Vivere nella gioia l'essere consacrati
Ieri in Cattedrale, in occasione della festa della presentazione di Gesù al tempio, la Santa Messa per i religiosi e le religiose presieduta dal vescovo Monari. La sua omelia
Si è tenuta ieri in Cattedrale la Santa Messa per i consacrati. Questa l'omelia prounciata dal Vescovo: "Dall’inizio del suo Pontificato con la lettera programmatica “Evangelii Gaudium”, la gioia del vangelo, papa Francesco non smette di ricordarci l’importanza decisiva della gioia nel nostro vissuto e nella nostra testimonianza di consacrati. Può essere utile, ci ha detto, la pastorale vocazione con la quale presentiamo alle persone delle proposte di vita straordinariamente ricche e appassionanti, come sono quelle di una vita consacrata; ma ciò che rende attraente uno stile di vita è soprattutto la testimonianza di gioia di coloro che lo praticano. “La vita consacrata – sono parole del papa – non cresce se organizziamo delle belle campagne vocazionali, ma se le giovani e i giovani che ci incontrano si sentono attratti da noi, se ci vedono uomini e donne felici!”
In realtà, quando vogliamo presentare e proporre la vocazione di consacrazione ci troviamo di fronte a degli ostacoli non facili da superare, che il Signore ci chiede di individuare e di combattere con perseveranza. La difficoltà prima viene dalla convinzione dominante che lo scopo della vita sia ‘realizzare noi stessi’ e che la realizzazione di noi stessi richieda essenzialmente la soddisfazione dei nostri desideri. Possiamo descrivere il problema così: “Io sono un individuo unico, diverso da tutti gli altri; possiedo un certo numero di qualità e sono mosso da un certo numero di desideri. La realizzazione della mia vita consiste nel compimento delle mie qualità in modo da soddisfare il maggior numero di desideri o perlomeno i desideri che mi appaiono più importanti. Se riesco a raggiungere questi obiettivi, mi sento realizzato; se gli obiettivi che mi propongo, i desideri che mi spingono non trovano riscontro nella mia esperienza, mi sento ‘frustrato’ e ho la percezione di vedere sciupata la mia vita, o perlomeno incompiuta.” Da questa concezione, spesso implicita ma ben presente nella coscienza delle persone oggi, nasce la percezione di tutta una serie di ‘diritti’ che ci sentiamo di poter accampare di fronte agli altri e che riguardano tutte le condizioni concrete che ci permettono di ‘realizzare noi stessi’. Debbo realizzare me stesso; quindi ho il diritto di realizzare me stesso; quindi ho il diritto a tutte quelle condizioni di vita che mi permettono di realizzare me stesso. Purtroppo è difficile che le condizioni fisiche, psicologiche, sociali e culturali nelle quali mi trovo a vivere corrispondano del tutto ai miei desideri: il mondo non è stato fatto sulla mia misura, per servire alla mia realizzazione. Ne viene facilmente una frustrazione difficile da sanare. Con questa frustrazione debbono confrontarsi la fede e la scelta di consacrarsi al Signore nella Chiesa.
Il passaggio a una dimensione di fede, che è una vera e propria conversione, si compie rendendosi conto che lo scopo della vita non è realizzare se stessi ma “santificare il nome di Dio, accogliere su di noi la sua sovranità, compiere il suo volere” generando del bene in noi e attorno a noi; e che, paradossalmente, proprio quando riusciamo a dimenticare un po’ noi stessi e a farci carico degli altri, proprio allora si aprono per noi le porte della gioia. Dio dice così: “Non ti preoccupare di te stesso e della tua felicità; a questa ci penso io; fìdati. Tu, da parte tua, occupati di me, della mia gloria; lo puoi fare occupandoti degli altri e della loro gioia. Quando sei davanti a un bivio, non chiederti allora: per quale strada posso diventare più felice? Ma: per quale strada posso dare gloria a Dio? per quale strada posso contribuire al bene degli altri, alla giustizia, alla fraternità?” Forse non sarà sempre facile rispondere; ci sono situazioni intricate nelle quali discernere il meglio o anche solo il bene non è facile, ma almeno la prospettiva di fondo è chiara.
Ci possono essere situazioni così bloccate che i nostri sogni, i nostri desideri si dimostrino irrealizzabili – e questo diventa inevitabilmente motivo di sofferenza, di tristezza. Ma non ci sono situazioni così negative che in esse non si possa fare la volontà di Dio – e questo, per chi crede, è sempre motivo di consolazione e fondamento di speranza. La vera difficoltà nasce dal fatto che superare la centralità del nostro io non è facile e può avvenire solo sotto la spinta di un amore più forte. È solo l’amore che ci permette di dimenticare il nostro interesse e il nostro piacere; nell’amore è così grande il desiderio di piacere alla persona amata che le fatiche personali non sono nemmeno avvertite più di tanto. Ed è qui il segreto della vita consacrata: è vita spesa per qualcuno che si ama – dimenticando se stessi e facendosi servi degli altri. Vale la pena? In una visione egocentrica, forse no perché il conto guadagni-perdite non è sempre in equilibrio; in una visione di fede, certamente sì, perché, cito san Paolo, “il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili eterne.” A sua volta Giovanni scrive: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte.” Non dice che passeremo dalla morte alla vita, nell’aldilà; dice che siamo passati, fin d’ora. Un’esistenza segnata da un amore autentico è vera esistenza umana mentre al di fuori di questo c’è solo il dominio incontrastato della morte.
Sono allora costretto a pormi la domanda: sono davvero innamorato di Dio, di Gesù Cristo? E soprattutto: come è possibile innamorarsi di un Dio che non vedo? di Gesù Cristo che posso vedere solo nella forma del sacramento? Certo, Cristo è presente negli altri e quando amo i fratelli amo nello stesso tempo Lui. Ma può succedere, e succede che il legame affettivo con gli altri assuma poco alla volta una sua autonomia e io finisca per dimenticarmi di Cristo; in fondo, viene la tentazione di dire, se amo il prossimo ho già amato anche Dio. Purtroppo non è vero: posso amare Dio nel prossimo, certamente; ma il prossimo non è Dio e l’amore del prossimo non sostituisce l’amore di Dio. Al contrario, solo l’amore di Dio costituisce una riserva inesauribile di amore da spendere nel servizio agli altri. Torno allora alla domanda: come ci s’innamora di Dio?
Prima risposta: ringraziando. Se nella vita riconosco la chiamata di Dio; se in ogni cosa bella vedo un dono di Dio; se in ogni evento mi affido alla Provvidenza di Dio, allora ogni situazione è occasione per rendere grazie. E nella misura in cui rendo effettivamente grazie, si sviluppa una relazione di amicizia col Signore, sorgente di gioia.
Seconda risposta: leggendo e soprattutto ascoltando il vangelo e la Bibbia. Se qualcuno mi rivolge la parola, questa esperienza mi fa uscire dall’isolamento e mi fa iniziare una relazione; con Dio succede lo stesso. Il Vangelo, la Bibbia sono parola di Dio; lascio da parte tutti problemi teologici complicati che questa affermazione suscita. M’interessa solo dire, con il Concilio, che Cristo “è presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si leggono le Sacre Scritture.” E ancora: “Nei libri sacri… il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro.” E ancora, citando sant’Ambrogio: “Gli [a Dio] parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini.” Basta questo per dare origine a una relazione quotidiana con il Signore nella quale il nostro amore per Lui si colora di riconoscenza, stupore, consolazione, affetto; quindi di gioia. Bisogna però che la Parola non sia solo ascoltata frettolosamente, ma meditata, quasi accarezzata, imparata a memoria e custodita con amore.
Terza risposta: la preghiera di domanda. Può sembrare una preghiera egoista e invece ha proprio l’effetto di strapparci dal nostro egocentrismo e orientare i nostri desideri secondo la volontà di Dio. Con la preghiera di domanda, infatti, non pretendiamo che Dio faccia quello che vogliamo noi, ma consegniamo a Dio la nostra volontà perché venga inserita nella volontà infinitamente più grande e più sapiente e più buona di Dio. Noi non sappiamo quasi mai che cosa sia conveniente domandare, ma presentando a Dio i nostri desideri, li collochiamo dentro alla sua volontà perché Dio si mostri salvatore come e quando vorrà.
Quarta risposta: dire di sì alla vita o meglio: dire di sì al Signore in ogni circostanza della vita, soprattutto nei momenti decisivi, quando si prende una decisione grave, quando si patisce un dolore acuto, quando si sperimenta una desolazione amara. Provo ammirazione, e anche un poco di santa invidia, per il vecchio Simeone che riesce a dire di sì alla morte senza paura, senza rimpianti – non perché abbia lui goduto in pienezza i piaceri della vita, ma perché ha potuto vedere la salvezza preparata da Dio per Israele e per tutte le genti. Mi piacerebbe giungere al limite della vita con questa libertà interiore, con questa purezza di cuore. Ma per ottenerla bisogna assoggettarsi a quell’opera incessante di purificazione cui fa riferimento il profeta Malachia: “li affinerà come oro e come argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.” La fedeltà al dovere quotidiano non ha proprio nulla di eroico, ma è proprio in questa fedeltà che l’amore per il Signore si affina, si irrobustisce.
Oggi è la festa del Signore che ci viene incontro. Egli non viene mai senza un tesoro di grazia da comunicarci; ma questo tesoro richiede da parte nostra il desiderio sincero. Vieni, Signore; riscalda col tuo amore i nostri cuori; purificaci da ogni forma di egoismo; riempici della gioia di appartenere a Te. Fa’ che i nostri occhi sappiano vedere la tua salvezza.