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Brescia
di GIOVANNI ZUPPELLI 08 nov 2017 15:21

Padre Colossi all'Ufficio per i migranti

L'intervista a Padre Domenico Colossi, nuovo direttore dell'Ufficio per i migranti, che aiuta a comprendere meglio il fenomeno migratorio nel Bresciano

Scalabriniano, cappellano della Missio Cum Cura Animarum, vicario parrocchiale della chiesa San Giovanni Battista di Stocchetta e successore di Padre Bentoglio, Padre Domenico Colossi è il nuovo direttore dell’Ufficio per i migranti della curia di Brescia, organismo pastorale nato per favorire la promozione umana dei migranti oltre alla loro integrazione ed evangelizzazione ma che opera anche attraverso l’associazione Centro Migranti voluta negli anni ’80 dal vescovo Morstabilini. Le sue molte esperienze all’estero certamente ci aiuteranno a comprendere meglio il fenomeno migratorio nel Bresciano e di come l’Ufficio vi risponda.


Quale è stata la sua formazione e quale il suo cammino sacerdotale compiuto in questi anni?                             

Dopo l’ordinazione sacerdotale ho vissuto i primi anni in Canada dove ho frequentato l’università a Toronto conoscendo quindi le comunità italiane e soprattutto la migrazione degli anni ‘60/’70. Successivamente sono rientrato in Italia come educatore e insegnante; sono poi partito per Chicago negli Stati Uniti, Vancouver e ho trascorso anche diversi anni in Inghilterra con comunità italiane. Il periodo tra il 2000 e il 2008 l’ho passato a Brescia in veste di collaboratore di Mario Toffaria, allora direttore dell’Ufficio, e mi interessavo direttamente dell’aspetto pastorale. Dopo questo incarico sono stato per 8 anni in Svizzera nella direzione regionale, ed infine a Reggio Calabria in una parrocchia cittadina. Nel 2017 ho seguito molto gli sbarchi che si sono succeduti. Ora sono rientrato a Brescia con questo incarico che mi fa senz’altro onore.


Come ha ricevuto questa notizia, come l’ha accolta, con quale spirito?                                                                  

Un po’ come una sorpresa, nel senso che ero parroco solo da un anno, ma noi ci poniamo sempre al servizio di quella che è la volontà di Dio, la quale si rivela in tanti altri modi. Di fronte a questa richiesta dobbiamo elevarci a un nuovo livello di fede perché se ci fermiamo a chiederci il perché o a contestare il trasferimento non ci capiremo mai, mentre se eleviamo il livello di fede proviamo la libertà interiore di andare là dove il Signore ci chiama.


Lei conosce il fenomeno migratorio in profondità anche grazie a varie realtà che ha vissuto anche a livello internazionale: come l’ha visto cambiare in questi anni?                                    Diciamo che la prima cosa di cui mi sono meravigliato e di cui mi sto meravigliando ancora è “Come mai la società italiana non legge gli avvenimenti del passato?”. Basterebbe vedere come si è evoluta l’integrazione delle nostre comunità italiane all’estero. Un altro aspetto pastorale molto importante è vedere come alcuni accadimenti abbiano fatto maturare la coscienza religiosa e cristiana. Prendiamo ad esempio quel che è stata la deportazione degli ebrei a Babilonia. Siamo nel 580 circa, sembra che ci sia stata la catastrofe: Israele che perde la sua identità e quindi la terra, la discendenza e il tempio, ma l’incontro con una cultura diversa, quella assiro-babilonese molto più evoluta, ha fatto sì che ci sia stato un salto qualitativo. Quindi l’incontro con altre culture ci apre una visione molto più ampia e noi, come cristiani, dobbiamo avere una visione cattolica che si realizzi e concretizzi nella chiesa locale, perché lì si vive il rapporto interculturale. Sempre parlando della migrazione, se noi vediamo la crescita economica di una nazione, essa dipende sempre anche dalla sua capacità di accoglienza. Ho vissuto a Basilea per 8 anni, oggi là c’è una forte presenza di migranti italiani, ma non è più la migrazione operaia, bensì quella intellettuale, di professionisti, quindi questo sistema di migrazione si sta evolvendo. La migrazione è quindi certamente un fenomeno che può portare tanta ricchezza e sviluppo.


Venendo al nostro territorio e diocesi, che cosa pensa di poter fare concretamente qui come direttore dell’ufficio migranti?                                                                                                                                                        

Intanto c’è un elemento significativo per quanto riguarda la diocesi ma anche la provincia di Brescia: la presenza così numerosa di migranti non ha mai creato disagi sociali elevati. Quindi Brescia e la sua provincia sotto questi aspetti sono significative per aver saputo contenere il conflitto etnico attraverso la proposta del lavoro e attraverso l’aspetto pastorale, vale a dire là dove il migrante viene seguito nella propria cultura e nella propria espressione religiosa: dove nasce l’integrazione. Se noi vediamo l’incidenza che le nostre parrocchie all’estero hanno avuto, è proprio questo: hanno favorito l’integrazione attraverso un’assistenza religiosa e un accompagnamento specifico.


E in questo ha un ruolo fondamentale anche la formazione: prepararsi per affrontare questa questione nella sua complessità nel modo migliore sotto il livello sociale culturale ma anche pastorale…                     

Questo aggiornamento sarebbe un compito molto importante che dovrebbero tenere presente particolarmente i sacerdoti perché, bene o male, hanno a che fare con le diverse realtà culturali ed etniche. Bisogna quindi capire come l’incontro delle culture diventi un momento arricchente perché permette sì l’integrazione, ma anche il cambiamento.


E la formazione parte proprio dai piccoli che a loro volta si fanno portatori di messaggi nuovi.                    

Esattamente: se lei vede i ragazzi, o anche i bambini, non hanno questi problemi a relazionarsi; forse vengono condizionati da alcuni nostri atteggiamenti da adulti. Ho avuto anche io esperienze a questo proposito: bambini che si sono rapportati ad altri bambini in un modo aggressivo perché respiravano questa situazione; lasciamoli crescere e impariamo da loro come ci si relaziona.


Nella parrocchia della Stocchetta come da tradizione si accolgono molte comunità che si incontrano, si confrontano, e sono cristiane in gran parte...                                                                                                            

Ci sono qui in diocesi alcuni momenti aggregativi di tutte queste comunità dove speriamo che si renda più presente anche la comunità italiana; senz’altro la comunità di Stocchetta è sempre attiva in questi avvenimenti. Uno di quelli più significativi sarà quello del 6 gennaio in Cattedrale con la messa dei popoli. Le diverse comunità hanno una loro espressione religiosa, che va accompagnata e rispettata; questo poi favorisce l’integrazione. Il grande lavoro sarà quello di aiutare la prima generazione a capire quale sia la seconda, che non si identifica in tutto e per tutto con i genitori e con la nostra identità italiana. Questi giovani frequentano i nostri oratori, il cui ruolo a Brescia è sempre stato fondamentale, e questo lo si riscontra specialmente quando si va in una diocesi dove non c’è questa tradizione. Per l’Europa o per le Americhe la mancanza di questa struttura si sente fortemente, forse perché noi veniamo da questa formazione. Ma questi ragazzi senza integrazione che fanno poi, dove acquisiscono un senso di appartenenza?

GIOVANNI ZUPPELLI 08 nov 2017 15:21