Globalizzare la pace
“Nell’era del cyborg alle porte, occorrerà leggere all’incontrario la favola di Pinocchio”. Carlo Di Cicco, vaticanista di lungo corso, già vicedirettore de L’Osservatore Romano, ha scelto questo esergo per lanciare, nel suo ultimo volume – “Da Pinocchio a Pax Christi” (Edizioni All Around) – una sana provocazione e far riflettere su una lunga marcia, quella della pace, come “incompiuta aspirazione” all’interno dell’eterno conflitto tra guerra e pace che connota la condizione umana di ogni tempo.
“Il rischio per la pace, il tarlo che ne sfigura l’immagine è il confonderla con uno stato di apatia”,
avverte l’autore del volume, che nelle sue pagine traccia un affresco storicamente motivato e umanisticamente approfondito di come il volto della pace si sia incarnato nelle pieghe delle vicende interne ed internazionali, tramite l’azione di Pax Cristi – l’unico movimento al mondo “che non si impegna a promuovere una propria idea perché non può farlo” – e la visione profetica ma spesso inascoltata o fraintesa di due “vescovi col grembiule”: Luigi Bettazzi e Tonino Bello.
“Nella lunga marcia per la pace, la più lunga e incompiuta evoluzione nella specie umana, dal 1945 è inserito il segmento di storia di Pax Christi”,
scrive Di Cicco definendo quest’ultima “un movimento di gente in cammino per una pace non generica ma ben delineata: la pace di Cristo, la persona meno estranea a ogni altro uomo e donna che vive in questo mondo”. Raccontare la pace dal punto di vista di Pax Christi, argomenta l’autore, significa dar voce a “una voce forse esile, simile al grippo parlante di Pinocchio, saggia e non petulante, ma ricacciata sempre indietro. L’arcobaleno diventato bandiera di pace è foriero di una possibilità adombrata nella favola di Pinocchio: ogni burattino – se amato – può diventare un bambino; ogni marcia della pace avvicina tempi migliori”. Attento a depurare la pace da ogni possibile accenno all’utopia, Di Cicco mostra un’attitudine fiduciosa verso gli operatori di pace dei nostri tempi, pur senza nascondersi le immense zone di buio che ormai hanno acquisito dimensioni planetarie:
“Ora, dopo secoli rimasta dormiente o moralistica cura, pare risvegliata, nell’ambito cristiano, la categoria della responsabilità:
la misericordia prevale sul debito. È un cammino di revisione culturale solo agli inizi. È un cantiere agli esordi che richiederà una lunghissima stagione di revisione del pensiero politico, economico e religioso.
Pace, considerata non solo condizione di rapporti minimali tra gli Stati, ma imperativo etico comune per una società progredita nell’età dei diritti umani e della cura del creato”.
Non il comodo rifugio nell’utopia, ma l’esigente aderenza alla storia è dunque il primo passo: quello che stiamo vivendo è “un nuovo Medio Evo, nel senso di età di mezzo tra un mondo che è stato e un mondo diverso non ancora compiuto, soltanto al suo primo stadio e confusamente percepito”. “Quale pace per quale tempo”, l’interrogativo da porsi per “pensare la pace al futuro” ed essere all’altezza di quello che Papa Francesco definisce “un cambiamento d’epoca”. Se è vero, come sosteneva don Tonino Bello (nella foto), che la pace non è un vocabolo ma un vocabolario, oltre ad interrogarsi su temi di perenne e tragica attualità come il disarmo – la proposta dell’autore – nell’era del cyborg occorre attrezzarsi per tradurre le istanze degli artigiani della pace in nuovi linguaggi: “la storia della pace reclama l’impegno a trascrivere lotte e linguaggi, sperimentati una volta come efficaci, in un circolo comunicativo nuovo”.
”Globalizzare la pace come esigenza comune dell’umanità è importante, ma non più sufficiente se resta soltanto come definizione di principio”,
la tesi di Di Cicco: “serve assicurare la pace preventiva dei conflitti e non solo curativa delle ferite causate dalle guerre che promuovono morti, distruzioni, oltraggi senza fine”.
Gli amanti della pace, e Pax Christi tra loro, “sono convocati a fare opinione competente in questa sorta di medioevo tecnologico”.