Verso il Sinodo senza paura e nascondimenti
Presentati i risultati della fase diocesana. Nella Chiesa bresciana non ci sono solo ostacoli da rimuovere, ma anche tanti aspetti positivi da cui ripartire
Come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale) quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale? Trova giustificazione in queste domande l’indizione di papa Francesco del Sinodo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” che avrà una tappa fondamentale con la celebrazione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in programma nell’ottobre del 2023. .
A differenza dei Sinodi sino a oggi celebrati, per quello sulla sinodalità papa Francesco ha pensato a un cammino diverso, capace di coinvolgere anche le Chiese particolari in quella che è stata definita la “fase diocesana”, da tenersi, nel cronoprogramma elaborato, tra l’ottobre 2021 e l’aprile di quest’anno. Obiettivo di questa fase, si legge nel documento preparatorio, è “la consultazione del Popolo di Dio affinché il processo sinodale si realizzi nell’ascolto della totalità dei battezzati, soggetto del sensus fidei infallibile in credendo”.
La Chiesa di Brescia ha rispettato tempi e consegne: ha provveduto alla nomina di un’equipe, dei referenti diocesani, ha individuato nei “tavoli sinodali” il momento partecipativo dei battezzati, ha costituto e formato il gruppo degli 89 coordinatori delle riunioni di consultazione sinodale, ribattezzati “Missionari dell’ascolto”, ha realizzato la consultazione (177 tavoli realizzati che hanno coinvolto più di 1.600 persone), seguendo le indicazioni che ne prevedevano almeno uno per zona pastorale e la possibilità di organizzarne anche a livello parrocchiale.
Due, come ha illustrato don Carlo Tartari presentando la sintesi di quanto emerso dai tavoli, le dimensioni su cui è stata articolata la consultazione sinodale: quella della narrazione (sostenuta dalle domande: quando hai vissuto un’esperienza bella, buona, accogliente, ospitale di Chiesa? Quali esperienze di incontro con Dio sono state belle, fondamentali decisive per la tua vita?) e quella della prospettiva (Quali cambiamenti la Chiesa dovrebbe fare per rendere vivibile il Vangelo e camminare di più insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo? Ovvero come i cristiani dovrebbero essere per rendere vivibile oggi il rapporto con Dio e camminare di più insieme agli uomini e alle donne del nostro tempo?)
“Il clima di ascolto che ha caratterizzato i tavoli – ha affermato il vicario episcopale per la pastorale e i laici – ha permesso di far emergere quello che era uno degli obiettivi prioritari della consultazione: individuare dove le persone hanno avuto modo di vivere l’esperienza buona di Dio”. Due le risposte largamente condivise: la vita e la comunità cristiana. Dio è stato incontrato nel momento della prova e del dolore (la malattia e il lutto), ma anche in eventi gioiosi (la nascita di un figlio, il cammino di preparazione al matrimonio). Quando l’esperienza “buona di Dio” è avvenuta nella comunità cristiana è stato grazie alla “mediazione” della parrocchia, dell’oratorio, di associazioni e movimenti ecclesiali, ma anche di esperienze di servizio, pellegrinaggi, ritiri o eventi straordinari, la Gmg su tutti.
“Di particolare importanza nell’esperienza di Dio – ha sottolineato ancora don Carlo Tartari – è stata la presenza di sacerdoti, consacrati, della famiglia di origine e di alcune figure laicali”. La memoria dell’esperienza buona di Dio si è trovata, però, a fare i conti con alcuni nodi critici che, come ricordato ancora da don Tartari, hanno fatto emergere un volto della Chiesa, spesso confuso e parziale, identificato con l’istituzione e la gerarchia. Il documento di sintesi ha preso atto di queste criticità, non le ha nascoste o “annacquate”, anche perché, come ha sottolineato il vicario episcopale, “sono il frutto delle riflessioni di persone che hanno partecipato ai tavoli, animate da un amore profondo per la Chiesa e non dall’intendo di esprimere giudizi e condanne”.
Questi gli ostacoli da rimuovere, perché percepiti dai partecipanti ai tavoli sinodali come un forte freno alla partecipazione ecclesiale di altre persone: una Chiesa rigida e arroccata, giudicante, estremamente sicura dei propri convincimenti, che bacchetta quelli che non sono allineati. Una Chiesa che fa fatica a uscire dalle sagrestie, che non riesce a fare alleanza con le forze sociali vive, che alimenta il chiacchiericcio e le maldicenze. Una Chiesa viziata da eccessivo clericalismo, con il clero che ritiene di coincidere con l’istituzione e per questo agisce in maniera autoreferenziale, che relega i laici a semplici spettatori nelle celebrazioni e nella gestione delle parrocchie. Non giovano a una più ampia partecipazione nemmeno la presenza di celebrazioni astratte, pesanti, caratterizzate da un linguaggio obsoleto che rende la liturgia incomprensibile e scollegata dalla realtà, con omelie troppo lontane da vissuto. Per ultimo, tra gli ostacoli da rimuovere, c’è il tempo sempre più ridotto all’incontro con le persone e alla cura delle relazioni.
A fronte di questi scenari, i tavoli sinodali, come si legge nella sintesi diocesana, hanno fatto emergere anche il “sincero anelito” dei suoi partecipanti nel delineare una Chiesa più fraterna, più caritatevole, capace di più Vangelo, di meno cerimonie e formalismi, di una maggiore vicinanza alle persone, con una rinnovata capacità di ascolto della Parola di Dio, segnata da uno stile fatto di accoglienza, di inclusione e di cammini condivisi. Aspetti che don Tartari, nella sintesi diocesana, ha riassunto in tre parole chiave: relazione, spiritualità e corresponsabilità. “Il sincero desiderio di cambiamento nella Chiesa registrato dai Missionari dell’ascolto – ha sottolineato ancora il Vicario per i laici e la pastorale – si precisa in tra direzioni: il riconoscimento, a partire dalla comune dignità battesimale, del ruolo dei laici, dei giovani e delle donne; la promozione di liturgie più curate e gioiose, più vicine alla vita; il ripensamento dei percorsi formativi dei sacerdoti e la proposta di una catechesi più concreta ed esperienziale”.
Il documento di sintesi, frutto di un lavoro a più mani e già condiviso con il gruppo dei Missionari e il consiglio presbiterale, è già stato inviato a Roma, alla Segreteria generale del Sinodo. Sarebbe, però, un errore ritenere che, con l’invio alla Segreteria generale del Sinodo, il documento di sintesi di quanto emerso dai tavoli, abbia esaurito la sua carica. Ne è convinto don Carlo Tartari, vicario episcopale per i laici e la pastorale. “Il documento, che è stato presentato al consiglio presbiterale e sabato sarà illustrato a quello pastorale – afferma - è uno stimolo costante che ci spinge a rimettere in asse il rapporto tra Chiesa e Regno di Dio. Dai tavoli sinodali, infatti, è emersa chiara l’indicazione che c’è ancora spazio per fare l’esperienza del Regno Dio, a patto che ci sia anche una Chiesa che non abbia un volto sfigurato o parziale.
L’esito dei tavoli sinodali farà poi da sfondo anche a quelle che da mesi la Chiesa bresciana si è data come priorità: rivisitazione dell’Icfr, progetto pastorale con e per i migranti, linee di pastorale familiare. “Non possiamo pensare – continua ancora il Vicario per i laici e la pastorale - a un nuovo modello di Icfr che coinvolge bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, famiglie, presbiteri, catechisti dei ragazzi e degli adulti, senza tenere in considerazione che avere uno sguardo più ampio, capace di indicare la priorità delle priorità: come dire il Vangelo oggi. Lo stesso vale anche per il cammino di formazione delle unità pastorali. Dobbiamo fare tesoro di quante emerso dalla consultazione sinodale, sia in tema di contenuto che di metodo per comprendere cosa ci sta dicendo lo Spirito, cosa è generativo per una comunità che oggi e ancora di più domani avrà caratteristiche completamente diverse da quelle a cui siamo abituati”.