Uno stile inscritto nel dna bresciano
Don Marco Mori, direttore dell’Ufficio per gli oratori, i giovani e le vocazioni, rilegge le nuove sfide degli oratori bresciani a partire dall’attualità del Pavoni
Dove va l’oratorio bresciano? Di fronte alle nuove sfide educative, gli oratori bresciani si sono confrontati e dall’incontro di realtà differenti è nato il documento “Dal cortile. Idee e scelte per l’oratorio bresciano” che dovrebbe accompagnare la pastorale giovanile delle parrocchie. E tra gli approfondimenti la prima scheda è dedicata proprio a Lodovico Pavoni “il santo educatore”. E dal Pavoni bisogna ripartire come conferma don Marco Mori, direttore dell’Ufficio per gli oratori, i giovani e le vocazioni: “Dobbiamo essere proprio felici per la canonizzazione del Pavoni perché porta con sé un metodo educativo per l’oratorio fondamentale ancora oggi. Se guardiamo a quello che ci ha lasciato e come possiamo pensare rispetto al futuro, ci sono dei passaggi, uno stile e un metodo da imparare”.
Centralità educativa. Don Lodovico ha sempre cercato e voluto i più poveri nel suo oratorio. E oggi è necessario “guardare alla povertà dei ragazzi non soltanto come a un problema ma come un punto di partenza. La carità non si ferma solo all’aiuto ma alla giustizia e alla dignità riguardo ai ragazzi. Pavoni ha risposto alle povertà dei ragazzi, facendo in modo che diventassero delle risorse. Attraverso la scuola e il lavoro ha dato dignità a questi ragazzi. Stare con i ragazzi vuol dire non soltanto aiutarli ma ridare loro una dignità, una centralità educativa”.
Il bene dei ragazzi. “Il Pavoni è stato un uomo di squadra. Si è inserito dentro una relazione con i confratelli. Ha sempre combattuto con chiarezza, non guardando in faccia nessuno per il bene dei ragazzi. Oggi bisogna avere il coraggio di andare contro alcuni interessi, meccanismi o situazioni che non permettono il bene dei ragazzi e con perseveranza e tenacia bisogna abbatterli e cambiarli sempre in nome del bene dei ragazzi. E questo ci dà autorevolezza”.
Uno stile. “Lo stile di bontà, di accoglienza e di amorevolezza era il metodo dell’oratorio. E lo deve essere ancora. Noi non educhiamo semplicemente perché diciamo le cose o perché abbiamo degli obiettivi da raggiungere ma perché stiamo con loro, perché li amiamo. Il metodo dell’amore è, dall’inizio alla fine, la strada che noi percorriamo. Non tiri fuori niente da un ragazzo se non gli vuoi veramente bene. Il bene è pazienza, amorevolezza… dobbiamo essere padri e amici. Il Pavoni ha vissuto pienamente questa vocazione e ce la consegna come stile per il futuro”.
La familiarità. Era un padre per i suoi ragazzi. “Dietro a quell’appellativo non voleva ricostruire qualcosa che non c’era più, ma una situazione nuova. Non ricercava l’aiuto di genitori improbabili e inesistenti, si faceva lui padre e madre. Indicava Maria come mamma e gli altri religiosi come padri. Il cuore dell’oratorio diventava sempre più la tessitura di relazioni accoglienti, buone e belle, capaci non di sostituire quelle delle famiglie d’origine che risultavano non più costruibili, ma attente a ridare possibilità nuove. L’oratorio non era, semplicemente, una seconda casa, ma la casa, quella vera, quella concreta, che non si sottrae al suo compito familiare di relazioni, di inserimento nelle responsabilità, di preparazione per il futuro, di ricostruzione dei vissuti perché torni la voglia di ricostruirsi una propria casa e una propria famiglia”.
Il modello. Il Pavoni va visto come un modello e un riferimento. “Penso che i nostri oratori abbiano attinto molto dal Pavoni, che era la punta di diamante dello stile di una Chiesa. Lo stile del Pavoni è quindi nel dna della nostra Chiesa e va recuperato. Auguro ai nostri oratori di rileggere il Pavoni e di portare avanti questo stile”.