Natale: il Verbo, la parola di Dio
L'omelia pronunciata dal vescovo Luciano Monari in occasione della S.Messa in Cattedrale del 25 dicembre
La capanna, il bambino deposto nella mangiatoia, i pastori che fanno la guardia ai greggi, l’angelo che li invita a trovare il bambino, il Salvatore nato per loro. Questo è il racconto del Natale che abbiamo ascoltato durante la Messa di questa notte. Ma oggi, nella Messa del giorno, tutto questo sembra dimenticato e il vangelo ci propone un annuncio solenne sì, ma dottrinale; con poche immagini, con pochi personaggi; con un’affermazione che è immensa nel suo significato ma che concede poco all’emozione, al sentimento: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” Sembra che per la liturgia non sia possibile comprendere adeguatamente il Natale senza questo prologo che apre solennemente il vangelo secondo Giovanni. La domanda è semplice: chi è il bambino che festeggiamo nato a Betlemme? Nel vangelo di questa notte gli angeli spiegavano: è il Salvatore, il Cristo, il Signore. Ma ora Giovanni ci dice qualcosa di più misterioso: quel bambino è il Verbo fatto carne. Il Verbo è la parola eterna nella quale Dio dice se stesso, è la Parola mediante la quale ha fatto il mondo in modo tale che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo; ebbene, questo Verbo si è fatto ‘carne’, cioè si è fatto uomo. Vivendo un’esistenza umana dalla nascita alla morte, sperimentando la famiglia, il lavoro, l’amicizia, l’amore e l’odio degli altri, il successo e la persecuzione, quel Verbo ha tradotto in una limitata esistenza umana il mistero infinito di Dio, la sua volontà, il suo amore.
In questo modo, secondo Giovanni, la rivelazione del Verbo risponde alle domande essenziali che una persona intelligente si pone e che sono destinate a orientare le sue idee, i suoi desideri, le sue decisioni. Le domande sono: da dove viene il mondo? e verso dove si muove? qual è il senso, lo scopo della sua esistenza? e qual è il senso dell’esistenza dell’uomo nel mondo? e infine: in che modo l’uomo può sintonizzare la sua vita, le sue scelte, sulla verità del mondo? Domande enormi che sembrano uscite fuori dalla coscienza razionale dell’uomo d’oggi. La scienza si preclude programmaticamente l’indagine sullo scopo per cui le cose esistono; e anche la filosofia ha ristretto il campo della sua indagine entro l’ambito dell’esperienza verificabile dell’uomo. Ma è possibile vivere saggiamente se non si sa perché si è al mondo? ed è possibile dare risposte personali arbitrarie del tipo: “Do io alla mia vita il senso che voglio”, come se la vita, che non mi sono dato da me stesso, potesse assumere indifferentemente tutti i significati?
Forse il vangelo di Giovanni darebbe ragione alla scienza e alla filosofia quando dice che “Dio nessuno lo ha mai visto” e cioè: quel Dio che ha creato il mondo e gli ha dato uno scopo si trova al di là di quello che posso immaginare o pensare. Giovanni aggiunge, però, quello che nessuno potrebbe affermare con la sua sola intelligenza: che Dio invisibile si è fatto vedere; il Dio inconoscibile si è fatto conoscere; il Dio infinitamente lontano si è fatto misteriosamente vicino. Tutto questo è l’evento dell’Incarnazione, cioè l’evento del Natale: il Verbo, la parola di Dio che comprende il mistero di Dio e del mondo creato da Dio, questo Verbo si è fatto carne e ha vissuto un’esistenza umana. In questa esistenza umana sta racchiuso, come in un nucleo densissimo, la risposta alle domande che abbiamo delineato sopra.
Da dove viene il mondo? Il Verbo incarnato risponde: viene da un Dio intelligente e buono che ha creato liberamente il mondo secondo la sua Parola, quindi in modo intelligente. Verso dove va il mondo? Il Verbo incarnato risponde: va verso Dio per diventare partecipe della sua ricchezza di vita, di amore, di gioia. Qual è il senso dell’esistenza del mondo? Appunto quello che abbiamo detto: la crescita verso Dio: il diffondersi delle galassie nell’universo, l’evoluzione dalla materia alla vita, dalla vita al pensiero è una crescita del mondo verso il suo creatore, attirato da Lui, in modo che divenendo sempre più complesso, sempre più perfetto, il mondo possa produrre il pensiero di Dio e giungere a produrre – questo è il punto più alto dell’evoluzione – l’atto di amore autentico, libero e creativo. Perché posso dire questo? Lo posso dire guardando il Verbo Incarnato, cioè osservando con attenzione e con amore la vita concreta di Gesù. In questa vita vedo un uomo che vive alla presenza di Dio, totalmente consacrato all’amore per Dio, tanto da realizzare un’obbedienza sempre più piena fino a quel culmine dell’obbedienza che consiste nell’accettare liberamente una morte dolorosa e umiliante: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato.” Nello stesso tempo la vita di Gesù è totalmente consacrata all’amore per gli uomini; un amore che si esprime nei miracoli di guarigione, nei gesti di perdono e che giunge al suo compimento nella scelta di donare la vita stessa. Come scrive il vangelo: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino al segno supremo” – cioè fino a dare la vita per loro. In questo gesto di amore rivolto nello stesso tempo a Dio e agli uomini, Gesù ha perfezionato la sua esistenza umana; ma siccome Gesù, a motivo della sua carne, appartiene al mondo, la perfezione di Gesù è nello stesso tempo perfezione del mondo. In Gesù il mondo ha raggiunto lo scopo della sua stessa esistenza, lo scopo della creazione; in Gesù Dio ha rivelato lo scopo per cui Egli ha creato il mondo e quindi ha rivelato anche la vocazione che è presente in ogni esistenza umana. Le esistenze umane sono diverse una dall’altra; ciascuna ha un suo cammino proprio da decidere e da percorrere secondo le qualità personali, le circostanze storiche e culturali, le relazioni concrete che si riescono a stabilire. Ma al di là di tutte le differenze, le esistenze umane sono unite tra loro da un unico progetto, quello di condurre il mondo verso Dio attraverso un’esistenza che abbia i lineamenti dell’esistenza di Gesù di Nazaret.
Accetto tranquillamente che la scienza mi dica: il regno dei fini, se esiste, non è indagabile con metodo scientifico. Accetto anche – con qualche fatica in più – che i filosofi mi dicano: ciò che va al di là dell’esperienza, se esiste, non è oggetto della nostra indagine. Ma non posso accettare di vivere senza sapere il perché; così come non voglio affermare una mia volontà arbitraria costringendo gli altri a subirla senza motivo. Per questo il messaggio del Natale mi appare illuminante: Dio stesso si è scomodato per offrire alla mia vita, alla vita di noi tutti, un appiglio sicuro e stabile. Gesù è una Parola di amore che Dio ha pronunciato nei confronti del mondo perché da questa parola il mondo fosse illuminato. C’è qualcosa di più grande, di migliore dell’amore per dare senso alla fatica di vivere? È un senso più ricco il denaro? Il potere? Il piacere di un attimo? Il successo esteriore? Nessuna persona mi sembra così degna di stima e di onore come di chi ha orientato la sua esistenza nella linea dell’amore che dona e si dona; di chi mostra nelle sue scelte una maturità oblativa raggiunta con la disciplina interiore e il sacrificio. L’artigiano che fa bene il suo mestiere, l’artista che si esprime nell’opera d’arte, l’amico che si sacrifica per l’amico, i genitori che si sacrificano per i figli, il politico che sacrifica il suo successo per il bene effettivo di tutti… in queste persone vedo la bellezza del mondo e la nobiltà della creatura umana. Non vedo altre proposte che siano più degne di rispetto e di adesione: non il superuomo di Nietzsche, non il proletario di Marx, non l’ariano del nazionalsocialismo, non il robot perfetto della cibernetica, non il consumatore inconsapevole della pubblicità, non il ricettatore ingordo di notizie banali.
Se vale la pena vivere – e lo vale davvero – è solo per diventare uomini responsabili e buoni che diffondano verità e bene; è solo per assomigliare nella carne a quella carne in cui si è manifestata la parola divina, il Verbo. Così abbiamo ascoltato: “Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio.” Come? Attraverso quel delicato processo con cui la fede in Dio plasma i desideri e i comportamenti dell’uomo e imprime su questi desideri il segno dell’amore e della santità di Dio. Lo abbiamo chiesto nella preghiera di colletta: “O Dio, che in modo mirabile ci hai fatti a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana.” Questo è il Natale.