L'omaggio di Kiremba a Paolo VI
La grande chiesa costruita dai missionari bresciani era gremita: una folla immensa ma ordinata assiepata nelle tre ampie navate per rendere omaggio ad un santo il cui nome è legato indissolubilmente a Kiremba. Il racconto della giornata vissuta domenica 14 ottobre a Kiremba
Doveva essere una giornata speciale, e le aspettative non sono state tradite. Semmai sono state superate. I parrocchiani di Kiremba, preparati per settimane a questo storico avvenimento, affluiscono in massa dalle quarantadue colline che fanno da corona alla chiesa e all’ospedale, carichi dei loro semplici doni che deporranno ai piedi dell’altare.
Insieme ai tre sacerdoti della parrocchia e a qualche rappresentante della diocesi, c’è anche l’anziano vescovo Stanislao, ora in pensione. La grande chiesa costruita dai missionari bresciani è gremita: una folla immensa ma ordinata è assiepata nelle tre ampie navate per rendere omaggio ad un santo il cui nome è legato indissolubilmente a Kiremba.
C’è la corale dei giorni di festa, ci sono le suore in abito bianco e i danzatori nei loro abiti tradizionali; c’è il personale dell’ospedale al gran completo e ci sono gli alunni delle scuole. Ma soprattutto c’è la gente comune, dagli anziani ai bambini, chi per l’occasione con un vestito diverso, chi con le solite giacche smunte, con i panni di mille colori e i piedi nudi. Tutti con il cuore palpitante di gioia che si legge sui volti e si esprime nel ritmo, cadenzato e compatto, del battito delle mani, nella preghiera corale e nelle note dei canti che riecheggiano nelle navate. Oggi è festa grande.
A ripeterne il motivo è il parroco, Abbé Jean Baptiste Hakizimana, nella sua omelia che ripercorre le tappe principali della vita di Paolo VI per concludere che quanto oggi esiste a Kiremba, costruito con la generosità e la tenacia dei bresciani nel corso di cinquantacinque lunghi anni, esiste grazie all’intuito e al cuore missionario di quest’uomo elevato oggi alla gloria degli altari.
La gente risponde applaudendo e poi, al momento dell’offertorio, presentando la sfilza di doni che ciascuno si è portato appresso. Sono i frutti della terra coltivata con le loro mani callose che oggi si aprono non per chiedere, ma per donare. Vedendoli, non si può non pensare all’obolo della povera vedova del vangelo. La processione delle offerte è un fiume inarrestabile che dura quasi un’ora. Una processione che si snoda in modo commovente, nella quale tutti vogliono esserci, tutti vogliono portare qualcosa per esprimere il loro “grazie”.
La celebrazione continua, animata dalle danze attorno all’altare sul quale campeggiano due grandi ritratti del santo del giorno, che da oggi diventa più che mai il Santo di Kiremba.
Quando i sacerdoti finiscono di distribuire l’eucarestia, si fa silenzio. È il preludio ad un’esplosione di gioia, come il silenzio prima di un uragano. L’organo di mette a suonare, i tamburi danno il ritmo, la folla inizia ad ondeggiare muovendo i piedi e battendo le mani. Il loro canto è come quello di una sola voce, possente ed intonata, che ripete: “Ora, Signore, non possiamo andarcene senza dirti ancora grazie!” E poi un canto dietro l’altro, come l’impeto di un torrente in piena che non si può contenere: ancora per ringraziare, in un agitarsi di braccia, uno sventolio di bandiere, un intrecciarsi armonioso di movimenti, un arcobaleno di colori. Un tripudio.
La vera cerimonia di canonizzazione è qui a Kiremba, dove di poveri ce ne sono ancora, e forse di più che cinquant’anni fa. Ma non sono poveri piagnucolosi, piegati su se stessi a lamentarsi delle proprie disgrazie. Sono un popolo variopinto e straripante che anziché tendere le mani le agitano in segno di festa; sono uno stuolo di indigenti che da quel nulla che hanno sono riusciti a strappare qualche banana o qualche pezzo di manioca per venire a dire grazie.
Grazie ad un papa santo che oggi, là dal cielo, può essere orgoglioso, di aver scelto questo luogo e questa gente per impiantarvi una missione e un ospedale che hanno saputo mostrargli, dopo oltre mezzo secolo, il loro cuore palpitante e ricolmo di gioia e gratitudine.