La sensibilità e l'indole contemplativa
Paolo VI ha governato la Chiesa in un periodo tormentato, sia sul piano civile sia su quello ecclesiale, a partire da ‘68 fino al terrorismo (morì l’anno in cui la vicenda Moro, che lo turbò profondamente, decretava praticamente la fine delle Brigate Rosse): ha preso il via in quei frangenti un cambiamento epocale che non si è ancora concluso . Prosegue la rubrica "Il mio Paolo VI"
Giovanni Battista Montini si é materializzato agli occhi dei bresciani il giorno in cui è stato nominato arcivescovo di Milano (1954), anche se la figura del fratello maggiore Lodovico, membro dell’Assemblea costituente e poi parlamentare fino al 1968, rinnovava la memoria del padre Giorgio, giornalista e politico di spicco a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, e della famiglia Montini.
Nell’estate del 1962 ho avuto modo di incontrare per la prima volta il futuro Paolo VI. A fine agosto trascorsi qualche giorno di ferie a Pontedilegno e un giorno, mentre passeggiavo verso la val Sozzine, camminando lungo il lato destro della chiesa, scorsi il card. Montini nell’atrio della porta laterale. Ebbi l’impressione che fosse lì in attesa di qualcuno e allora gli chiedi se potevo essergli utile, in particolare se desiderava che gli chiamassi il parroco, il mitico don Giovanni Antonioli. Il Cardinale mi ringraziò assicurandomi che era tutto a posto.
L’approccio più importante si registrò però in una delle sere successive. Ero ospite di Villa Luzzago e il direttore don Enrico Tosi ci annunciò che il card. Montini ci avrebbe aggiornato sull’imminente Concilio Vaticano II. La notizia mi galvanizzò, immaginando di poter offrire una specie di scoop ai lettori di Voce. Il mio proposito giornalistico non ebbe seguito. Infatti don Tosi mi riferì che il Cardinale desiderava che la cronaca dell’incontro rimanesse riservata. Non feci salti di gioia, ma la piccola delusione fu compensata dall’interesse che la conversazione di mons. Montini sollevò: ci offrì un quadro della situazione, evidenziando le speranze sollevate dal Concilio, che mi accompagnò nei mesi successivi man mano l’assemblea conciliare celebrava la prima sessione.
Quella sera comunque misi a fuoco (parzialmente) la figura di Giovanni Battista Montini in una luce che si discostava da alcuni stereotipi su di lui che perdurano tuttora. Per capire bisogna tenere presente che all’epoca il cosiddetto mondo cattolico bresciano era diviso (con sfumature molteplici) fra una corrente popolare che in parte era rappresentata anche dalla Voce e una corrente nobile che aveva come simboli, nell’opinione comune, la Banca San Paolo e il Giornale di Brescia. I Montini erano naturalmente collocati nella corrente nobile.
Ricordo tutto questo perché serve a spiegare la mia reazione il giorno in cui Montini fu eletto papa. Vidi, vedemmo, la fumata bianca in tv nel bar che stava all’angolo fra via Tosio e via Antiche Mura. Quando l’annuncio confermò i pronostici della vigilia rimasi perplesso, domandandomi se i cardinali (o lo Spirito Santo?) avevano fatto la scelta giusta. Oggi non ho più dubbi, ma non è una resipiscenza tardiva. È una convinzione maturata lungo lo svolgersi del pontificato di Montini. Anche se, memore della conversazione di Pontedilegno, sin da subito non avevo dubbi sul fatto che avrebbe portato avanti il Concilio con decisione.
Recentemente mi sono confrontato con un signore che non conoscevo e che parlando con un gruppetto di amici esprimeva tutte le sue perplessità sulla canonizzazione di Paolo VI, osservando fra l’altro che si sono inventati un miracolo che a lui non sembra tale. Gli ho fatto presente che Paolo VI ha governato la Chiesa in un periodo tormentato, sia sul piano civile sia su quello ecclesiale, a partire da ‘68 fino al terrorismo (morì l’anno in cui la vicenda Moro, che lo turbò profondamente, decretava praticamente la fine delle Brigate Rosse): ha preso il via in quei frangenti un cambiamento epocale che non si è ancora concluso. Gli ho ricordato che l’apparente ritrosia che induceva qualcuno a chiamarlo Paolo mesto, celava delicata sensibilità e un’indole contemplativa, in un contesto di grande riservatezza.
Ho poi avuto occasione di incontrare Paolo VI in varie udienze. Il ricordo più vivo riguarda la prima dedicata a Brescia, il 28 ottobre 1963, che si tenne nell’Aula delle Benedizioni, una grande sala a forma rettangolare. Il Papa era collocato su un palco con lo sfondo di una grande tenda rossa. Assistetti all’incontro seminascosto dall’ultimo velo della tenda e accovacciato sull’ultimo gradino della pedana a un paio di metri dal Papa. Da lì potei prendere gli appunti per la cronaca dell’udienza perché a quel tempo i registratori erano grandi come una valigetta 24ore.
Due anni dopo, il 20 settembre 1965, con duecento delegate di Voce abbiamo partecipato ad una udienza in San Pietro. Paolo VI nel saluto ci dedicò parole significative elogiando «la grande funzione del settimanale che opera da 70 anni con molto zelo, profonda saggezza e anche con tanta efficacia», con l’invito a essere consoni “ai bisogni dei lettori” e a «mantenere con essi una conversazione che li istruisce, li fa pensare, li sprona all’apostolato». Al termine dell’udienza il vescovo mons. Morstabilini presentò al Papa alcuni di noi: a ciascuno Paolo VI riservò un saluto personale, evocando fra l’altro personaggi bresciani a lui cari. In quella occasione e anche in una udienza successiva a Castelgandolfo (settembre 1969) menzionò in particolare don Peppino Tedeschi.
Nel 1988 quando abbiamo celebrato i primi cento anni di Madre, ho scoperto che il giovane Gianbattista Montini, prima e dopo la ordinazione sacerdotale (1920) ha collaborato con la rivista, grazie ai rapporti che aveva con la direttrice, Angela Bianchini. Si tratta di articoli anonimi. Dalla corrispondenza delle stessa Bianchini risulta certa la paternità montiniana di un articolo di fondo apparso nel febbraio 1921 sul voto femminile, intitolato “La donna voterà”. Nello scritto, che occupa tre pagine della pubblicazione (in formato rivista), è riconoscibile lo stile analitico montiniano nella accuratezza con cui esamina il problema dai vari punti di vista, valutando i pro e i contro della scelta politica. Alla fine emerge l’idea che si tratta di una conquista democratica che per realizzarsi esige tutta una serie di precauzioni e attenzioni culturali, etiche, politiche. In molto passaggi è possibile intravedere un’idea di politica ha caratterizzato il suo magistero pontificio e che potrebbe nobilitare le miserie del dibattito politico. Alla fine un auspicio che risulta di altrettanta pregnante attualità: «È necessario formarsi una coscienza politica, non con una lettura quotidiana di giornali o col frequentare ambienti rumorosi di affari, ma col meditare e studiare, col educare la mente a letture serie e a studi severi, coll’abituarsi a giudicare le cose dalle loro conseguenze ampie e remote, sotto l’aspetto non particolare, ma generale; col cercare di applicare i principi della fede alle contingenze sociali».