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Sassuolo
di DAVIDE MALOBERTI 28 mar 2022 08:00

In origine c’è l’amore di Dio

Il vescovo emerito Luciano Monari compie oggi 80 anni e, in questa intervista concessa al settimanale “Il Nuovo Giornale”, si racconta

80 anni ci si guarda indietro e si scruta l’orizzonte in avanti. Che cosa la colpisce di più nella sua storia?

La varietà delle esperienze: la famiglia; l’officina meccanica di mio padre; la scuola elementare, poi media, poi il liceo a Modena (chi non ricorda con gioia i suoi compagni di scuola?); l’Oratorio; il Seminario a Reggio, poi i sette anni a Roma; l’ordinazione sacerdotale; la morte dei miei familiari: prima il papà, poi la mamma, poi nel ‘95 mia sorella; il ministero e l’insegnamento; i gruppi giovanili; l’Azione Cattolica; il servizio come vescovo a Piacenza-Bobbio poi a Brescia... Quello che mi affascina è vedere come ciascuna di queste esperienze ha lasciato un segno, più o meno grande ma reale, nella mia vita. Forse il nostro corpo custodisce, nelle sue caratteristiche, i segni, le tracce di tutto quello che siamo stati. L’altra cosa che stupisce è pensare a ciò che rimane “incompiuto” nell’esistenza. Man mano che si va avanti si capiscono cose nuove, si intravedono possibilità nuove da esplorare, proprio nel momento in cui, con la vecchiaia, le opportunità si riducono drasticamente. Sembra una contraddizione, ma forse proprio questo fatto ci ricorda che la vita di ciascuno di noi ha senso perché si salda con quella degli altri. La completezza non la produciamo da soli, ma solo con gli altri e soprattutto con Dio che porta a pienezza il cammino di tutti, della storia dell’uomo.

Quali sono le figure che più hanno influito sulla sua formazione?

Impossibile rispondere: sono troppe. Mia madre: la sua intelligenza, bontà e pazienza; senza di lei sarebbero stati inevitabili, mi sembra, squilibri, incertezze e paure. Il prete che mi fu primo padre spirituale, don Volfango: erano gli anni delicati dell’adolescenza e avere un punto di riferimento sempre disponibile è stato un dono immenso; i compagni di scuola: il tempo speso a parlare di tutto era l’esperimento della vita: trovare il modo giusto di pensare e di giudicare... Ma chissà, forse solo il Signore conosce con chiarezza quali siano stati i contributi più importanti.

Perché entrò in Seminario?

Sono cresciuto in un Oratorio e ci avevano abituato a frequentare l’Oratorio non solo per godere di alcune opportunità di incontro e di gioco, ma anche per fare qualcosa di utile per gli altri; così sono stato catechista, delegato aspiranti, incaricato di alcuni servizi... è stata quest’esperienza che mi ha fatto venire la voglia di continuare in modo più continuativo quello che stavo sperimentando. Si aggiunge la riflessione, attorno ai 14-15 anni, su quello che avrei potuto fare nella vita e la convinzione che in ogni modo lo scopo ultimo sarebbe stato il servizio di Dio. Mi sembrava che solo questo mi garantisse il meglio. Le due prospettive, insieme, mi hanno fatto scegliere una vita da prete (ho considerato anche quella di religioso consacrato, poi l’esperienza diretta mi ha orientato piuttosto al prete secolare).

Nel giugno 1995 lei venne scelto come vescovo e disse il suo sì. Fare il Vescovo è un compito per niente facile. Lo rifarebbe?

Certo che lo rifarei, sperando di riuscire a farlo meglio. Proprio perché è un servizio, vale la pena impegnarcisi con tutto se stesso. È vero che oggi fare il vescovo (ma anche fare il prete) è diventato più difficile che 27 anni fa; questo costringe a riflettere, a soppesare le cose con ancor maggior cura, ma la bellezza del servizio episcopale rimane intatta e la sua preziosità è forse ancora più grande.

Dio ci salva attraverso la Croce di Cristo. Qual è stata la più grande prova della sua vita?

L’accettazione dei miei limiti e il superamento dei miei errori. Sono orgoglioso per natura e pretenderei di non avere difetti, di non fare errori. E invece gli uni e gli altri mi hanno fatto compagnia per tutta la vita. Cercare di superarli, ma accettare di non esserci riuscito è stata una scuola di umiltà difficile per me e anche oggi, alla mia età, non ho trovato “riposo”. Mi ritrovo in quanto diceva un prete reggiano: quando sarò davanti al Signore cercherò di non sfiorare nemmeno l’argomento dei miei meriti; meglio mettere l’accento sulla misericordia di Dio.

Che cosa trova l’uomo del terzo millennio in un libro (la Sacra Scrittura) che ormai ha migliaia di anni?

Trova un orizzonte straordinariamente bello e fecondo nel quale inserire e dare significato a tutte le esperienze, a tutte le scelte particolari della vita. Il fatto che all’origine di tutto ci sia l’amore di Dio creatore, che tutto sia purificato e rigenerato da un Dio redentore, che il futuro sia illuminato dalla speranza in un Dio fedele fa sì che ogni piccola scelta (la nostra vita è generalmente fatta di piccole cose) acquisti un valore grande, che anche le rinunce siano sopportabili, che le realizzazioni siano vissute senza arroganza, che le relazioni umane acquistino solidità. C’è qualcosa di più bello della “civiltà dell’amore” (l’espressione famosa è di Paolo VI) per dare senso alla fatica del quotidiano? per rinnovare la speranza dopo i propri errori senza lasciarsi prendere dall’avvilimento? Se dovessi rispondere in modo esaustivo alla domanda dovrei scrivere un libro, ma non farei che chiarire quello che ho accennato.

Lei è nato negli anni della Seconda guerra mondiale, oggi, con gli scontri in Ucraina, aleggia di nuovo lo spettro di una guerra. La violenza, lo scontro, l’incomprensione accompagnano da sempre il cammino dell’uomo: Adamo ed Eva, Caino e Abele… Come la Sacra Scrittura inquadra questi drammi?

San Giacomo scrive: “Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere, uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere, combattete e fate guerra (Gcm 4,2)”. Posso dire la stessa cosa in un altro modo: quando il mondo diventa ‘tutto’, quando cioè non esiste altro che ‘il mondo’, ogni perdita nel mondo diventa insopportabile. Questo vale a livello interpersonale e si dilata a tutti i livelli dell’esperienza umana. Solo un Dio trascendente, che sta di fronte al mondo, creatore e Signore del mondo e della storia, può dare la possibilità di vivere un’esistenza mondana in modo equilibrato. Questa apertura sta all’orizzonte della vita dell’uomo e può dare forza a tutti i tentativi di trovare modi concreti per risolvere le inevitabili controversie senza ricorrere alla violenza. Per natura sua, la violenza non s’identifica col diritto e quindi è incapace di creare rapporti giusti. Gli equilibri creati dalla violenza hanno sempre dentro di sé delle inconsistenze che, prima o poi, scoppiano in altre violenze.

Lei è diventato prete nel ’65, con la fine del Concilio. In oltre 50 anni la Chiesa è molto cambiata, tanti sogni, tante delusioni, ma sempre anche tanta speranza. Lei come vede per laici, religiosi sacerdoti il futuro della comunità cristiana?

Ci penso da sempre; si può dire che è l’interrogativo sotteso a tutto il mio ministero. Sono convinto che la linea del futuro sia quella indicata dal Vaticano II: una Chiesa come comunione e come servizio. Comunione come legge di tutti i rapporti intraecclesiali: tra vescovi, tra vescovi e preti, tra preti e laici, tra associazioni e movimenti, tra parrocchie... L’insistenza di papa Francesco sul recupero della sinodalità è in perfetta continuità col Concilio e mi sembra sia la strada da esplorare con coerenza e creatività. L’altra dimensione è quella del servizio al mondo: la Chiesa non esiste per se stessa, per creare un ambiente gradevole a chi sta “dentro”, ma perché chi sta dentro possa operare in modo efficace nel mondo e per il bene del mondo. Dio ha tanto amato ‘il mondo’ che ha donato (mandato) il suo Figlio unigenito; la Chiesa si colloca in questa missione di Cristo: è il mondo che deve essere ‘salvato’ e chi può salvarlo è Dio solo. Testimoniare Dio di fronte al mondo e orientare il mondo alla gloria di Dio è il servizio che la Chiesa deve compiere, consapevole che non c’è niente di più importante o di più urgente.

DAVIDE MALOBERTI 28 mar 2022 08:00