Sì a Von der Leyen, ma la Lega dice no
L'Europarlamento riunito a Strasburgo ha dato il suo assenso all'elezione della politica tedesca come nuovo presidente della Commissione europea. Tra i contrari gli eurodeputati della Lega. Le ragioni del loro no spiegate dal bresciano Oscar Lancini
Con 383 sì rispetto ai 374 necessari, e 327 contrari, la politica tedesca Ursula von der Leye, esponente dei popolari, si assicura il ruolo di futuro presidente della Commissione europea: entrerà in carica dal 1° novembre. Il suo è un programma di lavoro ricco, ambizioso, forse un po' utopistico, che convince i gruppi politici "europeisti" e lascia fuori dalla maggioranza sovranisti, verdi e sinistra
“L’Europa va rafforzata e chi la vuole far fiorire mi avrà dalla sua parte, ma chi vuole indebolire questa Europa troverà in me una dura nemica”, ha dichiarato la nuova presidente, 60 anni, sposata, 7 figli, esponente di spicco dei cristiano democratici tedeschi, molto vicina ad Angela Merkel, già ministro della famiglia, del lavoro e della difesa. “Dobbiamo riscoprire la nostra unità e se siamo uniti dall’interno nessuno ci potrà dividere dall’esterno e allora potremo trasformare le sfide di domani in opportunità”.
Donna decisa nel carattere, abile mediatrice, pragmatica (“dobbiamo avere un’economia forte perché se vogliamo spendere prima occorre guadagnare”), era stata indicata come candidata alla Commissione lo scorso 2 luglio dal Consiglio europeo. Da lì in poi ha costruito un elenco di materie su cui intervenire che in parte ricalca quello della Commissione Juncker, in parte guarda, con furbizia, ai temi che interessano la maggioranza europeista dell’Europarlamento (dal cui voto favorevole dipende il suo mandato), senza mai uscire dallo schema dei Trattati ed evitando particolari cambi di rotta, accelerazioni o profonde riforme istituzionali.
Scontato, ma opportuno, il riferimento ai “padri fondatori e alle madri fondatrici”, e ai successi realizzati dall’Ue in 70 anni di integrazione: pace, libertà, diritti, sviluppo economico e sociale. Ai Popolari, sul cui sostegno non ha dubbi, offre il rispetto delle regole Ue vigenti, senza ulteriori slanci. Parla di sviluppo economico, di sostegno alle piccole e medie imprese, di equità fiscale (con la promessa di far pagare le tasse ai giganti del web). Tace invece su possibili aumenti del bilancio comunitario, che sarebbero necessari per assegnare risorse aggiuntive e capacità d’azione all’Ue: ma per questo dovrebbe “disturbare” troppi premier della famiglia Ppe, a partire dai paesi Visegrad.
Le maggiori “concessioni” sono rivolte a Socialisti e democratici e ai liberali del gruppo Renew Europe. Ai primi lascia intendere un alleggerimento del Patto di stabilità e del rigore finanziario, un forte impulso del “pilastro sociale” europeo, il salario minimo: “voglio garantire che in una economia sociale di mercato ogni persona che lavora a tempo pieno possa avere un salario minimo che garantisca una vita dignitosa”. Per i liberali sembrano confezionate ad hoc le insistenze sul rispetto dello stato di diritto (alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale sembrano venir meno a questi principi fondanti), il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria e del libero mercato interno. Piuttosto “distratta” la Von der Leyen su alcuni argomenti importanti a livello Ue: il futuro della politica agricola, la difesa comune, la politica energetica, la sfida digitale.
Ampio lo spettro dei temi trasversali, a partire dalla lotta al cambiamento climatico (rassicurazioni non sufficienti per ottenere il voto dei Verdi). “Presenterò un accordo verde per l’Europa nei primi cento giorni del mio mandato” perché “una delle sfide pressanti per l’Unione è mantenere il pianeta sano”. Quindi riduzione delle emissioni di Co2 del 50 o del 55% entro il 2030, e introduzione della carbon tax. Capitolo migrazioni: “il Mediterraneo è diventato una delle frontiere più letali al mondo. In mare c’è l’obbligo di salvare le vite”. Per questo “proporrò un nuovo patto per la migrazione e l’asilo, inclusa la riforma dell’accordo di Dublino”. Parla di accoglienza e di sostegno solidale ai Paesi più esposti agli arrivi; insiste (in un discorso apparso pretenzioso e a tratti “troppo perfetto”) sull’urgenza di “rafforzare l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, con un corpo di 10mila guardie entro il 2024”. “Dobbiamo inoltre ridurre la migrazione irregolare, lottare contro gli scafisti e la tratta, tutelare il diritto di asilo e migliorare la condizione dei profughi tramite corridoi umanitari in stretta cooperazione con le Nazioni Unite”.
Fra i temi “traversali” figurano le opportunità per i giovani (triplicare i fondi per Erasmus, assegnare maggiori risorse per la “Garanzia giovani”), l’impegno per sradicare la povertà infantile e assicurare l’uguaglianza di genere, a partire dalla Commissione: “assicurerò una piena parità di genere nel mio collegio dei commissari. Se gli Stati membri non proporranno abbastanza candidati donne come commissari non esiterò a chiedere nuovi nomi”. Ursula Von der Leyen insiste: “le donne rappresentano la metà della popolazione europea; vogliamo la nostra giusta parte”. E poi il Brexit: a suo avviso la scelta dei britannici è un errore politico, ma poi torna il suo pragmatismo: “sono disposta a garantire una ulteriore proroga al recesso nel caso in cui fosse necessario più tempo per motivi validi. In ogni caso il Regno Unito rimarrà nostro alleato, nostro partner e un Paese amico”.
Piuttosto sfuggente la Von der Leyen si rivela su un tema essenziale: la distanza tra Ue e cittadini, nodo politico che attraversa il continente e che alle ultime europee ha (in parte) premiato le forze populiste e nazionaliste. Promette di sostenere l’iniziativa legislativa del Parlamento (che attualmente è in capo alla Commissione), di rilanciare la procedura degli Spitzenkandidaten per la scelta del prossimo presidente dell’Esecutivo, la necessità di giungere al voto a maggioranza in Consiglio sui temi di politica estera. Infine via libera alla “Conferenza sul futuro dell’Europa” con avvio nel 2020 e della durata di due anni, per dare l’opportunità ai cittadini di “svolgere un ruolo guida e attivo nella costruzione” della “casa comune”.
Tra i 327 voti contrari alla nuove presidente della Commissione europea ci sono anche quelli dei parlamentari leghisti. “Il nostro voto in aula a Strasburgo - sottolinea Oscar Lancini, europarlamentare della Lega - è la diretta conseguenza del voto popolare del 26 maggio. In totale adesione a quanto espresso da milioni di cittadini europei che hanno chiesto un deciso cambio di rotta nella gestione delle istituzioni europee, abbiamo deciso di bocciare il programma presentato dalla candidata presidente Ursula Von der Leyen”. Per Lancini e gli altri membri della Lega a Bruxelles, si tratterebbe, infatti, di un programma in stretta continuità con quello fallimentare della Commissione Juncker, con generiche dichiarazioni di principio e troppa fiducia in quel modello di Europa Superstato, paternalistico e totalizzante, che qualcuno vorrebbe rendere ancora più invasivo nella vita dei cittadini. “Un programma – continua Lancini in una nota - che promette grandi investimenti, ma non chiarisce dove trovare le risorse, senza alcuna autocritica sul rigorismo e le politiche di austerity che hanno portato danno all’economia di molti Stati Membri. Un programma che rischia di fare dell’ambientalismo una bandiera ideologica e di contrastare, anziché incentivare uno sviluppo serio delle nostre imprese. Un programma con un approccio ancora demagogico e buonista sull’immigrazione, che non ci ha tramesso alcuna certezza sulla doverosa difesa delle frontiere dell’Unione Europea”
“Il nostro convinto voto contrario - conclude Lancini - serve a difendere l’Italia dal nuovo inciucio europeo e non ad isolarla: quella maggioranza risicata che oggi sostiene la presidenza Van der Leyen si sgretolerà in mille pezzi tutte le volte in cui ci saranno da prendere provvedimenti che interessano la vita reale dei cittadini europei. In quei momenti noi saremo pronti e determinati a far valere il peso del nostro voto e le ragioni del nostro Paese”.