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Digione
di MARIA CHIARA BIAGIONI 04 mar 2024 15:40

Francia, aborto. La vita non è un problema

“Si perde il senso del valore della vita. E si perde quando per certe situazioni e per alcune persone, diventa un problema. Ma la vita non è un problema. Sono la morte e la negazione della vita che creano un problema. Dobbiamo allora aiutare la vita a crescere, ad essere accolta e accompagnata”. A parlare è mons. Antoine Hérouard, arcivescovo di Digione, e vice presidente della Comece. Il Sir lo ha contattato nel giorno in cui la Francia con il voto del Parlamento si prepara a diventare il primo Paese al mondo a includere esplicitamente nella sua Costituzione l’interruzione volontaria di gravidanza (aborto). La modifica costituzionale prevede l’inserimento di un nuovo comma nell’articolo 34 della Costituzione, così formulato: “La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà della donna, che le è garantita, di ricorrere alla interruzione volontaria della gravidanza”. Nei giorni scorsi in una nota, i vescovi francesi ribadivano la loro convinzione secondo cui l’aborto “rimane un attentato alla vita fin dall’inizio” e “non può essere visto esclusivamente nella prospettiva dei diritti delle donne”.

Eccellenza, perché i vescovi dicono di no?

Perché siamo in favore della vita. Il problema non è tanto la legge sull’aborto in sé stessa quanto il fatto che non vengono affrontati i problemi di fondo. Quando all’inizio la legge presentata da Simone Veil nel ’74 è stata votata, si affermava che la legge era pensata per mettere fine ad una situazione di grande pericolo.

E invece vediamo che il numero degli aborti aumenta e oggi ha raggiunto la cifra più alta di sempre. In Francia siamo a 235.000 aborti l’anno. Si tratta di una cifra enorme.

Cosa intende per “problemi di fondo”?

Nessuno, nessun partito, oggi rimette in causa la libertà di scegliere. Non c’è un pericolo su questo punto. Si tratta piuttosto di vedere perché tante donne hanno ricorso e ricorrono all’aborto. Questo costituisce un atto grave che ha delle conseguenze, anche psicologiche, profonde su tante donne.

Con la decisione oggi del Parlamento, l’aborto entra in una Carta costituzionale. È una decisione storica per la Francia. A voi cosa non convince?

Il fatto di mettere questa libertà nella Costituzione, perché la Costituzione è piuttosto il quadro giuridico di funzionamento dello Stato della democrazia. Non si tratta di mettere tutte le leggi dentro la Costituzione. Anche per questo i vescovi non sono favorevoli.

Voi vescovi avete osservato che l’aborto “non può essere visto esclusivamente nella prospettiva dei diritti delle donne”.

Sì. Noi abbiamo detto che la questione non può essere dibattuta partendo solo dal diritto delle donne, che è una cosa evidentemente molto importante, ma c’è anche una vita che inizia e di cui non si parla.

Lei è il vescovo francese delegato alla Comece. Secondo lei, quale messaggio la Francia lancia all’Europa con questa decisione?

Questa iniziativa si inserisce a livello europeo nel desiderio di introdurre nella Carta dei diritti fondamentali dell’Europa questa libertà sull’aborto. Ma vediamo che fra i paesi dell’Unione europea la situazione è molto diversa. Sappiamo per esempio che a Malta l’aborto è addirittura vietato. Non è neanche una questione di diritto europeo in sé, perché le questioni che rimandano ai problemi etici e familiari, dipendono soltanto dalle legislazioni nazionali. C’è però questo sforzo da parte del governo francese e del presidente Macron di fare volate in avanti come un segnale anche a livello internazionale.

Voi come vescovi parlate in Europa a società sempre più laicista e scristianizzate. E spesso le vostre parole vengono giudicate come conservatrici e tradizionaliste. Come rispondete a queste osservazioni?

Non si tratta di giudicare le donne che chiedono un aborto, perché sappiamo che spesso dietro ci sono situazioni difficili e varie. Ciò che vogliamo dire è che l’aborto non può essere un mezzo semplicemente di contraccezione. L’aborto rimane sempre un atto grave che ha delle conseguenze nella vita della donna. E lo vediamo spesso nelle donne che hanno avuto un’interruzione volontaria di gravidanza anche 20 o 30 anni fa e che poi si rivolgono ad un sacerdote per dire che per loro quella esperienza è rimasta come una ferita profonda. Quello che vogliamo quindi dire è che non si può trattare questa dimensione dell’aborto soltanto come un diritto. È una cosa intima che riguarda la donna, e anche l’uomo.

Cosa vi preoccupa di più come chiesa in Europa di fronte a progetti politici che riguardano le sfere più intime della vita umana?

Quello che vediamo oggi nelle società europee, è questa richiesta quasi infinita di diritti individuali volti a garantire ciò che voglio fare, quando lo voglio fare e come lo voglio fare, senza però considerare una dimensione sociale e collettiva del mio agire e le sue conseguenze sugli altri. Se rivendichiamo, per esempio, la possibilità di dare la morte a qualcuno con l’eutanasia, che conseguenze ha questa scelta sulle persone più fragili che stanno male? Cosa possono pensare? Che la loro vita non vale più niente e sono anzi un peso? Si tratta quindi di capire se l’attenzione alle persone più deboli e indifese, siano esse all’inizio o alla fine della vita, abbia ancora una parte nella nostra comprensione della vita umana.

Vi sentite come vescovi oggi un più soli e isolati?

Nel concreto non cambierà quasi nulla. Quello che ci sta più a cuore è vedere cosa la società fa concretamente per aiutare le donne a non trovarsi in questa situazione difficile e vedere fino a che punto si permette l’aborto. All’inizio in Francia erano 10 settimane, poi siamo passati a 12 e adesso a 14 e nel frattempo il numero dei medici disposti a farlo, non sta crescendo, perché vedono che diventa una cosa sempre più difficile e complicata anche a livello tecnico. Tutto ciò pone loro anche un problema grave di comprensione della loro missione che è una missione per l’aiuto delle persone, non per distruggere la vita.

MARIA CHIARA BIAGIONI 04 mar 2024 15:40