Turchia: l'esperienza di Paolo anima del Vangelo
Domenica di trasferimenti per i pellegrini che, in Turchia, stanno affrontando il pellegrinaggio in compagnia del vescovo Tremolada. Dopo la Messa nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Izmir (l’antica Smirne), il discepolo amato dal Signore, che ebbe il privilegio di accompagnare Maria a Efeso (città visitata ieri dall’ottantina di persone che sono partire l’11 giugno da Brescia), il gruppo è partito alla volta di Pergamo per visitare la città ellenistica con l'Acropoli e le rovine dell'Esculapio. La restante parte della giornata è occupata dal lungo viaggio verso Yalova per prendere il traghetto veloce alla volta di Istanbul, da sempre crocevia tra Asia ed Europa.
Dopo una breve introduzione sulla figura di Giovanni, il vescovo ha ripreso la narrazione dedicata a San Paolo. “Quando Paolo arriva a Efeso, gli Efesini stanno adorando la dea Artemide. Entrati in contatto con Paolo, temono che la sua predicazione del Vangelo comprometta la venerazione della grande dea, dunque il mercato che vi è connesso, e si gettano contro di lui. Paolo rischia la morte, ma lui non la teme affatto, perché per lui annunciare il Vangelo è una necessità. Perché è così importante? La parola Vangelo significa ‘lieto annuncio’, che è quello concentrato sulla persona di Gesù e sulla sua resurrezione”.
L’esperienza di Paolo costituisce, quindi, l’anima del Vangelo. “Ciò che annuncia è ciò che ha vissuto, non una dottrina. Come fa a farlo percepire? Cosa ha capito di ciò che gli è avvenuto? - si è chiesto il vescovo Tremolada -. San Paolo è considerato uno dei più grandi teologi del cristianesimo. Il teologo è proprio colui che riflette sull’esperienza che ha vissuto e che cerca di capire quali sono le verità presenti in quell’esperienza che valgono per tutti. Il Vangelo non è una dottrina, ma non è nemmeno qualcosa che l’intelligenza non può approfondire”.
Paolo, dunque, prova a dare risposta a tante domande che uomini e donne di ogni tempo si pongono. “Nella Lettera ai Romani, la più importante di San Paolo, Paolo fa un’affermazione molto chiara su che cosa sia per lui il Vangelo, cioè in che cosa comporta, dal punto di vista della riflessione, l’esperienza che lui ha vissuto. Paolo è convinto che in ciò che annuncia sia presente il Cristo risorto. Scrivendo ai romani, pronuncia una frase che possiamo considerare riassuntiva di tutta la sua visione: ‘Io non mi vergogno del Vangelo perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede’. E poi aggiunge: ‘Nel Vangelo, si manifesta la giustizia di Dio di fede in fede”. Sono tre le parole essenziali di questa riflessione: potenza, salvezza e giustizia. Il Vangelo è potenza che salva perché rende possibile una giustizia”.
Questa potenza, che Paolo ha sperimentato anche nella sua vita, ha come obiettivo la salvezza. “Spesso sentiamo dire: Gesù ci ha salvato. Cosa vuol dire? E perché avevamo bisogno di essere salvati? Si parte da una domanda: quando una persona viene considerata giusta, chi è il giusto? In generale, la persona giusta è colei che fa il giusto, cioè il bene. Paolo era convinto di questo però pian piano ha fatto una riflessione. Ma se chi fa il bene è una persona giusta, perché le persone fanno il male? Non solo: quando si fa il male, si ha anche l’impressione di non essere del tutto padroni di se stessi. Il male è qualcosa di molto preciso: odio, gelosia, violenza, crudeltà, sfruttamento dei deboli, egoismo, ecc. Come mai l’uomo fa il male se per essere giusti bisogna fare il bene? Paolo deve riconoscere che, anche gli ebrei, che si impegnano a seguire la Legge, operano lo stesso con il male.
In base alla sua esperienza, quindi, la Legge indica chiaramente dove sta il bene e, se anche si ha il desiderio di farlo, non sempre ciò è possibile. O viceversa, la Legge fa comprendere dove sta il male, ma anche se non si vorrebbe farlo, qualcosa ci spinge a commetterlo. Insomma, Paolo è rimasto colpito da questa contraddizione dell’uomo e le dà un nome: peccato (al singolare. I peccati sono quelli che si vedono; ma prima delle azioni c’è qualcosa di misterioso che non si può dominare: il peccato è proprio questo). La Legge, davanti al peccato, inteso colme la spinta verso il male, è impotente. C’è quindi bisogno di vivere un’esperienza personale che ha la forma della salvezza, cioè il sentire che c’è una potenza di bene che contrasta questo male; e di vivere un’esperienza che è più potente del peccato: il Signore”.
La salvezza è, dunque, il riscatto, cioè “condurre da un luogo di morte alla pienezza della vita. Non si tratta quindi della Legge e dei suoi contenuti. La Legge è buona perché ci dice come agire per fare il bene. Ma il peccato non sempre lo permette. In sostanza, il Vangelo è un’esperienza di grazia di cui fare tesoro. C’è bisogno di fare un’esperienza di grazie tramite l’incontro con il Signore, con colui che ha piena potenza sul peccato e sulla morte”.