Morstabilini, vescovo dell'ascolto
L'omelia pronunciata dal vescovo Pierantonio Tremolada durante la Santa Messa in occasione del 30° anniversario della morte del suo precedessore che guidò la Chiesa bresciana dal 1964 al 1983
È motivo di sincera gioia per il popolo di Dio fare memoria dei suoi grandi pastori, delle guide illuminate e sagge che la Provvidenza di Dio gli ha donato. È quanto stiamo insieme vivendo in questo momento. La celebrazione eucaristica che ci vede oggi qui riuniti è per noi – Chiesa di Brescia – sacrificio di lode ed espressione viva di gratitudine al Signore nostro Dio anche per il dono ricevuto tramite la persona e l’opera del vescovo Luigi MorstabiIini, venerato predecessore mio e già del vescovo Bruno, qui presente per questa celebrazione e a cui va il nostro ringraziamento.
Del vescovo Luigi ricorre oggi il trentesimo anniversario della sua dipartita da questo mondo, del suo passaggio alla vita definitiva dei risorti. Trent’anni fa come oggi, egli si congedava dal questo mondo transitorio, nel quale aveva svolto con umile e appassionata dedizione la sua missione di ambasciatore di Cristo, di discepolo chiamato ad essere custode e garante della fede dei suoi fratelli.
Per diciannove anni egli aveva guidato la Chiesa di Brescia: dall’l’8 ottobre 1964, quando papa Paolo VI lo nominò di questa diocesi a lui particolarmente cara, al 17 aprile 1983, quando, giunto all’età fissata dalla legge canonica, rassegnò il suo mandato nella mani di papa Giovanni Paolo II. Una pesante malattia, che negli anni successivi intervenne, lo portò velocemente alla fine del suo cammino terreno.
Aveva scelto come motto episcopale: in morte vita. Un modo molto efficace per esprimere la sua fede nella potenza e sapienza della croce. Il Signore Gesù, crocifisso e risorto, è infatti il vero segreto della vita di un credente e particolarmente di un pastore. La vita che scaturisce dalla croce e si irradia nel mondo è invincibile e si manifesta in tutta la sua straordinaria potenza soprattutto quando la vita prende la forma del sacrificio ed è chiamata a misurarsi con le varie modalità della morte.
La forza di questa vita trasfigurante si percepiva nella persona del vescovo Luigi – ci racconta chi l’ha conosciuto personalmente – già al primo contatto. Dal suo sguardo trasparivano bontà, serenità e intelligenza. Colpiva in particolare la sua grande dignità, sempre accompagnata dalla dolcezza. Mite e puro di cuore, bastava un suo sorriso per cancellare incomprensioni. Non gli mancavano, tuttavia, il coraggio e la fermezza, dettati dal chiaro e forte senso del servizio al Vangelo. Quest’ultimo si radicava in una fede forte ed essenziale, che rispecchiava quella della sua famiglia e della sua gente dell’Alta Val Seriana: una fede avvezza al sacrificio, capace di illuminare l’intera vita con le sue gioie e i suoi dolori; una fede ricca di umanità.
Il vescovo Luigi è stato un vescovo dell’ascolto: ha amato la Chiesa ascoltando. Lo ha fatto non solo nei confronti dei suoi consiglieri. Ha ascoltato tutti, in particolare, come si usava dire allora, “la base”, ma anche quelli che lo offendevano, accusandolo – come succede spesso quando una persona cerca un equilibrio sapiente – di essere troppo conservatore o troppo progressista.
Come è stato giustamente affermato, “ha guidato la comunità cristiana in una stagione del Novecento fatta di confusi sentieri, rotte indecise e passioni contrastanti”. In quegli anni dal clima rovente, gli anni della contestazione e delle forti ideologie, senza mai cedere alle mode o al facile populismo, egli scelse la via più difficile del rimanere sul campo, per capire quello che stava accadendo e guidare, illuminare, tenere unito il popolo di Dio, cercando così di offrire all’intera società una testimonianza feconda.
Nel buio di quegli anni, come un fulmine tremendo che si scatena improvviso, si ebbe l’episodio orribile e dolorosissimo della strage di Piazza Loggia, culmine di una strategia della tensione volta a destabilizzare l’intero paese. Fu un momento drammatico anche per la Chiesa bresciana e per il suo vescovo. Sono ancora tanti i bresciani che ricordano la Messa da lui celebrata in Piazza Loggia per le vittime, tra fischi e slogan. “Come è difficile prendere la parola in questo momento di ultimo straziante saluto alle vittime” – aveva detto con la sua voce pacata e ferma, accompagnata da un sentimento che univa all’indignazione e deplorazione per un gesto barbaro e feroce l’invito accorato a non innescare la spirale della violenza distruttiva, per mantenersi aperti a un futuro di pace e di riconciliazione. Provvidenzialmente quell’invito divenne realtà. Ecco come sa parlare in nome di Cristo un vero pastore.
Il vescovo Luigi fu padre conciliare. Amò il Concilio Vaticano II e fu esemplare nel mantenersi ad esso fedele. Ne colse lo spirito e si prodigò per diffonderlo. Lo si è giustamente sottolineato nella lapide della tomba che si trova in questa cattedrale, sulla quale troviamo scritto, a riguardo del suo rapporto con il Concilio: “Libens accepit, diligens confecit, strenue aluit”, cioè: volentieri accolse, diligentemente applicò, attivamente incrementò. Tre verbi che sono sintesi di una vita: significano giorni e notti di impegno, slancio, sofferenza, fatica. Fu infatti fermo, nella sua dolcezza, contro tutte le spinte estremiste, che offrivano del Concilio lettura parziali o unilaterali, se non deviate. Sicuramente va annoverato tra i grandi vescovi italiani della stagione conciliare.
Sognava una Chiesa aperta all’incontro con il mondo, capace di leggerne con occhi nuovi le ricchezze, le difficoltà e le criticità, attenta ai “segni dei tempi”; una Chiesa in cui i laici avessero spazi e responsabilità nuove; una Chiesa capace di dare risposta a urgenze sino allora impensate: dalla crisi educativa, a quella delle vocazioni, dall’attenzione ai mezzi della comunicazione alla dimensione missionaria: con lui fiorì in diocesi l’esperienza preziosa dei fidei donum, sacerdoti che donano anni della loro vita e del loro ministero per condividere il cammino di chiese sorelle in altri paesi e continenti. Fu uno dei primi a interessarsi di studi sociali e di problemi morali che si andavano imponendo con lo sviluppo della modernità. Aveva una profonda coscienza della missione legata all’evangelizzazione
Tra i frutti del Concilio venutisi a sviluppare della nostra Chiesa bresciana grazie all’opera del vescovo Luigi si deve anzitutto annoverare la sua visita pastorale, che egli indisse il 30 giugno 1968 e che lo impegnò per diversi anni. Fu un’impresa titanica anche per lo stile nuovo che il Concilio richiedeva: non visita di ispezione e controllo ma un incontro costruttivo del pastore con il suo gregge, sempre teso a prospettare per il futuro una Chiesa credibile, rinnovata che segue e annuncia Cristo all’uomo contemporaneo. Furono coinvolte tutte le parrocchie, vistate una per una, ma anche i nuovi organismi di comunione, gruppi, movimenti, associazioni e varie istituzioni.
Un secondo significativo frutto della fedeltà al Concilio nella pastorale diocesana fu la celebrazione del Sinodo, avvenuta nell’anno 1978. La frase che lo ispirava appare molto significativo: “Per una Chiesa comunità che segue e annuncia Cristo”. Il Libro del Sinodo, che fui consegnato nella Festa di Cristo re del 1981 porta questo titolo: “Una rilettura della ecclesiologia del Vaticano II applicata alla realtà della Chiesa bresciana”. Ancora un volta risulta evidente l’intenzione di dare al magistero del Concilio la sua forma concreta ed efficace.
Infine, le cinque lettere pastorali, tese a delineare ed accompagnare “il cammino post-conciliare di una Chiesa locale”. Furono lettere decisamente innovative e per certi aspetti profetiche, sia sul versante dei contenuti che dei destinatari: furono infatti scritte pensando al mondo del lavoro, alle donne e al loro ruolo nella Chiesa e nella società, ai sacerdoti che hanno lasciato il ministero, ai cosiddetti “lontani”, ai quali si guardava con il desiderio di capire le ragioni della distanza per recuperarne la presenza.
Il vescovo Luigi ebbe la gioia di accogliere il 26 settembre 1982 papa Giovanni Paolo II in visita alla diocesi di Brescia, portando così al suo apice quell’esperienza di comunione spirituale e pastorale che aveva sempre coltivato negli anni della sua missione apostolica. Poco meno di un anno più tardi egli rimetteva nelle mani dello stesso Giovanni Paolo II il suo mandato di Vescovo di Brescia.
Fare memoria di questo amato pastore è riscoprire e dissodare un terreno fertile nella quale la Chiesa bresciana si riconosce radicata; è prendere coscienza di un patrimonio di fede e di tradizione che ci viene consegnato dalla generazioni precedenti la nostra, con le loro grandi figure di riferimento. Il vescovo Luigi è stato un pastore che ha condiviso il grande desiderio di Gesù, così ben espresso nella pagina del Vangelo di Giovanni che è stata proclamata: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo”. Far conoscere l’amore di Dio, l’amore che è in Dio, l’amore che da Dio si è irradiato sul mondo grazie all’opera della redenzione: questo desiderio del Figlio di Dio diventa il desiderio dei suoi apostoli, motivo ispiratore della loro generosa opera di evangelizzazione. Essi si trasformano così in servitori e ambasciatori, annunciatori della salvezza che ha rinnovato il mondo. “Ho fatto conoscere il tuo nome – dice ancora il Signore Gesù rivolgendosi al Padre – e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.
Nello spirito che fu del Concilio Vaticano II, il vescovo Luigi Morstabilini ha fatto di questa missione del Cristo la ragione stessa della sua vita, ponendosi totalmente a servizio della Chiesa e del mondo. Grazie a lui, in anni particolarmente drammatici, la Chiesa di Brescia ha potuto percepire con particolare chiarezza quale carica di umanità porta in sé la fede cristiana e quale forza di rinnovamento dispiega il Vangelo di Dio, quando trova menti e cuori aperti e generosi. Sia benedetto il Signore, nostro Dio, che attraverso i suoi amici e servitori ci fa giungere la grazia della sua benedizione e ci consegna in eredità la loro feconda testimonianza.