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Brescia
di ANNA SALVIONI 19 nov 2024 15:46

Portare, nella quotidianità, la speranza

Don Adriano Santus ha iniziato il suo servizio di cappellano per il carcere di reclusione di Verziano nel 1989 che, allora, ospitava solo detenuti maschi, già definitivi. Dopo 2 anni, nel giugno 1991 e poi passato alla Casa circondariale... Ha trascorso 30 anni tra le mura di una realtà che molti preferiscono ignorare. In ogni incontro con i detenuti, nel dolore e nel silenzio di chi vive sospeso tra colpa e speranza, ha portato una parola di conforto, un gesto di ascolto, una presenza che, giorno dopo giorno, ha fatto la differenza. Gli abbiamo rivolto alcune domande per comprendere meglio il valore di chi porta speranza ai dimenticati, anche se, come ha premesso, “non è facile rispondere con semplici battute o ricette prefabbricate”. Nel sito www.unitineldono.it è possibile sostenere e iscriversi alla newsletter mensile per essere informati sulle storie di sacerdoti e comunità che, da nord a sud, fanno la differenza per tanti.

Don Adriano, in oltre 30 anni da cappellano del carcere ha incontrato tante persone in cerca di una seconda possibilità. Qual è stata per lei la sfida più grande nel portare speranza a chi spesso si sente dimenticato?

In alcune circostanze, soprattutto per i reati più gravi, la sfida sta nel considerare che la persona non si può identificare con il suo reato, specie se il detenuto non ha fatto una scelta delinquenziale, ma è incappato in una situazione imprevedibile (come un raptus o altre circostanze casuali). Soprattutto, sono sostenuto dalla convinzione che Dio, in Gesù Cristo morto e risorto, ci garantisce il suo perdono, che è sempre più grande del nostro peccato.

Cosa significa restituire dignità a chi ha commesso degli errori? In che modo il valore della speranza può trasformare una vita e dare senso al percorso di redenzione?

È frutto di una frequentazione, di colloqui personali, di ascolto, di luce, attraverso la Parola di Dio, il catechismo settimanale, la partecipazione alla messa domenicale, e il sacramento della riconciliazione. Solo l’amore di Dio, sperimentato nel perdono, può aprire la persona alla speranza in un futuro possibile. Nel caso delle dipendenze (alcol, droga, ludopatia, sesso...), serve una vera conversione che solo la fede in Cristo può alimentare per un autentico cambiamento di vita.

Molti detenuti continuano a cercarla anche dopo la scarcerazione. Qual è il messaggio più importante che cerca di trasmettere loro per affrontare un nuovo cammino?

L’unico tesoro che possiamo donare come risorsa, sia in carcere sia fuori, è la Parola di Dio: il “Verbo”, cioè il Vangelo di Gesù, che ha preso su di sé la nostra umanità e si è caricato dei nostri peccati con amore gratuito, per strapparci dalla schiavitù, dal male e dalla morte, donandoci una vita nuova. Come diceva Sant’Agostino: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventasse Dio”.

ANNA SALVIONI 19 nov 2024 15:46