La Carovana della pace è tornata in Italia
Un'azione di pace non violenta con oltre 220 persone, in rappresentanza di un vasto cartello di associazioni cattoliche e laiche, è partito venerdì scorso da Gorizia verso Leopoli con un carico di aiuti umanitari per l'iniziativa "Stop the war now"
Sono partiti dall’Italia verso Leopoli venerdì scorso con 30 tonnellate di aiuti umanitari. Sono tornati nei giorni scorsi con i pulmini vuoti di beni alimentari e medicine ma pieni di profughi ucraini tra i più vulnerabili, circa 180, che saranno accolti dai circuiti delle tante associazioni che hanno preso parte alla Carovana della pace “Stop the war now”. La carovana ha portato in Ucraina 221 persone e 66 pulmini di 89 associazioni e organizzazioni della società civile italiana riunite dalla Comunità Papa Giovanni XXII, tra le quali Pax Christi, Nuovi Orizzonti, Arci solidarietà, Arcs, Aoi, Archivio disarmo, Movimento dei Focolari, Focsiv, Pro Civitate Christiana. Tra loro c’era anche l’arcivescovo di Bari monsignor Giuseppe Satriano. Tutto l’universo pacifista cattolico e laico si è ritrovato unito in questa iniziativa non violenta che ha voluto rappresentare un gesto simbolico forte, per dire che è ancora possibile trovare alternative per fermare la guerra e la corsa al riarmo. A Roma sono arrivati in serata, alla stazione Termini, una cinquantina di donne, bambini e anziani, molti dei quali con gravi disabilità, che saranno accolti anche grazie alla collaborazione di Roma Capitale. Gli altri hanno raggiunto le sistemazioni trovate per loro dalle varie associazioni.
Ha trasportato una famiglia di cinque persone, tra cui un disabile grave, da Leopoli fino alla Polonia, per poi proseguire verso la loro destinazione, don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi e della Commissione spirito di Assisi promossa dalla diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino. Dell’Olio non è nuovo a questo tipo di pratiche non violente: è andato anche a Sarajevo, in Kosovo. Ha visto cambiare scenari e modalità di guerra ma le conseguenze tragiche di devastazione, morti e feriti, sono sempre le stesse: “Ora i missili e le bombe vengono sparate da lontano dove ci sono obiettivi da colpire – dice al Sir -. Questo disumanizza la guerra. Così quando entra in gioco il rapporto personale, come a Bucha, si è talmente disumanizzati che l’altro è solo un nemico da annientare. Temo che si possa rischiare un declivio pericoloso, come accaduto con la pulizia etnica e i cecchini che sparavano ai civili a Sarajevo”. A Leopoli è stato bombardato solo un deposito di carburante ma ci sono ovunque check point di militari e sacchi di sabbia a formare rudimentali trincee. La città è pronta a respingere le forze russe ma l’aria che si respira è strana: “la popolazione non vuole rassegnarsi alla guerra, cerca di avvinghiarsi alla normalità a tutti i costi. La gente fa la spesa e va in ufficio, ha fatto l’abitudine agli allarmi antiaerei e alle sirene che suonano ogni giorno – racconta -. Certo c’è un occhio attento alle zone più coinvolte dal conflitto, con la paura che il rischio possa estendersi anche a Leopoli, dove alcuni missili sono caduti nei giorni scorsi”. Qui i medicinali e i viveri sono stati consegnati alle Caritas e alle organizzazioni locali che avevano fatto precisa richiesta dei beni necessari. I partecipanti alla carovana hanno incontrato anche rappresentanti delle Chiese greco-cattolica e ortodossa, il sindaco di Kiev e hanno sfilato con il drappo “Stop war now” dalla stazione di Leopoli – dove arrivano da tutta l’Ucraina per andare fuori dal Paese – fino al centro della città. “La gente si commuoveva e ci incoraggiava – prosegue -. Perché non aveva ancora visto una azione di pace”.
I contadini nascondono i disertori russi. La guerra porta anche gesti inaspettati di solidarietà tra nemici: “Ci hanno raccontato di giovani militari russi nascosti dai contadini nelle loro cascine, altrimenti diventerebbero prigionieri di guerra”, riferisce il presidente della Pro Civitate Christiana. “Non dobbiamo farci sorprendere dalle guerre ma prevenirle – esorta -. Il movimento di pace dovrebbe essere più collegato a livello europeo, dovrebbe diventare una forza di interposizione, perché le vittime non sono più militari come una volta ma i civili. Questa è solo una tappa ora bisogna proseguire su questa linea”. Il sogno di don Dell’Olio è ora di “trovare il modo per parlare ai russi. Sono convinto che questa guerra i russi non la vogliono. Dobbiamo far capire loro che sono vittime e ostaggio di un delirio di onnipotenza. Vorrei anche parlare con i cittadini dei Paesi della Nato, perché lo scenario non è diverso da quanto accaduto con gli Stati Uniti alla Baia dei Porci a Cuba. Chiediamoci: perché dobbiamo usare due pesi e due misure? Cosa è successo in Iraq, in Libia, in Siria? Ci sono precedenti che non ci fanno onore”. A suo avviso bisogna chiedersi inoltre cosa significa dare le armi all’Ucraina: “A chi? All’esercito ucraino? Ai mercenari? E che tipo di armi? Davvero tutte le altre strade sono state esperite? Io non sono contrario alle legittima difesa ma secondo me tutte le forme di mediazione non sono state provate. Come è possibile che in questa guerra non si riescano a trovare vie di dialogo?”
“La strada delle armi non porta alla pace”. Stessa posizione è espressa da monsignor Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura e presidente di Pax Christi Italia. Non ha potuto prendere parte alla carovana per impegni in diocesi ma Pax Christi era presente in Ucraina con un pulmino e alcuni storici attivisti. “Abbiamo voluto mettere in atto questa strategia ripensando alla marcia di Sarajevo con don Tonino Bello e Albino Bizzotto (Beati i costruttori di pace) per una possibile interposizione non violenta del popolo della pace – dichiara al Sir – . Il messaggio è chiaro: la strada delle armi non porta alla pace, bisogna percorrere la strada della solidarietà e del dialogo”. Al di là del risultato immediato della carovana – portare gli aiuti umanitari e salvare i profughi ucraini – precisa – “bisogna ricordare che in Italia c’è un popolo della pace che dice no alle armi e non accetta che i soldi non vadano invece in sanità, scuole e ambiente. L’aumento del 2% del Pil per le armi è scandaloso, siamo davvero fuori da ogni razionalità. E poi non ci danno ascolto, c’è un pensiero dominante che schiaccia tutto il resto. L’Europa si è ritirata, l’America lancia proclami bellici, è un momento di grande smarrimento. Per me è la sconfitta diplomatica dell’Europa. Si sentono solo proclami di guerra e mai lo sforzo diplomatico di mettersi in mezzo per una interposizione non armata”.