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di ELISA GARATTI 14 giu 2024 21:12

Maria Grazia Zambon: a Konya, una comunità tenace

Quarto giorno in Turchia. Lasciata alle spalle la Cappadocia, il vescovo Tremolada, insieme agli ottanta pellegrini, ha proseguito il viaggio verso Konya, città che Paolo aveva toccato nel suo viaggio missionario. Prima di arrivare nella cittadina turca, il gruppo ha visitato il caravanserraglio di Sultanhani del XIII sec e il mausoleo di Mevlana, figura mistica della spiritualità musulmana. Ad occupare la restante parte della giornata, il lungo viaggio in pullman verso Pamukkale.

La S. Messa si è svolta nella chiesa di San Paolo di Konya. Qui, i pellegrini hanno incontrato Maria Grazia Zambon, laica consacrata dell’Ordo Virginum di Milano, inviata in Turchia 23 anni fa dal card. Martini. Dopo aver svolto il suo servizio ad Antiochia per sette anni, si è spostata ad Ankara dove è rimasta per tredici anni. Da due anni e mezzo, si trova a Konya, a sostituire una piccola comunità di due suore di Trento che, dopo 27 anni in Turchia, vissuto l’isolamento causato dal Covid, hanno deciso di tornare in Italia.

"Siamo convinti che sia un miracolo avere qui una chiesa ancora aperta e attiva nel cuore dell’Anatolia - ha raccontato Maria Grazia Zambon ai pellegrini presenti -. Non è scontato in un paese non cristiano. Questa chiesa è del 1910 ed è stata costruita dai francesi che furono chiamati dall’Impero Ottomano per costruire la ferrovia. Le maestranze d’oltralpe accettarono l’incarico, ma ad una condizione: avere una chiesa, una scuola e un ospedale per le loro famiglie. Il Sultano regalò loro un terreno. Ancora oggi è considerato un valido luogo di culto perché regalato proprio dal sultano. Ci troviamo, infatti, in quello che era l’antico quartiere cristiano. Sicuramente, qui San Paolo venne, predicò e fondò la prima comunità cristiana. Siamo, inoltre, molto legati a Santa Tecla, originaria di Iconio, che si convertì grazie alla predicazione di San Paolo. In questa chiesa ci sono le radici della nostra fede: ci sentiamo l’ultimo anello di questa storia che prosegue senza sosta dai tempi di San Paolo, che in questo luogo ha pregato, ha creato una comunità cristiana e ha reso la presenza del Signore".

Konya è una città molto grande: ha 2,5 milioni di abitanti, ma i cristiani sono in tutto 40, di culture e provenienza molto diverse. "Ci sono famiglie turche, ma la maggior parte dipende dai periodi storici - ha continuato Zambon -. In questo periodo, ci sono soprattutto africani, russi e ucraini. Sono da sola, non c’è nemmeno il sacerdote: la S. Messa viene celebrata due domeniche al mese perché il prete viene da Ankara. Solitamente, mi occupo della liturgia della parola e distribuisco la comunione, durante la settimana abbiamo i nostri momenti di preghiera. Questa chiesa è un luogo di accoglienza per tutti. L’invito che rivolgo a voi pellegrini è di pregare affinchè questa chiesa continui a rimanere aperta, perché i cristiani qui continuino, con coraggio e tenacia, a pregare. Io prego anche per voi, per il vostro pellegrinaggio, perché San Paolo vi dia la forza di testimoniare la vostra fede ovunque siate".

Il vescovo Tremolada, nell’omelia, ha poi continuato la narrazione della storia di San Paolo, “arrivato a Iconio insieme a Barnaba. Qui, c’è un tentativo dei pagani e dei giudei di lapidarli. Vengono a saperlo e vanno via”.

Di fronte alle numerose persecuzioni, Paolo riconosce che “alla potenza del Vangelo corrisponde sempre la sofferenza dell’apostolo”. Non solo, si rende conto che c’è un rapporto tra la crocifissione e la resurrezione. “La potenza della resurrezione passa sempre nella croce, dove si coglie la sofferenza e la debolezza per una morte cruenta, ma anche il fallimento e l’umiliazione” (morire sulla croce era un disonore terribile, la morte degli schiavi). Ma per capire davvero si deve aggiungere un elemento: “il cuore, cioè il modo in cui Gesù ha vissuto tutto questo. La resurrezione è la potenza di questo amore che lui ha vissuto nella croce. Una specie di esplosione che permette al cuore del Signore crocifisso di raggiungere ogni spazio. Paolo, insomma, percepisce la potenza della resurrezione del Signore (quando si riferisce a Signore è Gesù risorto, ndr) che raggiunge tutti come una forza di bene che si diffonde attraverso la testimonianza di qualcuno che ha predisposto la sua vita a questo”.

Riprendendo il discorso sull’evangelizzazione ad opera di San Paolo, il vescovo ha affermato che “nella sinagoga, i giudei, di fronte alle parole di Paolo, rimangono colpiti non tanto per i contenuti, quanto per la forza e il carisma della sua comunicazione. Alcuni aderiscono, quelli che non lo fanno diventano invece gelosi”. Il testo, infatti, narra che “Paolo e Barnaba parlavano con franchezza in virtù del Signore”. Nel testo originale, a sostituzione del tradotto “in virtù”, si legge “nella potenza”. “In quella predicazione c’è una potenza che non è loro: Paolo voleva far sentire a tutti ciò che la bontà di Dio in Gesù ha offerto a lui”. Non è tutto. “È lo stesso Signore che rende testimonianza della sua grazia, cioè che fa capire quanto è grande la grazia di Dio, una forza di amore che rigenera la vita”.

Nella chiesa di San Paolo in Konya, il vescovo ha poi concluso: “Questa è l’occasione per chiedere l’intercessione di San Paolo a condividere la sua fede calandola nel nostro vissuto”.


ELISA GARATTI 14 giu 2024 21:12