Siamo provati ma restiamo in piedi
La situazione evolve così velocemente che è difficile riuscire ad avere un quadro aggiornato della diffusione del contagio dal coronavirus Covid-19 nel Bresciano. Il Sir, l'agenzia stampa della Cei, ha intervistato il vescovo Tremolada
"C’è tanta paura, tanta preoccupazione. I bresciani sono gente fiera, forte. Brescia è conosciuta come la ‘Leonessa d’Italia’ per le vicende della sua storia. La gente non tende a manifestare sentimenti di disorientamento, rimane sempre in piedi. Però si vede che siamo molto provati”. Parte da qui il vescovo di Brescia, mons. Pierantonio Tremolada, per raccontare – con parole intense e accorate – quanto la città e la diocesi stanno vivendo in piena emergenza per il diffondersi del coronavirus Covid-19. I numeri diffusi l’altroieri dalla Protezione civile indicano Brescia come la seconda provincia d’Italia per numero di contagi (3.784) dopo Bergamo (4.305) con un’escalation preoccupante di decessi negli ultimissimi giorni.
Eccellenza, com’è la situazione attuale?
Stiamo vivendo giornate molto difficili, siamo in una situazione molto grave. È davvero un momento di prova e il segnale è dato dal fatti che di buon mattino prestgo, si sente il rumore degli elicotteri che trasportano i malati nei centri ospedalieri più importanti della città. E poi le ambulanze: ogni giorno il suono delle sirene putroppo ci accompagna. Per fortuna qui ci sono strutture ospedaliere molto buone, direi di alto livello. Tuttavia adesso stanno sostenendo un peso che è grave. I responsabili mi dicono che il livello si alza continuamente, occorre far fronte ad un’emergenza crescente. Occorre trovare nuovi spazi per collocare i malati. Si sta davvero facendo l’impossibile.
Anche a Brescia il personale medico-sanitario è in prima linea e non si risparmia…
Ci sono degli esempi di dedizione eccezionali, un impegno che merita di essere ricordato. Sono convinto che quando questo, grazie a Dio, finirà, avremo delle cose straordinarie da raccontare. Ora sono nascoste, ma i nostri medici, i nostri infermieri sono ammirevoli.
In questa situazione, in che modo la Chiesa bresciana ha cercato e potuto essere vicino alla “sua” gente?
Abbiamo innanzitutto offerto degli ambienti. Su richiesta delle autorità è stato messo a disposizione il nostro Centro pastorale, con opportunità di accoglienza alberghiera, per coloro che usciti dall’ospedale hanno comunque bisogno di un tempo ulteriore di convalescenza sotto osservazione. Poi, ovviamente, abbiamo messo a disposizione le nostre chiese e succursali, in tutta la diocesi, perché in questo momento abbiamo anche un’emergenza salme: il numero dei decessi è alto, e prima che si possano compiere tutte le onoranze funebri c’è bisogno di un posto dove accogliere le bare. A questo, per quanto possibile e rispettando i vincoli, si affianca il rapporto personale: abbiamo garantito una presenza spirituale nei nostri ospedali, soprattutto i due principali in città, con i frati minori e sacerdoti giovani. Ma l'aiuto è dato soprattutto al personale.In una lettera che ho inviato a medici e infermieri ho chiesto loro di essere “ministri di consolazione” perché solo voi potete stare vicino ai ricoverati nella malattia e negli ultimi istanti. E poi i nostri sacerdoti sono encomiabili nella benedizione delle salme.
Nonostante l’emergenza non manca la prossimità…
Le nostre chiese sono rimaste aperte nel rispetto delle disposizioni, i sacerdoti celebrano ogni giorno la messa. Quando suoniamo le campane prima delle messe la gente sa che il sacerdote sta celebrando per tutti e diverse sono le persone che partecipano grazie alle dirette streaming. E poi c’è un uso intelligente dei nuovi mezzi di comunicazione Attraverso i social, in modo artigianale ma molto saggio si cerca di tenere unite le persone, di farci sentire Chiesa.
Anche la Chiesa bresciana è stata toccata, come altre, dalla morte e dalla malattia di sacerdoti…
Tre sono quelli deceduti, altri sono ricoverati in questo momento. Li stiamo seguendo molto attentamente. Purtroppo non è facile capire da subito chi viene colpito, c’è una gradualità nella percezione della malattia. Alcuni sacerdoti non sono in perfette condizioni, speriamo che le cose non peggiorino.
L’impossibilità del conforto per i malati gravi così le persone morte che non possono avere un funerale aggiungono ulteriore sofferenza ad un dolore già grande…
Questo ci costa tantissimo. Quando parliamo di prova, perché noi siamo nella prova, dobbiamo includere anche questo: non è un aspetto secondario. È proprio della Chiesa sentirsi uniti, in comunione, soprattutto quando si soffre nei momenti in cui vengono a mancare persone care. Stiamo cercando di vivere questa presenza, questa vivicinanza in forme diverse, quelle che ci sono consenstite in questo momento. Peché non possiamo assolutamente rendere più grave la situazione.Bisogna stare attenti, è un obbligo di coscienza non contribuire in nessum maniera ad un incremente del contagio.Ma questo la gente l’ha capito.
Ieri sera in tutta Italia per iniziativa della Cei siamo stati invitati a recitare il Rosario…
Ogni giorno lo prego alle 20.30 in diretta Facebook e mettiamo un lume sul davanzale. Ieri ci siamo uniamo alla Chiesa italiana. Sono piccoli segni che fanno sentire un’appartenenza, in una condizione che non è quella normale. Nella prova sono i segni della Provvidenza a permetterci di non essere travolti: sono gesti della carità, gesti di coraggio, di dedizione, di cura e di affetto.Lo stiamo vedendo negli ospedali, nelle famiglie, nei messaggi che ci arrivano anche da fuori diocesi: c’è un senso di unità che è molto forte.
L’altro giorno ha voluto elevare una preghiera al bresciano san Paolo VI e ha invitato anche i fedeli a farlo. Che significato ha questa supplica?
Verso Paolo VI abbiamo sempre avuto un grande affetto, che sta sempre più crescendo. La Chiesa bresciana ha certe caratteristiche che Montini ha incarnato molto bene. La sua è una figura discreta, di un grande cuore; tuttavia, piuttosto riservato: così era Paolo VI, così sono i bresciani. Lo sentiamo molto vicino perché è figlio di questa terra. È il Papa che ha difeso la vita e l’ha cantata nella sua bellezza; aveva uno sguardo sul mondo molto affettuoso e molto dei testi conciliari risentono di questo sguardo amico; e poi ha vissuto l’esperienza della perdita di persone care, ha vissuto lo strazio della morte di Aldo Moro… Anche per queste ragioni lo sentiamo molto vicino e ci siamo affidati a lui.
C’è un segno, un impegno che si è concretizzato in questi giorni che Le fa avere speranza?
Nel giro di una settimana i bresciani hanno raccolto 10 milioni di euro che sono stati messi a disposizione delle strutture. E le donazioni ancora continuano. Da una parte c’è la consapevolezza della sfida che dobbiamo affrontare, dall’altra c’è davvero un grande cuore. Fuori dall’Ospedale civile, il più grande cittadino, c’è uno striscione dei tifosi del Brescia “Un grazie non è sufficiente, onore a chi salva la nostra gente”. Anche questo dice di come stiamo vivendo questa emergenza.