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Brescia
di +LUCIANO MONARI 26 mag 2016 00:00

Monari: San Filippo Neri, santo della gioia cristiana

Il vescovo Monari durante la celebrazione eucaristica alla Pace per il Corpus Domini ha tratteggiato a 500 anni dalla nascita e nel giorno della morte la figura di San Filippo Neri

Il 26 maggio 1595, alle due del mattino, moriva a Roma san Filippo Neri, fiorentino di origine ma pienamente romano di adozione, poche ore dopo aver celebrato la Messa del Corpus Domini che ricorreva quell’anno il 25 maggio. La coincidenza è interessante per noi che vogliamo celebrare il centenario della nascita. In realtà Pippo Neri era nato nel luglio del 1515, ma proprio per questo siamo ancora entro l’anno della sua nascita. Brescia ha un debito particolare nei confronti di questo santo e della famiglia che è nata da lui, la ‘Congregazione dell’Oratorio’ che si raccoglie in questa bella chiesa della Pace. I padri della Pace hanno contribuito non poco alla formazione teologica, liturgica e spirituale dei Bresciani – si pensi, uno per tutti, a Paolo vi – e per questo siamo loro sinceramente riconoscenti; sappiamo che la loro ricca memoria di famiglia è anche un tesoro per noi e ne ringraziamo il Signore così come chiediamo al Signore che doni loro molte e sante vocazioni per continuare la testimonianza preziosa che hanno imparato a trasmettere.

Dunque Filippo Neri, santo dell’allegria e del buon umore – si dice – santo della gioia cristiana preferiamo definirlo; santo della semplicità cristiana, che sa sollevare le fatiche pesanti della vita quotidiana con la gioia che viene dall’amore di Dio, con l’energia che scaturisce dall’amore per gli altri, in particolare per gli umili. San Filippo Neri, amico di papi e cardinali e potenti, è vissuto gioiosamente in mezzo ai poveri, ai piccoli, agli emarginati – più contento lui dei ricchi, più vicino a Dio dei cardinali. Una figura così ci fa bene e ci ricorda che la riforma della chiesa è prima di tutto la santità, il cambiamento del rapporto con Dio che muove anche il cambiamento di tutte le strutture pur necessarie al culto e alla pastorale. Nel contesto burrascoso e confuso della riforma protestante e di quella cattolica sono sue le parole: “è possibile restaurare le umane istituzioni con la santità, non restaurare la santità con le istituzioni.”
La festa di oggi – il Corpus Domini – e il vangelo che è stato proclamato – la moltiplicazione dei pani – diventano per noi uno stimolo a ricercare la gioia del vangelo, quella che papa Francesco ha voluto porre all’inizio del suo programma di Papa: Evangelii Gaudium, la Gioia del Vangelo: così ha titolo la lettera nella quale ci viene offerto un orizzonte infinito per l’impegno di evangelizzazione.

Ascoltiamo allora la narrazione di Luca. Il contesto è quello dell’annuncio del Regno e delle guarigioni che di questo Regno sono un segno anticipatore. Si parte dalla constatazione di un bisogno: una folla di cinquemila persone che ha seguito Gesù per ascoltare la sua parola e che ha bisogno di mangiare. I discepoli immaginano una soluzione di buon senso: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta.” Si potrebbe fare così, ma Gesù oppone una soluzione diversa: “Voi stessi date loro da mangiare.” Si legge nel salmo 146: “Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe… creatore del cielo e della terra…. Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri… ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge lo straniero, sostiene l’orfano e la vedova.” Il salmo conclude con l’acclamazione: “Il Signore regna per sempre!” Tutte le opere che sono state ricordate – tra le quali dare il pane agli affamati – sono dunque segni della regalità salvifica di Dio. Se il Regno di Dio è davvero vicino, ci deve essere pane per chi ha fame: “Voi stessi date loro da mangiare.” Al comando di Gesù i discepoli oppongono una constatazione rassegnata: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci.” L’alternativa sarebbe andare loro stessi a comperare il pane necessario, ma sarebbe evidentemente un ripiego che nulla avrebbe a che fare con quanto Gesù sta annunciando – il Regno di Dio. Gesù prende allora l’iniziativa: fa sedere la gente a gruppi; poi prende pani e pesci, recita su di essi la benedizione [è una preghiera simile a quella che recitiamo nella Messa: Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo. Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a Te perché diventi per noi cibo di vita eterna.”] Poi spezza i pani e li fa distribuire dai discepoli: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.” È curioso: se i discepoli dividono il pane che hanno per distribuirlo a tutti ne toccheranno a ciascuno poche briciole. Facciamo fare loro, dunque, ai pani, un percorso più lungo: dai discepoli a Gesù, da Gesù al Padre (con la benedizione), poi ancora da Gesù ai discepoli e da loro alle folle… il risultato è quello che abbiamo ascoltato. Sazietà per tutti e dodici ceste di avanzi.

Illusione? Gioco di prestigio? Puro simbolismo? No: piuttosto quella trasformazione del mondo che avviene quando il mondo è toccato dalla parola e dalla potenza di Dio. Gesù è capace di offrire a Dio il mondo perché la sua esistenza è in sintonia perfetta con Dio stesso; toccato da Dio, il mondo diventa strumento docile della volontà di Dio, del suo amore, della sua misericordia. Dar da mangiare agli affamati diventerà un’opera di misericordia che i discepoli sono invitati a compiere con amore generoso; lo potranno fare perché per primi hanno ricevuto da Dio una sazietà che permette loro di diventare fonte di benevolenza e di beneficenza. Non possiamo e non potremo moltiplicare i pani come ha fatto Gesù; dovremo però, come lui, farci carico della fame degli affamati, della malattia degli infermi, della solitudine degli emarginati; e potremo, nella misura in cui impariamo da Gesù la tenerezza della bontà, creare in questo mondo spazi di solidarietà nei quali la fame degli affamati trova una risposta efficace.
L’eucaristia ha anche questo significato. Portiamo all’altare e offriamo a Dio piccoli pezzi di pane e poche gocce di vino; riceviamo in cambio il corpo di Cristo e il suo sangue, la vita che Cristo ha messo in gioco per noi. Arricchiti in questo modo dalla grazia di Dio, forse riusciremo a diventare un poco più generosi, meno legati alle nostre cose, più capaci di condividere. Se il piccolo dono dell’offertorio nella Messa ci acquista un dono così grande come la comunione del corpo di Cristo, anche attraverso tutte le opere di misericordia – quelle materiali e quelle spirituali – il Signore ci donerà la gioia di una comunione sempre più intima con Lui. Su questa gioia vorrei spendere l’ultima parola. Papa Francesco l’ha posta come centro del suo messaggio di papa: “La gioia del vangelo”, la sua lettera enciclica programmatica; “La gioia dell’amore”, l’esortazione postsinodale. Il motivo di questa insistenza è che la chiesa esiste per l’evangelizzazione e l’evangelizzazione può essere fatta solo da un cuore gioioso: che vangelo, cioè che buona notizia sarebbe quella che non fosse capace di dare gioia a chi lo annuncia? Ma la gioia del vangelo ha la struttura che abbiamo delineato: si realizza solo quando la si trasmette agli altri. Quanto è diverso questo messaggio da quello che ascoltiamo quotidianamente! Ci illudiamo di trovare la gioia nella moltiplicazione delle cose che possediamo e invece la gioia sta in ciò che riusciamo a comunicare agli altri. Il dono di Dio, del tutto gratuito e generoso, vuole suscitare in noi il medesimo dinamismo oblativo che è all’opera in Dio.

“C’è più gioia nel dare che nel ricevere” ha detto Gesù. Ogni esperienza di vita, ogni relazione personale, ogni conoscenza, ogni azione può essere vissuta come esperienza nella quale contemporaneamente si riceve e si dona. Tutto dipende dalla disposizione del cuore: se il cuore è impaurito o sereno, se è egoista o generoso, se è fiducioso o sospettoso, se trova gioia nel bene degli altri o nell’insuccesso degli altri. L’eucaristia che celebriamo è un progetto di vita dove il dono di Dio suscita il dono dell’uomo; entrare in questo dinamismo significa appropriarci di una logica alternativa di vita, significa incamminarci su un sentiero di gioia. Quello che Filippo Neri ha percorso come un gigante della fede e che noi vogliamo seguire come imitatori desiderosi.
+LUCIANO MONARI 26 mag 2016 00:00