Kabul: mancano acqua e cibo
Suor Shahnaz Bhatti è una missionaria della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret che vive in Afghanistan dove si occupa del Centro diurno Pro Bambini di Kabul per bambini disabili mentali non gravi. Di origini pakistane, quando, 25 anni fa, accompagnò la sorella in convento, decise di rimanere (“sono molto contenta di quella scelta”) per iniziare anche lei il cammino vocazionale. “Sono una suora della Carità di Santa Giovanna Antida e seguo la spiritualità di San Vincenzo de’ Paoli: il nostro carisma si preoccupa di curare la parte ferita di Gesù, la parte che soffre”. Da due anni viveva a Kabul insieme ad altre due suore, suor Teresia Crasta della Congregazione di Maria Bambina e suor Irene della Congregazione delle Suore della Consolata. La comunità di Kabul infatti è intercongregazionale. Gestivano una scuola per bambini con ritardo mentale e con la sindrome di Down dai 6 ai 10 anni e li preparavamo ad inserirsi nella scuola pubblica. Il 25 agosto, dopo la conquista del potere da parte dei talebani, ha dovuto lasciare il Paese.
Nei giorni scorsi è passata da Brescia per incontrare le Suore Paoline che nei mesi scorsi hanno lanciato l’iniziativa di solidarietà a favore del popolo afghano “Doniamo cultura, doniamo speranza. Più ci batteremo con loro, più avranno la forza di resistere”. Sono una trentina le parrocchie che, in collaborazione con l’Ufficio per le missioni, hanno aderito con una mostra di libri. Complessivamente a Brescia sono stati raccolti 12mila euro che sono stati mandati in Afghanistan. Tra i beneficiari, c’erano proprio l’associazione” Pro Bambini di Kabul” e le suore di Madre Teresa. Forse è una piccola goccia, come diceva madre Teresa, però senza quella goccia anche il mare sarebbe più povero. La situazione umanitaria continua a deteriorarsi in Afghanistan. Ci sono allarmanti interruzioni nei servizi sanitari e nutrizionali, una disastrosa crisi alimentare, siccità, epidemie di morbillo, diarrea, poliomielite e altre malattie prevenibili, nonché l’inizio paralizzante dell’inverno. È un quadro sconfortante. Si stima che 8 afghani su 10 bevano acqua batteriologicamente contaminata. Inoltre, 10 milioni di bambini rischiano di abbandonare la scuola se gli stipendi degli insegnanti non vengono pagati e se persistono livelli di povertà paralizzanti. Quasi 4,5 milioni di bambini hanno bisogno di salute mentale e sostegno psicosociale. “Con le rigide condizioni invernali, dove le temperature possono raggiungere anche i -12 gradi Celsius, le famiglie stanno lottando per riscaldare le loro case e tenere al caldo i loro bambini ma manca davvero tutto.
I riflettori dei media si sono un po’ spenti sulla situazione afghana, ma continua la difficoltà delle persone che si sentono abbandonate.
La situazione è molto difficile. Nel Paese non circola denaro e le persone che sono rimaste non hanno niente da mangiare. Non ci sono più gli stranieri (cittadini americani o membri dei vari organismi internazionali) che alimentavano l’economia. Le persone mi scrivono che sono stanche. La neve con la stagione molto fredda mette a dura prova la popolazione: parliamo, infatti, di un inverno duro. C’è bisogno di legna, di cibo, di tutto. Io non posso non ringraziare di cuore le parrocchie di Brescia e suor Annamaria per l’iniziativa. Con il loro aiuto possiamo essere vicini concretamente a chi soffre. Prima che chiudessero l’aeroporto, siamo riusciti ad accompagnare in Italia 15 famiglie che hanno avuto la fortuna di essere accolte.
L’associazione “Pro Bambini di Kabul” è un valido supporto. L’Associazione è nata in seguito all’appello di Papa Giovanni Paolo II nel 2001: risponde, quindi, a una chiamata diretta della Chiesa. Questi ragazzi oggi non possono arrivare in Italia, ma noi nel limite del possibile li sosteniamo e preghiamo per loro perché possano continuare a studiare. “Pro Bambini di Kabul” sostiene anche le famiglie per migliorare la vita dei bambini attraverso una migliore conoscenza da parte dei genitori della situazione e del relativo processo di riabilitazione.
Il Natale è un segno di speranza, ma come si fa a sperare quando non si ha più niente?
È veramente una domanda difficile. A noi non resta che pregare e comprendere quello che stanno vivendo. Proviamo a lenire l’umanità ferita.
È difficile essere cristiani in un Paese musulmano?
È difficile ma però noi siamo chiamati a vivere il volto umano di Gesù che viene tra noi per vivere con noi.