Housing sociale: Italia modello europeo
Guzzetti, “case di qualità accessibili a tutti”. Giovani coppie, anziani, immigrati che lavorano, studenti fuori sede: sono alcuni dei soggetti che necessitano di alloggi a buon prezzo, in Italia ma anche nel resto d’Europa. Anche ad essi risponde l’housing sociale, edilizia privata che risponde a una domanda sociale crescente
Il presidente della fondazione Cariplo illustra al Parlamento Ue l'iniziativa che da anni sta assegnando alloggi a giovani coppie, famiglie monoreddito, immigrati che vivono in Italia. "Il futuro delle persone si basa, da sempre, su tre fattori fondamentali e concreti: la casa, il lavoro e la salute". Da questo "sogno divenuto realtà" si genere inoltre il "welfare di comunità"
Il modello italiano di “housing sociale” arriva nel cuore dell’Europa: è un modo, concreto e innovativo, per dare una casa a chi non ce l’ha. Una “invenzione” che porta il marchio di fabbrica della milanese Fondazione Cariplo, la quale ha da poco festeggiato il quarto di secolo. Al timone c’è Giuseppe Guzzetti: avvocato, politico democristiano, già presidente della Regione Lombardia e poi senatore, da vent’anni guida la Fondazione tra filantropia, attività di promozione sociale, sostegno al terzo settore… Il 27 giugno Guzzetti illustra l’“housing sociale” nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles.
Al Parlamento europeo approda l’housing sociale “targato” Fondazione Cariplo. Lei in proposito ha parlato di “welfare abitativo”. Come nasce questa esperienza? Può essere un esempio nell’Europa di oggi, che sta cercando di definire un proprio “pilastro sociale”?
Il futuro delle persone si basa, da sempre, su tre fattori fondamentali e concreti: la casa, il lavoro e la salute. Sembra banale – spiega Guzzetti al Sir – ma senza questi tre fattori è difficile guardare al futuro con serenità. Da anni uno dei problemi con cui il nostro Paese si scontra è la crescente domanda di alloggi, accessibili e dignitosi. I prezzi e le condizioni del mercato privato sono spesso inaccessibili per le famiglie, le giovani coppie, quelle monoreddito, i pensionati, gli studenti fuori sede, gli immigrati che vivono regolarmente nelle nostre comunità. L’housing sociale è nato circa 12 anni fa e dimostra che si possono realizzare case di qualità accessibili a tutti, a 500 euro al mese. Portiamo questa nostra “invenzione” con orgoglio al Parlamento europeo, come un fiore all’occhiello italiano. L’housing sociale era un sogno, oggi è realtà. C’è un piano casa nazionale da 20mila appartamenti, in tutta Italia, non solo in Lombardia, dove la fondazione opera prevalentemente con la sua attività filantropica. Il modello è apparentemente semplice, ovviamente nella pratica non è stato così, ma ci siamo riusciti, con la collaborazione delle istituzioni enti pubblici, regioni, governi.
Per spiegarlo in modo semplice?
Direi che funziona così: i comuni mettono a disposizione le aree gratuitamente, la fondazione e altri investitori mettono a disposizione le risorse finanziare per realizzare gli interventi. E così ecco belle abitazioni in cui tutti vorrebbero vivere: andate a visitare i borghi di via Cenni e Figino a Milano, ad esempio, capirete bene cosa intendo. Ma l’innovazione sociale non sta nel mero vantaggio economico. L’housing sociale è accogliente per definizione e genera quello che noi chiamiamo welfare abitativo: case che muovono relazioni tra gli inquilini, tornando a vivere insieme, condividendo spazi comuni, momenti piacevoli, che portano all’auto aiuto concreto, tra vicini di casa.
Il “welfare di comunità” è dunque un altro punto fermo per la Fondazione: da dove nasce questa intuizione e quali forme concrete assume?
Non ci sono più le risorse per mantenere i servizi di welfare, di assistenza come nel passato, eppure i bisogni sono crescenti; di fronte alle difficoltà del sistema statale, da tre anni stiamo proponendo un modello di welfare che nasca dal basso: le persone, le organizzazioni non profit, coordinate ed organizzate, trovano soluzioni ai problemi delle famiglie con disabili, bambini da accudire, anziani. Stiamo dimostrando che si può fare. Già ci sono welfare di comunità ad esempio nel Verbano: decine di anziani oggi non sono più soli; a Milano i bambini non vengono lasciati con la tv a fare loro da baby sitter. È innovazione sociale. A Lecco e provincia, invece, migliaia di giovani partecipano a iniziative che li rigenerano e li tengono agganciati alla comunità. A settembre presenteremo i risultati di questo grande lavoro e poi, come per l’housing, lo porteremo come modello a chi ha il compito di realizzare le politiche sociali pubbliche.
Fondazione Cariplo ha girato la boa dei 25 anni: quali valori e buone pratiche ha da trasmettere su scala europea?
Momenti come questo sono importanti per tracciare un bilancio. Fondazione Cariplo ha poco più di 25 anni; dal 1991 a oggi ha realizzato oltre 30mila progetti per l’ambiente, la cultura, il sociale e la ricerca scientifica donando più di 2,9 miliardi di euro. Leggendo i numeri la gente non ci crede, pensa sia un errore di stampa! Invece è così. I numeri sono fondamentali per comprendere la portata dell’azione della nostra attività filantropica, ma non dimentico mai di ricordare che il valore ancor più grande è quello dell’innovazione sociale che abbiamo saputo realizzare e delle tante storie di persone che hanno lavorato con noi o che hanno beneficiato dei progetti, dal sociale alla ricerca scientifica, fino all’ambito culturale e ambientale.
A livello europeo collaboriamo già con le più importanti fondazioni straniere, ad esempio la francese Agropolis, per la ricerca agroalimentare, per dare cibo a chi non ne ha nei Paesi poveri. Ma non ci si nutre solo di cibo bensì anche di cultura: per questo con la più grande fondazione spagnola, la Caixa, realizziamo programmi culturali per i giovani. Il valore più importante è quello della collaborazione, che vuol dire mettersi in gioco, accettare anche le regole e le idee degli altri. Possiamo portare buone pratiche ma – aggiungerei – dall’Europa possiamo anche imparare molto.