguaggio pittorico; lo spazio non è descritto da fughe di architetture o di arredi, la profondità stessa è annullata e non vi sono elementi per comprendere la distanza dal primo piano.
Polittico. Diverso invece è l’Autoritratto di Savoldo, nel quale il pittore si ritrae nelle insolite vesti di San Gerolamo, dietro il quale si apre un misterioso paesaggio con alcune rovine che hanno quasi il sapore di vanitas. Pazienza se il Polittico Averoldi è rimasto nella Chiesa dei Santi Nazaro e Celso: i luminosi pannelli consentono una visione completa del dipinto, consentendo al visitatore di comprendere da vicino l’importanza di quest’opera.