San Paolo: la testimonianza oltre la sofferenza
Prosegue il pellegrinaggio in Turchia con il vescovo Pierantonio. I pellegrini, dopo la visita di Ankara, hanno oggi visitato la Cappadocia, uno dei luoghi più affascinanti della nazione per il suo caratteristico paesaggio lunare, i villaggi trogloditi e le chiese rupestri abitate, un tempo, da anacoreti che le arricchirono di affreschi. Dopo la visita della Valle di Pasabag con la selva di giganteschi "camini di fata" e dei villaggi trogloditi di Avanos e Uchisar, il gruppo si è poi spostato al museo all'aperto della Valle di Göreme.
Ad inaugurare la giornata, in mattinata, la S. Messa, una celebrazione speciale per il vescovo visto che oggi cade l’anniversario della sua ordinazione sacerdotale.
Nell’omelia, mons. Tremolada ha proseguito la narrazione della storia di San Paolo. Dopo la conversione sulla via di Damasco, “la sua vita si è trasformata in una missione: convertire le genti”. Non è un caso, infatti, che sia conosciuto ai più come l’“Apostolo delle genti”.
Barnaba, che aveva chiesto a Paolo di raggiungere Antiochia, dove era nata una comunità di cristiani, “annuncia insieme a lui la Parola del Signore risorto”. Ad Antiochia, che sarà il campo base della missione, rimangono un anno.
“Il libro degli Atti ci racconta che, durante un momento di preghiera, lo Spirito del Signore fa capire loro che Dio ha una missione da affidare a loro. Riconoscono questa chiamata, pregano e partono: è il primo viaggio missionario. Una delle prime tappe dopo Cipro è Iconio, oggi Konya, dove saremo domani. Non si trattengono molto. Questa regione, la Galazia, verrà visitata da Paolo tre volte (da cui scriverà la Lettera ai Galati)”.
Dopo aver visitato queste città, Paolo torna ad Antiochia. “Nel frattempo, emerge una faccenda molto seria, Paolo si pone un interrogativo. Gesù faceva parte del popolo di Israele, era ebreo da ebrei, aveva ricevuto la circoncisione. Si trattava ora di capire la centralità della persona di Gesù rispetto alla Legge ebraica. Bisognava circoncidere chi diventava cristiano? Bisognava seguire la legge ebraica? C’erano due pareri: c’era chi pensava si dovesse seguire la tradizione ebraica e chi no. Paolo afferma che basta semplicemente credere in Gesù, accogliere la potenza della sua resurrezione e identificarsi nel suo sacrificio sulla croce. Per affrontare questo problema, si riunisce la prima comunità di Gerusalemme, in particolare i 12”. La loro risposta conferma il pensiero di Paolo: non è necessario che si osservino tutti i precetti di Mosè, ma si creda nel Signore.
Alla luce di quanto accaduto, Paolo riprende la sua missione. Inizia il secondo viaggio. Ma solo, senza Barnaba. “Paolo si rende conto che la missione che lui intende compiere non potrebbe essere retta da Barnaba. Si accordano: Barnaba va a Cipro e svolge la sua missione. Paolo, invece, parte da Antiochia, arriva alla Galazia dove era già stato: il suo sogno era arrivare a Efeso. Vorrebbe arrivarci presto, ma si accorge pian piano delle difficoltà. Tenta di andarci cambiando varie volte il progetto, ma trova numerosi ostacoli. È come se qualcuno o qualcosa lo stesse spingendo in un’altra direzione, cioè verso il porto di Troade”.
Paolo ha una visione: un abitante macedone dice di “passare da noi”, cioè in Europa. “Paolo prende allora la nave e arriva in Europa. Va prima a Filippi (da cui deriverà la Lettera ai Filippesi), ma non si trattiene molto perché viene subito perseguitato. Riesce però a far crescere una comunità cristiana. Va avanti e arriva Tessalonica (da cui scriverà la Lettera ai Tessalonicesi): anche lì si trattiene poco, per tre sabati. Lascia il luogo ancora per le persecuzioni e va a Atene, la città della filosofia, il vertice della cultura greca. Paolo ritiene estremamente importante annunciare lì il Vangelo”.
Qual è però l’esito di questo discorso? “Un fallimento. Nessuno lo segue. Quando accenna la resurrezione, gli dicono che su questo lo avrebbero ascoltato un’altra volta. Attraverso la Sapienza, il ragionamento, che gli uomini considerano così importante, non si riesce a cogliere la potenza del Vangelo. Non nasce quindi una comunità cristiana”.
Paolo va allora a Corinto, che, a quel tempo, era la città più corrotta dell’impero. Arrivato in questa città, nasce subito una comunità cristiana. “Dal fallimento di Atene, dove aveva capito che non si comunica il Vangelo con i discorsi ben combinati, a Corinto (Lettera ai corinzi) capisce che si deve predicare attraverso l’umiltà, per far capire la forza e potenza della resurrezione”.
È proprio a Corinto che Paolo inizia a scrivere le lettere. La prima è quella ai Tessalonicesi. Era convinto che quella comunità si sarebbe sfaldata, invece, nonostante le persecuzioni, resiste: è la conferma che il Vangelo resiste alla forza delle persecuzioni.
Successivamente, comincia il terzo viaggio. Finalmente, Paolo arriva a Efeso, percorrendo un itinerario che lo porta a incontrare le comunità che ha fondato (avviene la terza visita ai Galati). Qui rimane per due anni e costituisce una comunità. Scriverà la lettera agli Efesini e la lettera ai Colossesi (vicino a Efeso). “Poi la sua intenzione è di andare a Gerusalemme. Tutti gli dicevano di non andare perchè sarebbe stato pericoloso per la sua vita. Invece, lui voleva raggiungere Gerusalemme perché aveva raccolto una colletta dalla diverse comunità per la città. Arrivato, dona il denaro, ma viene arrestato. Allora si appella alla sua cittadinanza romana per ricevere un processo davanti all’imperatore. A Roma si compirà l’esecuzione”.
Il vescovo Tremolada ha concluso l’omelia soffermandosi sul significato del termine Vangelo. “Per me non è un vanto annunciare il Vangelo, non prevedo una ricompensa’. Cosa intende Paolo per Vangelo? È il lieto annuncio, cioè la pubblica proclamazione di una notizia che rende felici coloro che la ricevono. Quindi che Gesù è risorto. L’esperienza che lui ha fatto, la notizia che ha ricevuto, deve essere diffusa. Il Vangelo non è una dottrina: annunciare il Vangelo non significa spiegare le cose che la gente non sa. Questa è la regola degli ateniesi, che usano la Sapienza. Il lieto annuncio si sperimenta perché si comprende la potenza di Dio. Quella potenza lui aveva percepito nella luce che lo aveva buttato per terra e in quella voce che gli permetteva di affermare che Lui era vivo. Era una potenza, inoltre, che chiama per nome, una potenza benefica. Questo è il segreto del Vangelo. E lo si fa percepire non tanto con discorsi, ma con una testimonianza. Di fronte alle persecuzioni, che lo impressionavano, chiedeva al Signore come si potesse comunque diffondere il Vangelo. Poi si ricordava di quanto accaduto a Tessalonica: una comunità che andava avanti nonostante la sofferenza. L’aspetto fondamentale è consentire a questa potenza di agire. Per renderlo possibile, bisogna essere umili e non pensare di poter capire e controllare fino in fondo quella potenza, oltre ad accettare di soffrire e di dare a questa sofferenza la forma di un amore. In questo passaggio, capisce come mai Gesù ha accettato la morte in croce: per fare della propria vita un sacrificio. Questo sarà lo stile di Paolo. Se vogliamo essere dei testimoni del Cristo risorto dobbiamo accettare quella via che fa della sofferenza la via”.