Tremolada: dialogo antidoto al conflitto sociale
Nell'omelia pronunciata nella chiesa di San Francesco per la solennità dell'Immacolata, il vescovo Tremolada ha sottolineato l'importanza del dialogo. Senza dialogo non siamo in grado di accogliere gli altri. Leggi l'omelia integrale
Siamo riuniti per vivere un appuntamento caro alla nostra Chiesa e anche a tutta la cittadinanza. Nella solennità dell’Immacolata Concezione il nostro pensiero va alla città di Brescia e all’intero territorio bresciano, con la sua gente, che vogliamo affidare all’intercessione della Vergine santa.
Abbiamo ascoltato, nel brano del Vangelo che la liturgia ogni anno propone per questa grande festa, il racconto dell’annunciazione del Signore. L’angelo Gabriele viene mandato da Dio nel piccolo paese di Nazareth, ad una giovane donna destinata a diventare la Madre di Dio. Si apre tra loro un dialogo, pacato ma intenso, che culmina nella dichiarazione della Beata Vergine Maria: “Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola”. Questo consenso incondizionato giunge a seguito di un confronto nel quale la libertà di Maria e la sua coscienza hanno modo di esprimersi pienamente. Dio, infatti, non si impone mai e non gradisce un’obbedienza forzata. Egli ama conversare amorevolmente. Ha piacere di ricevere un’adesione consapevole. Le domande che la Vergine rivolge prima a se stessa e poi all’angelo sono spontanee e sincere. Sorgono da una cuore libero, che desidera comprendere al meglio ciò che le viene chiesto dal suo Signore. Il messaggero di Dio risponde con piena condiscendenza. Il rispetto è reciproco ed è assoluto.
Un esempio luminoso per tutti noi: Dio desidera che proprio questo accada nella comunicazione degli uomini con lui e tra di loro. Il dialogo: ecco ciò che non deve mai mancare nella quotidiana esperienza del vivere. Su questo vorrei soffermi un poco a meditare con voi, ponendomi idealmente in sintonia con la lettera pastorale offerta quest’anno alla diocesi e dedicata al tesoro della Parola di Dio.
Del valore del dialogo e del desiderio di promuoverlo è segno lo stesso gesto che tra poco compiremo, onorando una tradizione secolare, cioè lo scambio dei ceri e delle rose tra il sindaco e il vescovo. È un modo suggestivo per esprimere la ferma intenzione di attuare un confronto rispettoso e costruttivo, a beneficio della città. È un reciproco riconoscimento di stima, che rifugge da ogni logica di potere. L’autorità, infatti, in ogni contesto istituzionale, si giustifica e sussiste non per se stessa ma in vista del bene comune.
Quanto sia rischiosa una convivenza sociale priva di dialogo ce lo ricorda la tristissima pagina biblica di Caino e di Abele. Entrambi – racconta il Libro della Genesi – offrono un sacrifico al Signore. Questi gradisce l’offerta di Abele ma non quella di Caino. Poiché le ragioni di un simile comportamento rimangono sconosciute, ci si attenderebbe da parte di Caino un dialogo con il suo Signore e con lo stesso Abele. Parlarsi permetterà di capire. Ed ecco invece una chiusura totale, un silenzio carico di gelosia che, passo dopo passo, conduce interiormente al rancore e poi all’odio. La mente ottenebrata porta a ritenere giustificata la violenza estrema e così la mano omicida si alza contro il fratello.
Il dialogo è il vero antidoto al conflitto sociale. Lo conferma la storia intera. È l’unica via attraverso la quale si giunge alla pace, perché suppone il riconoscimento della dignità della persona e la ricerca del bene di tutti. “La pace – ci ricorda il Concilio Vaticano II – non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno” (Gaudium et Spes 78). La dignità della persona umana è attestata dal suo volto. In esso traspare una dimensione dell’umano che solo l’aggettivo “trascendente” è capace di esprimere e solo l’incontro amorevole degli sguardi è in grado di percepire. Il dialogo sorge da qui, da queste immense profondità, ed è sempre accompagnato dal rispetto, vera garanzia della sua autenticità.
Per questo motivo, il dialogo si presenta come una delle espressioni più nobili della fraternità umana. Esso oltrepassa i confini della semplice tolleranza. Non si accontenta di una corretta convivenza, di uno stare ciascuno al proprio posto badando di non disturbarsi. Il dialogo è apertura reciproca, consente un innesto fecondo di vissuti differenti, genera un’armoniosa sinfonia di culture.
Il dialogo, inoltre, suppone l’ascolto, e questo, a sua volta, esige la capacità di accogliere l’altro per quello che è. Chi sa ascoltare ha già compiuto un piccolo miracolo: ha concesso all’altro il diritto di essere diverso, gli ha aperto nel suo cuore uno spazio accogliente, dove collocarsi liberamente con la propria differente personalità. Nella lettera enciclica Fratelli tutti, papa Francesco parla di una “cultura dell’incontro” (n. 215), che diventa realtà quando si esce da se stessi e si vive l’avventura della diversità.
Il nostro tempo ha un’enorme bisogno di questa generosa ospitalità interiore, cioè dell’accoglienza dell’altro come diverso da sé. È stato scritto – a mio giudizio in modo molto lucido – che nel momento attuale si assiste a una tendenziale espulsione dell’altro e a una proliferazione dell’uguale. La società del consumo, della prestazione e dell’enfasi tecnologica muove pericolosamente in questa direzione. Quel che sta succedendo ci fa chiaramente intravedere il rischio: si va dappertutto senza mai fare esperienza; si ammassano informazioni e dati senza mai giungere a un sapere; si bramano esperienze vissute in cui si resta però sempre uguali; si accumulano amici e followers senza mai incontrare veramente gli altri.
L’incontro con l’altro ci scomoda, ci obbliga ad una responsabilità, ci provoca dolore. Appiattire tutto nell’uguale e ricondurre tutto a se stessi lascia molto più tranquilli. Al dolore dell’incontro con l’altro, che fa crescere in umanità, si tende oggi a sostituire il comodo “mi piace”, che riporta tutto entro i confini di un soggetto sostanzialmente pigro e pauroso. Si fatica a riconoscere la diversità nella relazione personale e ad accoglierla con responsabilità. Prospera invece un’altra diversità, che non domanda alcuna responsabilità: quella dei prodotti di consumo. La pubblicità non cessa mai di proporre novità. Viene così appagato l’appetito di un io vorace, che fa dell’avere il suo primo pensiero. Ma in questo modo la persona precipita nella solitudine, si ritrova smarrita in un mondo freddo, sovraccarico di cose e sentito come estraneo. Il volto degli altri tende a scomparire dall’orizzonte. Il cielo di questa società individualista e ingorda si fa sempre più grigio.
Un altro pericolo si profila in questo orizzonte annebbiato: quello dello scontro tra gli egoismi, in un clima di forte insicurezza. Ognuno si sente costretto a difendere la propria identità e proprietà contro l’altro, cui guarda come a un estraneo, a un antagonista o addirittura a un nemico. I toni si fanno aspri, le parole pesanti, i ragionamenti meschini. L’identità altrui e l’altrui opinione vengono percepite come un pericolo, come un attacco al proprio mondo e al proprio pensiero. L’aggressività prende sempre più piede e rischia di diventare la forma naturale della relazione umana.
La coscienza vigile di ogni uomo e donna di buona volontà domanda un’inversione di tendenza. Abbiamo bisogno di riguadagnare l’esperienza positiva del dialogo, cioè di quel modo di rapportarci che prevede il confronto ma non lo scontro, lo scambio di vedute e non il duello. Nel dialogo, infatti, non ci sono vincitori e vinti, come nell’arena dei gladiatori. Chi dialoga non dice all’altro: “Tu hai torto e io ho ragione”, ma dice: “Cerchiamo insieme la verità, facciamo convergere i nostri punti di vista, perché questo ci aiuterà a guardare più in profondità e quindi più lontano”.
Nel dialogo si alternano silenzio e parola e il tacere deve sempre precedere il parlare. Scrive l’apostolo Giacomo nella sua lettera: “Lo sapete, fratelli miei carissimi: ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira (Gc 1,19). Quando, in un confronto, la parola dell’uno si sovrappone a quella dell’altro, il dialogo cessa di esistere. Solo uno stile pacato, non violento e non frettoloso, rende una discussione costruttiva. Occorre infatti tempo per comprendere quanto viene offerto dalla parola dell’altro e per trovare le parole più capaci di esprimere nella risposta il proprio pensiero costruttivo. “Oggi – osserva papa Francesco nella Fratelli tutti – venendo meno il silenzio e l’ascolto e trasformando tutto in battute e messaggi rapidi e impazienti, si mette in pericolo la struttura basilare di una saggia comunicazione umana” (n. 49). Come si potranno raggiungere i livelli più profondi del proprio vissuto, le stanze segrete del proprio mondo interiore se la comunicazione avviene in modo superficiale e sbrigativo. Il vero dialogo ha radici profonde, non è la chiacchiera banale e sterile. Non è neppure il febbrile scambio di opinioni cui spesso assistiamo nelle reti sociali. Questi sono monologhi che non attendono risposta e che spesso mirano a imporsi per l’arroganza del tono o la trasgressione del contenuto. Il dialogo è ben altro: è incontro di anime, condivisione di sentimenti, scambio di confidenze, confronto su idee a lungo maturate nel segreto della coscienza.
Il dialogo è anche ricerca sincera e appassionata del bene comune, perché ogni onesta coscienza sente la responsabilità del mondo ed è consapevole che ad essa non si risponde solo individualmente. Chi soprattutto è chiamato a esercitare l’autorità sa bene che ogni importante decisione riguardante la collettività e in particolare ogni situazione di crisi, esige un confronto paziente, sapiente e lungimirante. Colloqui, trattative, accordi, ma anche disegni di legge, decreti e ordinanze trovano la loro autentica espressione e risultano efficaci quando sono frutto di un dialogo intenso, franco e sincero. La stessa democrazia trova qui uno dei suoi vitali fondamenti. Un paese andrà fiero della sua classe politica e dei suoi amministratori nella misura in cui li vedrà esercitare la giusta dialettica di maggioranza e opposizione nella forma del confronto serrato ma rispettoso, cioè del dialogo che conduce al bene sempre maggiore della società. Questo implica – si legge sempre nella Fratelli tutti – che l’intelligenza umana possa andare oltre la convenienza del momento e cogliere alcune verità che non mutano” (n. 208). Un autentico dialogo saprà mettere a tema e porre in essere ciò che è garanzia di futuro.
E proprio pensando al futuro, vorrei qui richiamare – concludendo – un testo del Concilio Vaticano II nel quale è vivamente raccomandato il dialogo tra generazioni, in particolare tra gli adulti e i giovani. Parlando dell’impegno dei laici nella Chiesa e nel mondo, i padri conciliari rivolgono a tutti questo invito accorato: “Gli adulti procurino d'instaurare con i giovani un dialogo amichevole, passando sopra la distanza dell'età, di conoscersi reciprocamente e di comunicarsi le proprie ricchezze interiori. Stimolino i giovani all'apostolato anzitutto con l'esempio, e, all’occasione, con un prudente consiglio e con un valido aiuto. I giovani nutrano rispetto e fiducia verso gli adulti. Quantunque siano inclini naturalmente alle novità, apprezzino come meritano le buone tradizioni” (Apostolicam Actuositatem, n. 12). Sono parole cariche di sapienza, valide per ogni tempo ma in particolare per il tempo attuale. Oggi più che mai sentiamo viva l’esigenza di un confronto fecondo tra le diverse età della vita, affinché il presente sia caparra di un futuro sereno, ricco di umanità, e non si indebolisca la preziosa virtù della speranza.
Alla Vergine Immacolata, che veglia con infinita tenerezza sull’intera umanità, affidiamo il cammino di questa nostra comunità, che ci è cara, della nostra città e dei paesi sparsi sul vasto territorio bresciano. Per tutti chiediamo la grazia di una comunione di intenti e di azione che escluda ogni forma di competizione aggressiva e violenta, e faccia del rispetto reciproco, dell’ascolto e del confronto costruttivo la regola del vivere quotidiano. Sia il dialogo la forma naturale del nostro relazionarci, sia lo stile del nostro comunicare, sia la modalità del nostro decidere. Sia il desiderio che in tutta sincerità ci anima nel profondo e il Dio della pace sarà con noi.