Paolo VI e la profondità di magistero
Mons. Carlo Bresciani ricorda i tratti della santità di Paolo VI
Il mio primo ricordo di Paolo VI risale al giorno della sua elezione a sommo pontefice. Ero un adolescente di 14 anni non ancora seminarista. Stavamo insieme davanti alla televisione di parenti: a quel tempo la televisione era un lusso posseduto da pochi per cui ci si riuniva. Mia nonna materna -già defunta- era originaria della Pieve di Concesio e avevamo, quindi, parenti a Concesio che conoscevano bene la famiglia Montini. Scoprii, dopo, che un fratello del papa abitava a Bovezzo, paese confinante con il mio. Quando fu annunciato il famoso "habemus papam"' dal balcone di san Pietro mi stupì l'esultanza, non dico da stadio, ma quasi, dei presenti. Come accade sempre in questi casi, incominciarono seduta stante a raccontare con toni di grandissima stima relazioni, aneddoti, incontri e fatti della famiglia Montini di cui erano a conoscenza. Purtroppo non li ricordo, ma destarono il mio primo interesse per il novello papa, fino a quel momento nullo.
Il primo incontro con Paolo VI fu con tutto il seminario di Brescia, sceso al gran completo a Roma per festeggiare il 50° anniversario della sua ordinazione presbiterale. In udienza particolare, fui molto colpito soprattutto dalla riflessione che ci tenne sulla vocazione al sacerdozio: mi piacque talmente che in seguito ci ritornai più volte e, diventato Rettore del Seminario di Brescia, la fotocopiai e la diedi per meditazione a tutti i seminaristi. Da quell'incontro incominciai ad ammirare e a gustare il suo magistero non solo per la profondità della dottrina, ma anche per la bellezza dello stile del suo linguaggio.
Il ricordo più personale di lui, risale alla prima udienza nella quale potei rivolgergli qualche imbarazzata parola. Già sacerdote e studente a Roma, insieme con i novelli sacerdoti bresciani del 1976, anno successivo alla mia ordinazione, andammo come era usanza in udienza particolare. Egli ci salutò uno a uno. Arrivato il mio turno, mi chiese di quale paese fossi. Udendo che ero di Cortine di Nave, con mia meraviglia, alzò un po' gli occhi verso il cielo e poi, con la sua voce profonda e un po' cavernosa e con tono che sembrava quasi di supplica, guardandomi negli occhi, mi disse: “Mi fa un grande piacere?” Imbarazzato ero già e ora anche molto stupito, balbettai qualche parola (che onestamente non ricordo neppure) per dire tutta la mia disponibilità. Tenendomi strette le mani nelle sue, mi disse: “Vada da mio fratello di latte, che è al ricovero di Nave, e porti i miei più cari saluti”. Sapevo che da piccolo era stato a balia a Nave, ma non avevo mai saputo che avesse ancora un fratello di latte vivo. Glielo promisi prontamente, ovviamente. Lo feci con sollecitudine appena tornato a Nave. Piccolo fatto, ma che mi fece capire la sua grande delicatezza d'animo: non aveva dimenticato la gratitudine per quanto ricevuto quasi ottanta anni prima.
Che cosa ricavo della figura del "mio" Paolo VI da questi tre semplici ricordi personali, importanti per nessun altro che per me? La grande stima che godeva da parte di coloro che in qualche maniera avevano avuto la possibilità di conoscere lui e la sua famiglia da lungo tempo, perché compaesani di Concesio. La profondità e la ricchezza del suo magistero che nel tempo, anche a motivo dei miei studi, ho imparato ad apprezzare sempre più e che ancora oggi trovo di grande stimolo personale non solo dottrinale, ma anche spirituale. La grande sensibilità e delicatezza umana che dietro la sua ieratica riservatezza mantenne anche da papa. Non solo il grande maestro della Chiesa nella fede, ma il grande uomo capace dei grande gesti di cui il mondo è stato testimone, ma anche di piccoli gesti di umana gratitudine. I grandi uomini e i grandi santi si riconoscono e si apprezzano veramente nei piccoli e autentici gesti della vita quotidiana. Stima del popolo, profondità di magistero e di spiritualità, grande umanità sono caratteristiche dei santi.