lock forward back pause icon-master-sprites-04 volume grid-view list-view fb whatsapp tw gplus yt left right up down cloud sun
Turchia
di ELISA GARATTI 12 giu 2024 15:54

Turchia: ad Ankara sulle tracce di San Paolo

Nel secondo giorno in Turchia, nella capitale Ankara, il vescovo Tremolada ha presieduto la S. Messa proseguendo, nell’omelia, nel racconto della storia di San Paolo, originario di Tarso di Cilicia (una località che coincide con una zona dell’attuale Turchia), che ebbe il compito di evangelizzare queste terre.

“La sua personalità ha due risvolti, che corrispondono ai suoi due nomi: Saulo (il nome ebraico) e Paulus (quello greco-latino). Figlio di ebrei, era fariseo e osservante, dunque, della Legge. La sua città natale, però, era ai confini di Israele: Tarso di Cilicia. Con molta probabilità, aveva frequentato anche le università di Tarso, dove si studiava il greco, che era la lingua dei colti. Paolo, dunque, conosceva due lingue. Non solo, gli abitanti della città di Tarso avevano ricevuto, come dono dall’imperatore, la prerogativa di dichiararsi cittadini romani. E, a quel tempo, chi aveva la cittadinanza romana aveva molta considerazione. Questo elemento diventerà molto importante quando arrivato a Gerusalemme, dovendo sottoporsi ad un processo e non ritenendolo giusto, si appellerà a Cesare. Per cui, Paolo verrà portato a Roma e morirà a Roma”.

Il vescovo ha poi approfondito la ‘conversione sulla via di Damasco’. “Saul era molto legato alla tradizione ebraica e considerava fondamentale per la salvezza l’osservanza della Legge. Chi non conosceva la Legge, per lui, non conosceva Dio. Chi non aveva la Legge, insomma, era perduto”. Quando si trovò davanti alla lapidazione di Stefano, che era stato giustiziato per la sua capacità straordinaria di parlare di Gesù e dell’annuncio della sua resurrezione e per la sua convinzione che una vita autentica non dipendeva dalla Legge, ma dall’incontro con Gesù, Saul crede che la sua uccisione sia giusta. Però, “rimane colpito dall’essere stato ucciso nel nome di Gesù”.

Sulla via di Damasco, dove stava andando per scovare i cristiani, succede qualcosa di straordinario: da persecutore, Paolo diventa apostolo di Cristo (sebbene conservando un grande rispetto per la tradizione dei Padri e della Legge, infatti questo nome richiama la sua identità apostolica). Questo evento è raccontato da San Luca negli Atti degli Apostoli. Nell’omelia, il vescovo Tremolada si è soffermato su alcuni passaggi.

“Sulla via di Damasco, viene raggiunto da una rivelazione e colui che gli parla dice ‘Io sono Gesù che tu perseguiti’. Innanzitutto, se ne ricava che Gesù, visto che gli parla, è vivo. E questo sconvolge Paolo perché lui l’ha visto in croce. Non solo: quella voce afferma che lui stava perseguitando Gesù, ma propriamente Paolo stava perseguitando i cristiani. A conferma che si tratta di un soggetto vivo. Insomma, Paolo stava facendo l’esperienza dei primi discepoli, quelli che lui stava perseguitando”. L’altro aspetto su cui il vescovo si è soffermato è sulla “rivelazione che ha la forma di una luce che lo abbaglia. Cade a terra, non ci vede più e lo portano a Damasco, dove rimane per tre giorni nel buio più profondo. Ha l’occasione di meditare su quello che gli è successo. Poi arriva da lui uno dei discepoli di Gesù, Anania, e Paolo torna a vedere. Il significato è molto chiaro: Paolo, viene invitato a entrare in una nuova prospettiva, a rivedere alcune sue convinzioni. Quali convinzioni? Per prima cosa, la dipendenza dalla Legge, anche perché Paolo sapeva bene che non sempre si può osservare la Legge e non era mai riuscito a rispondere alla domanda ‘E se non riesco ad osservarla?’. Paolo capisce che attraverso Gesù, che è vivo, è possibile fare ciò che Dio chiede perché c’è una potenza che ti sosterrà e ti accompagnerà nell’esperienza della salvezza”. La terza caratteristica messa a punto dal vescovo è il nome. “Saulo si sente chiamato per nome per due volte. Questo atto dimostra che Gesù lo conosce e Paolo si stupisce. Il nominarlo due volte è un segno di affetto e Paolo si è sentito amato. Gesù poteva punirlo visto che lui perseguitava i cristiani, invece vuole salvarlo”. Il vescovo continua poi a descrivere il legame fra Gesù e Paolo: “Da questo momento, capisce che quello che ha vissuto lui, lo devono vivere anche gli altri. Ecco che si vota alla predicazione del Vangelo: da subito inizia a dire che Gesù è il Cristo, è il figlio di Dio ed è colui che è venuto per salvarci”.

L’esperienza di Paolo è simile a quella a Stefano. “La ragione per il quale Gesù ha chiamato Stefano va cercata nel frutto che ha avuto il martirio di Stefano: colui che all’inizio, approvava quella morte, è colui che poi ha potuto comprendere meglio la rivelazione”.

“Questo è anche il cuore della nostra fede. - ha poi concluso il vescovo -. Il centro sta nella resurrezione di Gesù. Tutta la nostra vita trova significato nella Resurrezione. La vita viene custodita dalla presenza del Risorto”.

Nella giornata, i pellegrini hanno potuto visitare il Museo delle Antiche Civiltà Anatoliche, sede di una collezione di reperti della civiltà Ittita, unica al mondo. Successivamente, si sono spostati al Mausoleo di Ataturk, fondatore della Repubblica Turca, per poi partire per la Cappadocia, con una sosta al Lago Salato e alla città sotterranea di Kirköz nel villaggio di Saratli, scavata con intento strategico e difensivo da incursioni nemiche.

ELISA GARATTI 12 giu 2024 15:54