Vivere in pienezza il cristianesimo
Alcune parole di papa Montini determinanti nella vocazione sacerdotale di mons. Piero Bonetta
Quando l’Europa vedeva affacciarsi all’orizzonte il ’68, entravo nel Seminario in via Piamarta a Brescia. Tutto era messo in discussione. Non si salvò neppure la Chiesa. Dal 1971 al 1981 trascorsi presso il Seminario in via Bollani gli anni necessari per la preparazione al ministero sacerdotale. Alla guida della Chiesa la Provvidenza aveva scelto il grande Paolo VI, il Papa della mia giovinezza. Non si erano ancora spenti gli umori del ’68 che Brescia il 28 maggio 1974 verrà colpita nel suo cuore da un atto efferato. Il clima politico era infuocato e le conseguenze raggiunsero anche la Chiesa: chi non ricorda i frequenti attacchi al Santo Padre e i falò della sua effigie. Ebbi il tempo di affezionarmi al Papa, alla sua dottrina, al suo verbo, alla sua maniera di trasmettere i suoi pensieri, alla sua voce, alla sua poesia, alla sua preghiera, alla sua cultura e alla sua profezia. Terminate le superiori nel 1975, ritornai in Seminario con l’incarico di prefetto presso i ragazzi della scuola Media Arici. Per ragioni legate a problemi familiari coniugati a motivazioni inerenti al mio cammino vocazionale e affettivo, decisi di lasciare il Seminario. Nell’attesa di poter partecipare a un concorso relativo agli studi effettuati ripiegai su un lavoro in un’officina. Il tempo trascorreva e, nonostante mi vedesse impegnato sia in Oratorio che in Parrocchia, aveva coperto con la polvere delle ore che passavano l’idea del “sacerdozio”. Una sera di maggio del 1976, rientrato dalla preghiera del rosario presso il Santuario della Stella, mi capitò tra le mani un “ciclostilato” che recava in calce “Vivere in pienezza il cristianesimo, Roma - Parrocchia di Nostra Signora di Lourdes, 23 febbraio 1964”. Presi il foglio e mi misi a leggere.
Riporto qui la parte che mi toccò: “‘Perché il Papa è venuto da noi? Cosa è venuto a fare?’. Sarebbe lungo dire perché, anche se il gesto è facile e l’azione è breve e finisce subito. Lo scopo è profondo e difficile e grave e, direi, decisivo. Sono venuto – possiamo dirlo con una parola metaforica? – a svegliarvi, come la mamma sveglia il suo bambino e dice: ‘Presto, sorgi, che è l’ora!’. Come una chiamata alle armi: ‘Svegliatevi, venite che c’è bisogno di combattenti, di militari!’. O qualsiasi altra chiamata che scuota il sonno di qualcuno, tragga dal letargo di una pigrizia, di una incoscienza che non si giustifica. E così io sono venuto a risvegliare in voi la coscienza cristiana, la vita cristiana… tutta l’economia divina che viene in nostro soccorso e nostra salvezza si delinea nelle parole appunto della Sacra Scrittura come una vocazione, come un appello, come una chiamata, come un risveglio: ‘Vivete, fratres, vocationem vestram’ dirà san Paolo, e lo ripete in tante sue lettere, in tante sue parti. Dovete capire che pende sopra di voi un appello, una chiamata, una voce. Viene giù dal cielo un grido che dice: svegliati! Guarda che non è soltanto la vita che stai strisciando sulla terra il tuo destino. Io ti chiamo, io ti voglio estrarre quasi da te stesso per sublimarti e per darti un altro senso della vita, un altro destino, un’altra maniera di concepire i tuoi giorni. Io ti chiamo... ”. Quella fu una notte difficile per me ma anche di grande illuminazione. Gli interrogativi e i dubbi produssero una crisi profonda. Decisi di riprendere i contatti col Rettore del Seminario e con il Padre spirituale. Com’è andata? Quest’anno festeggio felicemente i 37 anni di sacerdozio.