La pedagogia politica di don Milani
Il centenario della nascita di don Lorenzo Milani è l’occasione per ritornare su una figura che ha lasciato un segno profondo non solo in quanti lo hanno conosciuto personalmente, ma anche in coloro che lo hanno incontrato attraverso la lettura dei suoi testi. L’impronta di don Milani che più di tutte mi piace riconoscere anche sulla pelle delle Acli, attraverso la testimonianza di tante e tanti aclisti, consiste nella particolare attenzione verso i più poveri nella società.
Nel maggio 2021, intervenendo alla conferenza “The State of the Union” organizzata dall’Istituto universitario europeo di Fiesole, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato: “A pochi chilometri da Firenze c’è un piccolo paesino dal nome di Barbiana. E a Barbiana, su una collina, c’è una piccola scuola di campagna. Negli anni ’60 un giovane maestro, don Lorenzo Milani, scrisse due semplici parole, in inglese, sul muro di quella scuola: “I care” (me ne importa, mi sta a cuore). Disse ai suoi studenti che quelle erano le due parole più importanti da imparare. Dire “I care” vuol dire prendersi le proprie responsabilità”. Un vero e proprio riconoscimento internazionale, tanto più importante perché avvenne in un discorso che aveva per tema principale il Rinascimento europeo dopo la crisi pandemica e nell’impegno intrapreso per la transizione ecologica.
Sabato scorso, in un’eloquente visita a Barbiana, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto attribuire un ulteriore riconoscimento alla figura e all’operato di don Milani: “Un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva. Il suo “I care” è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza”. Don Milani aveva un senso fortissimo della politica: la scuola era un luogo di liberazione, di formazione della coscienza critica, ma per sentirsi, allo stesso tempo, titolare di diritti e responsabile della comunità in cui si vive: “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.
Il cuore della pedagogia politica di don Milani è il richiamo alla solidarietà, che implica prendere coscienza di una condizione o di un problema, elaborare proposte, organizzare il consenso per raggiungere, con l’impegno personale e collettivo, l’obiettivo di “uscirne insieme”. Don Milani ha sempre inteso la politica come servizio per il prossimo. I ragazzi di Barbiana in una lettera ai loro coetanei di Piadena usavano la parola “prossimo” per spiegare la specificità della loro scuola: “A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non ci sono né voti, né pagelle, né il rischio di bocciare… ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo… il Priore ci propone un ideale più alto: cercare di sapere solo per usarlo al servizio del prossimo”. Don Milani ha saputo ispirare una concezione della politica come forma di servizio al bene comune, così ben espressa dai ragazzi di Barbiana nella famosa Lettera ad una professoressa: “Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Io lo conosco. Il priore me l’ha insegnato da quando avevo 11 anni e ne ringrazio Dio. Ho risparmiato tanto tempo. Ho saputo minuto per minuto perché studiavo. Il fine ultimo è dedicarsi al prossimo. Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte”.
La scelta di don Milani è stata l’autenticità evangelica del vivere per il prossimo. Questo era la sua fede, il suo sacerdozio, il suo dono di educatore, la sua vita e la sua cultura: l’amore per la persona umana, soprattutto se povera ed emarginata. Ai ragazzi della scuola di Barbiana confessava nel suo testamento: “Ho voluto più bene a voi che a Dio; ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto”. Don Lorenzo riposa ora nel piccolo cimitero di Barbiana, ma la sua parola e la sua testimonianza restano vive e attuali. Esigenti anche, come una vocazione.