Ti vien voglia di conoscerlo...
Il percorso attraverso il quale il giornalista bresciano, Massimo Tedeschi, ha creato il suo papa Montini
Se lo “incroci” ti vien voglia di conoscerlo. E se lo conosci ti affascina. Sta riassunto in questi due passaggi il rapporto che si è instaurato per me con Giovanni Battista Montini (1897-1978), eletto Papa con il nome di Paolo VI nel 1963. È stato il secondo Papa della mia vita. Infanzia, adolescenza e prima gioventù sono trascorsi sotto il papato di Paolo VI. Ma di Montini vivente mi rimangono flebili ricordi, mentre con la sua opera di Papa, la sua spiritualità, la sua figura umana ho cercato di acquisire conoscenze in tempi più recenti, lui morto ormai da decenni. L’ho fatto, all’inizio, per dovere di giornalista, trovandomi a raccontare le tappe del processo di canonizzazione. L’ho fatto con passione e un poco di metodo per interesse personale e per qualche avventura editoriale di cui s’è offerta l’occasione. Da dove partire, per accostare un monumento della spiritualità contemporanea, quale Montini è? Probabilmente da una biografia solida e avvincente come quella di Fulvio De Giorgi (“Il Papa del moderno”) o, su un piano più giornalistico, quella di Andrea Tornielli (“Paolo VI: l’audacia di un Papa”).
È anche possibile prendere le mosse dai grandi testi del magistero di Paolo VI: dall’enciclica Populorum Progressio, dal discorso all’Onu, dall’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Personalmente consiglio, a chiunque voglia accostare la grandezza spirituale di Montini, di leggere due suoi testi brevi e vertiginosi: il Testamento e il Pensiero alla morte. Basterebbe una delle frasi del primo (“Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica”) e l’appello alla Chiesa che chiude il secondo testo (“cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo”) per capire a che altezze ci si trova proiettati frequentando gli scritti di Paolo VI. Un altro testo illuminate è rappresentato dagli appunti del suo primo ritiro spirituale da Papa, nell’estate del 1963. “La posizione è unica – scriveva Montini –. Vale a dire che mi costituisce in un’estrema solitudine, totale e tremenda. Dà le vertigini. Come una statua sopra una guglia; anzi una persona viva, quale io sono”. Ebbene, che uomo era Montini, proiettato dalla Storia nella solitudine di una statua su una guglia? Ho provato a rispondere lavorando sulle testimonianze rese da 51 bresciani nella causa di canonizzazione (il risultato è “Processo a Montini” edito da Morcelliana). Ne esce un Montini apparentemente minore, in realtà vivo e palpitante, a cui tutti riconoscono un’attitudine unica: quella di dare sempre – da giovane sacerdote come da Papa – importanza assoluta al proprio interlocutore del momento, fosse egli una persona umilissima o un grande della terra. L’altro Montini che ho accostato e studiato è quello che il 10 dicembre 1977 riceve il Consiglio comunale di Brescia (il libro è “La Loggia in Vaticano”, sempre per i tipi di Morcelliana). I discorsi che il Papa e il sindaco Cesare Trebeschi si scambiarono allora meritano di essere letti, riletti e meditati. Paolo VI ricordò ai bresciani uno dei motti latini che riassumevano le virtù costitutive di Brescia, definita “mitis et constans”. Mitezza e costanza sono esattamente le virtù montiniane che non cessano di interpellarci. Come bresciani. Come uomini.