Pasqua nel ricordo di Paolo VI
"Per noi quest’anno la Pasqua assume una valenza particolare. Quest’anno, infatti, entrerà negli annali della nostra Diocesi, ma anche della Chiesa universale, come l’anno della canonizzazione di Paolo VI. Evento che ci rende felici e fieri". L'omelia pronunciata dal vescovo Tremolada in occasione della S. Messa di Pasqua presieduta in Cattedrale
“Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto ma ora, vivo, regna vittorioso”. Sono le parole di un passaggio della sequenza tradizionale Victimae Paschali, che abbiamo appena ascoltato e che la liturgia raccomanda di cantare il giorno di Pasqua. Questo inno toccante e gagliardo poi prosegue: “Raccontaci Maria, che cosa hai visto lungo la via?”. E Maria risponde: “La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, gli angeli che lo testimoniano, e poi il sudario e il lenzuolo che avvolgeva il suo corpo”. È quanto abbiamo poi sentito raccontare anche nel brano del Vangelo di Giovanni: la tomba di Gesù è vuota, egli è vivo. Si rivolge a Maria di Magdala chiamandola per nome e lei che era venuta per compiere con maggior cura il mesto rito dell’unzione della salma, è la prima testimone della resurrezione. Gesù le dice: “Va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.
Cristo è risorto! Sulla scena travagliata della storia umana si è aperto un orizzonte nuovo e radioso: quello della redenzione: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore, rallegriamoci e in esso esultiamo”. Il mistero della Pasqua di risurrezione è stato annunciato. Da allora ogni anno questo mistero si rinnova nella liturgia. Accade anche per noi questa domenica, a conclusione del solenne triduo santo. Ma per noi quest’anno la Pasqua assume una valenza particolare. Quest’anno, infatti, entrerà negli annali della nostra Diocesi, ma anche della Chiesa universale, come l’anno della canonizzazione di Paolo VI. Evento che ci rende felici e fieri. Quel ragazzo bresciano che mamma Giuditta e papà Giorgio, ma anche i parenti e gli amici, chiamavano Battista e poi don Battista, divenuto guida della Chiesa universale, è ora presentato al mondo come esempio di umanità trasfigurata dall’amore di Dio.
Ogni santo – cin insegna la Chiesa – è l’incarnazione personale e storica del mistero pasquale, è cioè riflesso dell’umanità santa del Figlio Dio. I santi rinviano in modo diretto alla Pasqua del Signore. Anche per questo penso sia bene quest’anno celebrare la Pasqua – per così dire – insieme a Paolo VI, dando a lui la parola, provando a capire cos’era per lui questo giorno e quale visione egli aveva del mistero che vi si celebra. Così vorrei fare. In questa omelia poche saranno le mie parole e molte le sue.
Nell’omelia della Pasqua dell’anno santo 1975, nel pieno degli anni di piombo, Paolo VI così parlò della resurrezione del Signore: “Lasciamo che la luce e la virtù di tanto mistero fluiscano sopra la nostra umanità … Perché la risurrezione di Cristo non è soltanto un suo trionfo personale, ma è altresì il principio della nostra salvezza e quindi della nostra risurrezione.
Lo è fin d'ora, come liberazione dalla causa prima e fatale della nostra morte, che è il peccato, il distacco dall'unica e vera sorgente della vita, che è Dio.
Lo è come pegno della nostra corporale risurrezione futura, salvati, come siamo, nella speranza che non fallisce, per l'ultimo giorno, per la vita che non conosce la fine.
E lo è anche come modello ed energia del continuo rinnovamento morale, spirituale, sociale della vita presente, ch'è ora per noi l'oggetto del nostro immediato interesse …
Non importa, fratelli, se l'esperienza della caducità delle forze umane delude ogni giorno le nostre fragili speranze d'uno stabile ordinamento della società umana.
E non importa nemmeno se dal progresso stesso generato dallo sviluppo moderno e dalla cultura sovrana degli utili segreti della natura sembra derivare all'uomo non pienezza, non sicurezza di vita, ma piuttosto tormento d'insoddisfatte aspirazioni.
Non importa, poiché una nuova, originale, inesauribile sorgente di vita è stata infusa nel mondo dal Cristo risorto, operante per quanti ne ascoltano la parola, ne accolgono lo spirito e ne compongono il mistico corpo, nel mondo e nel tempo”.
È però soprattutto alla fine della vita di Paolo VI che dobbiamo guardare per comprendere cosa fosse per lui la Pasqua del Signore. Occorre in particolare leggere attentamente uno dei suoi scritti più personali e più suggestivi, cioè il Pensiero alla morte. Al tramonto della sua vita, ormai vicino alla meta del suo straordinario cammino spirituale che nei prossimi mesi riceverà il sigillo della riconosciuta santità, il papa bresciano si volge indietro e parla della sua vita in un orizzonte universale. La Pasqua del Signore è per lui la luce gettata sullo scenario della sua storia personale e di quella di tutta intera l’umanità, è la prospettiva, l’orizzonte, lo stesso sguardo con cui rivolgersi all’esperienza quotidiana dell’esistenza; come direbbe il salmo: “Nella tua luce Signore, vediamo la luce”. Da questo scritto raccogliamo un triplice insegnamento sulla Pasqua del Signore: essa è esperienza di gratitudine, di misericordia e di fiducia.
Anzitutto di gratitudine. “L'ora viene – scrive Paolo VI con il suo stile poeticamente spirituale – Da qualche tempo ne ho il presentimento … Mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce. Di solito la fine della vita temporale, se non è oscurata da infermità, ha una sua fosca chiarezza … Vi è la luce che svela la delusione d'una vita fondata su beni effimeri e su speranze fallaci; vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi; vi e quella della saggezza che finalmente intravede la vanità delle cose e il valore delle virtù che dovevano caratterizzare il corso della vita...
Quanto a me vorrei avere finalmente una nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita: penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza. Tutto era dono, tutto era grazia. E com'era bello il panorama attraverso il quale si è passati. Troppo bello! Tanto che ci si è lasciati attrarre e incantare, mentre doveva apparire segno e invito. Ma, in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente; un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio, e in gloria. La vita, la vita dell'uomo! Né meno degno d'esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell'uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. E' un panorama incantevole … Tutto è dono. Dietro la vita, dietro la natura, l'universo, sta la Sapienza. E poi, lo dirò in questo commiato luminoso – tu ce lo hai rivelato o Cristo Signore – dietro tutto sta l'Amore … Grazie, o Dio, grazie e gloria a Te, o Padre! In questo ultimo sguardo mi accorgo che questa scena affascinante e misteriosa è un riverbero, è un riflesso della prima ed unica Luce. È una rivelazione naturale d'una straordinaria ricchezza e bellezza, la quale doveva essere una iniziazione, un preludio, un anticipo, un invito alla visione dell'invisibile sole che nessuno ha mai visto e che il Figlio Unigenito ha rivelato”.
A questa gratitudine per la vita che è scaturita dalla creazione ed ha trovato compimento nella redenzione della Pasqua si affianca un sentimento di pentimento sincero: sincero ma non frustrante e umiliante. Lacrime non di disperazione e di vergogna ma di commozione. È l’esperienza della misericordia del Cristo risorto, una misericordia potente e rigenerante. “Alla gratitudine – scrive Paolo VI sempre nel Pensiero alla morte e sempre con un linguaggio che è quasi poesia – succede il pentimento. Al grido di gloria verso Dio Creatore e Padre succede il grido che invoca misericordia e perdono. Che almeno questo io sappia fare: invocare la tua bontà, e confessare con la mia colpa la tua infinita capacità di salvare … Qui affiora alla memoria la povera storia della mia vita, intessuta, per un verso, dall'ordito di singolari e innumerevoli benefici, derivanti da un'ineffabile bontà e, per l'altro, attraversata da una trama di misere azioni, che si preferirebbe non ricordare, tanto sono manchevoli, imperfette, sbagliate, insipienti, ridicole. “Tu conosci la mia stoltezza” – dice il Salmo (Sal 68,6): povera vita stentata, gretta, meschina, tanto tanto bisognosa di pazienza, di riparazione, d'infinita misericordia. Sempre mi pare suprema la sintesi di S. Agostino: “Miseria mia, misericordia di Dio”. Ch'io possa almeno ora onorare chi tu sei: il Dio d'infinita bontà, invocando, accettando, celebrando la Tua dolcissima misericordia”.
Infine, l’esperienza della fiducia: una fiducia operosa e lieta, che sgorga dalla sorgente della grazia che è il Cristo risorto. Anche questo è Pasqua: abbandonarsi sereni alla fedeltà di Dio e mettere le proprie energie di bene a sua disposizione per compiere la sua volontà. “E poi – scrive ancora Paolo VI in questo testo grandioso – un atto, finalmente, di buona volontà: non più guardare indietro, ma fare volentieri, semplicemente, umilmente, fortemente il dovere risultante dalle circostanze in cui mi trovo, come tua volontà. Fare presto, fare tutto, fare bene, fare lietamente: fare ciò che ora tu vuoi da me, anche se supera immensamente le mie forze e se mi chiede la vita. Finalmente, a quest'ultima ora”. Colpisce la serenità e la fermezza di queste parole. Una consegna totale a Dio e alla sua volontà di bene.
Di questa volontà è espressione piena il servizio alla Chiesa sorta dalla Pasqua di Cristo, quella Chiesa che Paolo VI ha tanto amato. “Prego pertanto il Signore – scrive sempre nel Pensiero alla morte – che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d'amore alla Chiesa. Potrei dire che sempre l'ho amata. Fu il suo amore che mi trasse fuori dal mio gretto e selvatico egoismo e mi avviò al suo servizio; e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse e che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all'estremo momento della vita si ha il coraggio di fare ... Anche perché non la lascio, non esco da lei, ma più e meglio, con essa mi unisco e mi confondo: la morte è un progresso nella comunione dei Santi”.
Dalla Chiesa al mondo, quella “terra dolora, drammatica e magnifica” – come Paolo VI la definisce nel suo testamento spirituale, quell’umanità cui si è sempre sentito legato da vincoli profondi e affettuosi. Così egli conclude il suo Pensiero alla morte: “Uomini, comprendetemi; tutti vi amo nell'effusione dello Spirito Santo, ch'io, ministro, dovevo a voi partecipare. Così vi guardo, così vi saluto, così vi benedico. Tutti. E voi, a me più vicini, più cordialmente. La pace sia con voi”.
Queste meravigliose parole di un figlio della terra bresciana, nobilissimo e umilissimo, ci dicono bene come dobbiamo guardare alla Pasqua del Signore: come alla causa vera della nostra viva riconoscenza, come alla manifestazione piena della misericordia di Dio per l’umanità, come alla ragione ultima e salda della nostra fiducia lieta e operosa e, infine, come alla sorgente perenne della santità dei credenti. Di questa santità papa Montini fu un esempio luminoso e sin da questo momento la nostra attesa è tutta rivolta al momento in cui la Chiesa intera lo riconoscerà. Sia benedetto il Signore Gesù, che con la sua Pasqua di risurrezione ha posto il germe della vita dei santi, vere luci viventi per l’umanità.