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di +PIERANTONIO TREMOLADA 01 gen 2018 22:26

Pace e uomini di buona volontà

"La società umana ha bisogno di uomini e donne che abbiano il coraggio di operare contro ogni forma di ingiustizia, di sopraffazione, di emarginazione, di discriminazione e con illuminata intelligenza costruiscano relazioni sane e serene". L'omelia pronunciata dal vescovo Pierantonio Tremolada in occasione della Giornata mondiale della Pace

All’inizio di questo nuovo anno celebriamo in comunione con tutte le diocesi della Chiesa universale e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà la giornata mondiale della pace. Lo facciamo ormai da molti anni, cioè da quando, il primo gennaio del 1968, Paolo VI decise di istituirla. Fu la sua un’intuizione felice, nata dal suo grande cuore di pastore della Chiesa universale e dal suo grande desiderio di contribuire al bene dell’intera umanità.

La causa della pace chiede costante attenzione e attiva dedizione, e ancor prima domanda che si coltivi la chiara consapevolezza del suo inestimabile valore. Dalla sua presenza o meno dipende in gran parte la vita di ogni persona e la forma stessa della socialità umana, la sua autenticità e dignità, ma anche il suo sviluppo e il suo progresso.

La Liturgia dell’Ottava del Natale, che viene sempre a coincidere con il primo giorno dell’anno e ci invita a contemplare il mistero della divina Maternità di Maria, propone sempre come prima lettura un testo del libro dei Numeri molto suggestivo. Vi si riporta la preghiera di benedizione sui figli di Israele, che il fratello di Mosè, Aronne, investito del compito sacerdotale, viene invitato a pronunciare. È una formula di benedizione che il Signore stesso gli consegna e nella quale troviamo un esplicito riferimento alla pace. Si legge nel nostro testo: “Il Signore parlò a Mosè e disse: « Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,25-27).

La pace viene dunque dalla benedizione di Dio: ne è insieme i frutto e il segno. L’uomo creato in origine e chiamato a condividere la vita stessa del suo Creatore, l’uomo e la donna, da lui benedetti sin dall’inizio secondo quanto racconta il Libro della Genesi: “Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi”, sono posti dal Signore Dio entro un giardino, simbolo di armonia e di bellezza. Nulla vi è in quel giardino che evochi violenza, conflitto, aggressività. Non vi sono sentimenti di odio e di gelosia. Non vi si trovano ambizione e avidità. Le relazioni sono sane, limpide, sincere. Nessuno sente il bisogno di difendersi o prova disagio alla presenza dell’altro. Il suolo offre spontaneamente i frutti per il nutrimento e gli animali sono una compagnia gradita, tutti, senza eccezione: nessuno di loro è feroce e pericoloso.

Questa pace delle origini è la pace che domandiamo a Dio ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, con una invocazione che segue e fa eco fa eco alla preghiera del Signore, cioè il Padre nostro. Essa dice così: “Liberaci o Signore da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”. Qui emergono tre aspetti essenziali di quella esperienza della pace che purtroppo non è più quella delle origini dell’umanità, ma quella della nostra attuale. Il suo primo aspetto è la necessità della liberazione dal peccato: essa ci ricorda che il cuore dell’uomo è ormai ferito, che alla sua soglia è accovacciato il peccato (cfr. Gen 4,7), cioè il desiderio prepotente di ricercare a qualsiasi costo la propria soddisfazione individuale. Il secondo aspetto è l’esigenza di superare il turbamento, cioè la paura di vedere compromessa la propria sicurezza e la propria felicità: da qui derivano il senso di estraneità e di difesa nei confronti degli altri e l’istintiva incertezza di fronte a situazioni ed eventi. Il terzo aspetto è l’amara costatazione che in questo mondo non perfetto il bene e il male saranno sempre intrecciati, fino al giorno in cui – secondo la beata speranza che i credenti coltivano – verrà il nostro Signore Gesù Cristo.

La pace di cui tanto sentiamo il bisogno, la pace che invochiamo come dono prezioso di Dio dall’alto e come frutto del nostro sincero impegno quotidiano, deve dunque misurarsi, oggi come ieri, con l’egoismo insito nel cuore di ognuno di noi, con il senso di insicurezza e di paura che questo egoismo provoca nel mondo, con l’evidenza inquietante che la storia degli uomini dovrà sempre fare i conti con il male. La pace di Dio, quella armonia e quella bellezza che il Creatore ha pensato e voluto per l’umanità che ama, oggi va difesa e conquistata, va perseguita con tenacia e costanza, in una sorta di combattimento contro ciò che tende a comprometterla. Un combattimento che è prima di tutto interiore ma che diventa anche esteriore, e assume l’aspetto di un impegno pubblico e condiviso. La società umana ha bisogno di uomini e donne che abbiano il coraggio di operare contro ogni forma di ingiustizia, di sopraffazione, di emarginazione, di discriminazione e con illuminata intelligenza costruiscano relazioni sane e serene. C’è bisogno di uomini di buona volontà, che contrastino efficacemente, facendo fronte comune, le logiche di potere che, ispirate dalla brama distruttiva del profitto ad ogni costo e senza misura, generano conflitti, avvelenano le relazioni, compromettono anche i legami più sacri e profanano la bellezza del creato.

La voce ferma e chiara di papa Francesco si leva da tempo a difesa di una pace che non può prescindere da una decisa revisione dei parametri che ispirano il nostro vissuto sociale. Quando l’umana convivenza è consegnata a criteri che non pongono al primo posto la dignità della persona e il bene comune, si creano inevitabilmente condizioni di vita insostenibili, che portano poi a fenomeni sociali di enorme portata. Uno di questi è la migrazione dei popoli cui stiamo assistendo. Là dove regnano la violenza e l’ingiustizia, la miseria e lo sfruttamento, là dove non vi sono prospettive per un futuro degno di questo nome, il bisogno di speranza di ogni cuore umano porta ad affrontare anche grandi rischi e pericoli. Di questi migranti e rifugiati papa Francesco ha parlato nuovamente nel discorso proposto alla Chiesa e al mondo in occasione di questa giornata della pace 2018, chiedendo di assumere nei loro confronti un atteggiamento molto chiaro, che si definisce attraverso quattro verbi molto precisi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. È un appello che non possiamo lasciar cadere. Cosa significhi precisamente per ciascuno di noi, per la nostra chiesa diocesana ma anche per la società civile, farsi carico di questa istanza che sale anche dalla buona coscienza di ognuno di noi, andrà sempre meglio compreso. Il compito non è facile, perché esige di fondere insieme coraggio e realismo, slancio del cuore e oculata organizzazione, impegno individuale e collaborazione sociale. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare coloro che cercano speranza e domandano aiuto significata impostare un’opera sociale lungimirante, che sa guardare molto avanti e accetta di misurarsi lucidamente con una duplice concomitante questione: quella del bene delle persone accolte e delle persone che accolgono. Il segreto della pace è tutto nella capacità di non sentirsi condannati a temersi perché diversi e prima ancora nel non rimanere preda di reciproci egoismi e pretese. Ma tutto questo domanda tempo e coraggio; domanda soprattutto fiducia nella bontà provvidente di Dio, il Signore della storia, che sa parlare ai cuori, sa ispirare pensieri di pace e di comunione, sa aprire strade sempre nuove e sa accompagnare coloro che con umile tenacia desiderano percorrerle.

Alla Beata Vergine Maria, che oggi veneriamo come Madre di Dio e a cui guardiamo nella luce consolante del Natale del Signore, affidiamo questi pensieri e desideri che la Parola del Signore ci ha suggerito nel giorno che inaugura il nuovo anno. La sua materna benevolenza sostenga tutti gli uomini e le donne di buona volontà che nel mondo si stanno spendendo per la costruzione di quella che Paolo VI amava definire la “civiltà dell’amore” e aiuti ognuno di noi, in forza della nostra fede, a divenir sempre più dei veri operatori di pace.

+PIERANTONIO TREMOLADA 01 gen 2018 22:26