Pregare, tempo sprecato?
L’abate di Chiaravalle, il bresciano Stefano Giuseppe Zanolini, si racconta
Alcuni bresciani si sono recati in visita all’Abbazia di Chiaravalle di Milano dall’Abate Stefano Giuseppe Zanolini, già seminarista a Brescia, che dopo 3 anni come curato a Bovezzo chiese al vescovo mons. Morstabilini di poter entrare nella congregazione dei Monaci Cistercensi. Qualche anno prima durante una visita in un monastero cistercense aveva detto: “Qui mi sento a casa, vorrei vivere così”.
Ora da alcuni anni ricopre la carica di Abate dell’Abbazia milanese, una delle più importanti fra le quindici rimaste in Italia; un tempo erano una ottantina; la sua funzione è un po’ come quella di un Vescovo ed oltre alla sua ne sovrintende anche altre. Dopo le lodi dell’ora nona (i monaci sono in preghiera comunitaria per quattro ore al giorno e per altre due in preghiera personale; ma hanno anche dei bei momenti, al mattino e nel pomeriggio, in cui sono occupati a confessare, rassettare, pulire, cucinare, fare l’orto, ecc.) l’abate, aperti i cancelli, ha raccontato di sé e dell’Abbazia da tutti i lati: storico, artistico culturale e religioso. L’Abbazia di Chiaravalle è uno dei più importanti complessi monastici italiani e fu fondata da San Bernardo di Clairvaux nel 1135, quando venne chiamato nel territorio milanese da frati benedettini che volevano vivere secondo le originarie regole di San Benedetto, che col tempo erano state un po’ addolcite. Si racconta di lui che aveva un carisma attrattivo così forte che le madri e le mogli sprangavano le porte delle case, quando erano al corrente che il santo stava passando dalle loro parti, per impedire ai loro uomini di seguirlo. La storia dell’Abbazia proseguì normalmente nei secoli fino alla cacciata dei monaci da parte della Repubblica Cisalpina nell’anno 1798; solo nel 1952 poterono ritornare ma avendo solo l’uso della struttura, l’onere e l’incombenza di mantenerla ma non la proprietà, che è in parte comunale e in parte demaniale. Oggi sono 18 i monaci, in prevalenza anziani, che risiedono nell’Abbazia milanese: in chiesa siedono tutti nella zona dei coristi, sia i presbiteri che i religiosi (ci sono ben 78 posti con comode sedie e sgabelli “misericordia”); la zona riservata anticamente ai conversi (religiosi laici destinati al lavoro manuale e che non potevano ascendere allo status di monaci; ma ci sono più santi fra di loro che tra i coristi!) ora è occupata dai banchi per i fedeli. Abbiamo chiesto all’Abate Zanolini se ha ancora senso al giorno d’oggi ritirarsi a fare una vita monastica. “Sono quasi 40 anni che indosso questo saio e mai una volta ho avuto pensieri di rammarico; nella vita religiosa, come anche nella società intera sono molteplici le modalità in cui operare ed ogni persona dovrebbe ricercare quelle più consone a sé e non accettare supinamente quello che gli “passa il convento”.
Molti pensano che non sia più il caso di rinchiudersi in conventi o monasteri, che stando fuori nel mondo si possa operare meglio, che il tempo dedicato alla preghiera sia tempo “sprecato” e che noi non serviamo a niente (fu con questa motivazione che i Cisalpini ci sloggiarono dai monasteri, oltre che per accaparrarsi i nostri beni). Qualche comodità ce la concediamo: abbiamo il televisore, che è sempre rivestito di ragnatele, e il cellulare, ma senza tutte quelle diavolerie. Credo che se non ci fossero le poche migliaia di anime che ogni giorno pregano per tutti gli uomini (per Papa Francesco facciamo sempre una preghiera speciale) il mondo sarebbe già andato in rovina”.